DEL GIORNALISMO IN ITALIA
Preludio genericoChe lo spoglio della letteratura periodica, e peggio dei quotidiani, sia officio naturalmente atto a persuadere le menti della universal fralezza e caducità delle cose, dell'estrema brevità dei nostri odii e amori e desideri, e della continua e sola costante mutabilità, nonché degli eventi, del modo di giudicare pensare e sentire; è verità comunemente osservata da chi intraprenda, come oggi noi (per consolar la noia e secondar la pigrizia dei nostri benevoli lettori, questa melanconica fatica. Da una siffatta constatazione della vanità e debolezza dei pensieri e delle azioni registrati nelle cronache, molti, fermandosi sopratutto a considerare la leggerezza spensierata e giornaliera dei commenti, ne trassero addirittura la negazione in blocco del giornalismo, inteso come una potenza corruttrice, e quasi una massoneria, che avesse per iscopo di invilire, con il culto dell'abilità ingegnosa e pronta, superficiale e paradossale, ogni onesto maturo e durevole sforzo. Nella Voce del 1909 per es., Prezzolini definiva il giornalismo "soffocatore d'intelligenze" e la fatica dei redattori "vita di prostituzione": che non sono certamente titoli onorevoli; né giustificati, se non forse dall'ira della polemica. Si tratta, a dire il vero, di dichiarazioni apocalittiche, ispirate all'ottimismo moralista che era in uso a quei tempi, e in quel clima. La verità andrà cercata per altre vie. Il merito che, sopra ogni altro, pare a noi debba rendere, se non gradevole, certamente benefica e salutare, la lettura dei giornali, è appunto la possibilità di ritrovare descritti su uno stesso piano avvenimenti grandi e piccini, cose che non degnammo d'un sol sguardo e fatti che scatenarono tutte le nostre passioni, la rivoluzione fascista e la cronaca del veglionissimo. Né può derivare, con un senso di melanconica indifferenza, quell’atteggiamento di benigna sopportazione, che è forse il più opportuno per chi vuol correre le vie del mondo e degli uomini. Chè se anche la somma delle nostre constatazioni varrà ad avvilire il nostro orgoglio; e la disanima della letteratura periodica avrà esercitato sulla nostra coscienza un'influenza analoga (per ciò che riguarda i rusultati) a quella che può derivare della lettura dell'Apologie de Raimond Seboud, non certo noi vorremmo dolerci soverchiamente della nostra esperienza. Ci si avvezza, a poco a poco, a sollevarci, dalla cronaca minuta dei fatti, e dalle passeggiere impressioni dei dettagli, dei paradossi, delle ideologie, ad una più austera, serena e desolata contemplazione: e spesso l'occhio nostro che pur a terra mira, si distoglie dalla quotidiana lettura per rivolgersi al cielo, vale a dire a un fondamento stabile e sicuro, che ci chiami a sé mostrandoci le sue bellezze eterne. Non si saprebbe pertanto trovar modo migliore e più misurato di ritornare sull'argomento che oggi ci appassiona (l'esame particolareggiato e la spregiudicata descrizione della mentalità italica, nelle sue apparenze e nella sostanza), di questo che abbiamo scelto, desiderosi quasi di scrivere, senza pretese, la storia de' nostri tempi. Invece d'una polemica settaria, faremo, secondo le naturali tendenze del nostro spirito, un discorso accademico. Relativamente obbiettivo, se non del tutto spassionato. I lamenti che spesso risuonano, per opera anche di persone intelligenti e di buon gusto, sull'influenza diseducatrice dei giornalismo, derivan di solito dal considerare il giornale quasi un nuovo genere di letteratura frettolosa e spuria. In verità la poesia, e tutto ciò che ha attinenza con le lettere e l'arte in genere, entra solo di straforo nei quotidiani: nè sarebbe opportuno, e tanto meno garbato, richiedere ai giornalisti attitudini e risultati estranei al loro ufficio. "Orecchio ama pacato La musa e mente arguta e cor gentile": cioè, non propriamente il pubblico misto ed informe delle gazzette. La sostanza vivente dei giornali e la passione politica, intesa in largo senso, così da comprendere anche gli entusiasmi popolari per la nascita di un principe e il matrimonio di una duchessa e la vittoria di un campione ciclista e il morboso interesse per i processi dei veleni o del sangue. Nei tempi di agitazione civile più intensa e tumultuosa, il giornalismo acquista nuovo impulso e sente più immediata la sua ragion d'essere; decade nelle epoche più riposate e obliose. L'anima di questi notiziari è costituita dal tessuto di quegli odi ed amori, simpatie, invidie ed aspirazioni, che per essere fragili brevi e incostanti, non son meno la sostanza più appariscente e tormentosa della nostra umanità. E nessuna età forse fu più adatta a comprendere con amore l'onesta fatica di chi s'adopera a seguire o mutare o dirigere l'incostante volontà dei partiti, delle classi e delle folle, di questa nostra che ha visto, in Italia e fuori, un così intenso, se pur frettoloso e caotico, tumulto d'aspirazioni e di lotte politiche. Alla rinascenza dei cuori, s'accompagna, come suole avvenire, una desolante immaturità dei cervelli: ma proprio non tanto ai cervelli, quanto ai cuori si dirige l'opera del giornalismo, come in genere l'attività dei politicanti. Anche noi di questa passione italica ed europea, che pare debba essere il segno (non so se più onorevole o infame) de' tempi, abbiamo, a modo nostro e secondo le nostre deboli forze, partecipato. Odi e amori, aspirazioni e simpatie, sono stati e sono anche nostri. Così abbiamo imparato a leggere ogni mattino il giornale con un fervore pressoché religioso; e entrando nelle aule di qualche redazione, ci parve talora d'esser in un tempio, e salutammo le dattilografe quasi come sacerdotesse. Anche per ciò il discorso, se ritrarrà dal nostro umore di oggi una tal quale obbiettività, non potrà essere, come dicemmo, del tutto spassionato. Messi da parte i pregiudizi protestanti, non ci avvicineremo dunque al giornalismo italiano con l'animo di quel cepperello (della Voce), per discutere sul valore e sulla profondità dei cronisti letterari ed artistici, o per rammaricarsi soverchiamente dello spazio più o meno grande, che questa o quella gazzetta possa concedere alla cronaca scandalosa. Neanche vorremo istituire paragoni tra i nostri e i grandi giornali d'oltre Alpe. I quali, sarà vero che, quando li si apre, "par d'entrare nel, cervello stesso della nazione; non di quella che gioca o che chiacchiera; sì della nazione che pensa, che opera, che fa il chiaro e lo scuro sulle terre del paese e sui mari del mondo". Tuttavia un parallelo non è possibile: e non sapremmo neppure immaginarci la figura di un Italiano, che leggesse quotidianamente qualcosa di simile al Times o al Manchester Guardian. Il nostro giornalismo ritrae, dalle sue origini storiche, certe particolari qualità, che potran riuscire antipatiche e magari esser veramente dannose, ma sono intanto quelle che sono e a volerle mutare si farebbe forse peggio. Nato fra le ideologie e le fazioni del Risorgimento romantico e rivoluzionario, cresciuto tra l'accidia pettegola e l'eloquenza letteraria dell'Italia umbertina, fiorente oggi che la politica la fanno i retori, i poeti e i filosofi; il giornale italiano si è foggiato questa sua faccia tra il fazioso e l'accademico, che mirabilmente risponde all'anima d'un popolo abituato a confondere piacevolmente la politica con la letteratura. In quelle pagine, gli scrittori strettamente politici e d'economia, che altrove sarebbero la maggioranza, rappresentano delle eccezioni, molto rispettabili veramente, forse le cose più degne che vi si possa trovare, ma insomma delle eccezioni, che valgon soltanto a confermare la regola. Veramente, chi badi alla superficie, si potrebbe fors'anche parlar di differenze e progressi nel giornalismo italiano degli ultimi vent'anni. All'ignorante e avventurosa baldanza dei frequentatori di treni internazionali e di premières, e alla polemica scintillante e paradossale dei redattori politici, si è sostituito il gusto di un linguaggio chiaro, preciso, contesto (fin che si può) di ragionamenti e di sillogismi, in una parola filosofico. La cronaca dei libri, dei concerti, delle commedie, è diventata oggi, o almeno si chiama, anche sulle colonne dei quotidiani, critica letteraria, teatrale musicale. Gli articoli di fondo, perduto il tono frizzante e mordace delle vecchie battaglie, hanno acquistato un viso grave e posato, sdegnoso delle metafore e dei pettegolezzi. Si tratta, in realtà di differenze soltanto esteriori: la sostanza è sempre quella, forse oggi con piú fastidio e desolata monotonia. Perché, se non ci si vuole accontentare delle apparenze, chi vorrà distinguere sul serio la povera e franca piacevolezza di un Barzini, o la retorica smagliante e incerta di un Rastignac, dalla dialettica tenue e azzardosa di Missiroli? E' sempre lo stesso spaccio di monete false, dove importa più il suono e lo scintillio che non il valore effettivo; senonché oggi a tuttociò s'aggiunge la tediosa ostentazione d'una cultura superiore più adocchiata che posseduta. Se l'oratoria vuol essere la sostanza, come della politica, così del giornalismo, diremo che l'eloquenza più diffusa ed ascoltata in Italia, non è quella più persuasiva per precisione di argomenti e ricchezza di notazioni concrete, ma sempre quella che si fa forte dei paradossi, dei motti, dei lazzi, delle trine d'accatto. Con che non si nega che vi siano delle eccezioni, e non solo di uomini isolati. E neanche si vuol dire che quelle altre cose non abbiano una qualche loro piacevolezza, per quanto effimera; e per giunta aduggiata ora dalla smania filosofica: così che vien fatto di ripensare con nostalgia alla vecchia e sana razza dei cronisti quasi letterati, come Scarfoglio. Ma insomma quello è il colore non solo dominante: naturale; e il giornalismo italiano, così come oggi si presenta nel suo complesso, è certamente il migliore dei giornalismi italiani possibili. Lamentar l'incostanza e la vaporosità delle opinioni, la mancanza di una tradizione di precetti e di consuetudini, la virulenza odiosa delle polemiche, la provincialità della cronaca, sarebbe vana e risibil querela. Per antico uso, nel nostro paese, le fazioni e le accademie han vita fragile e breve, e interessano il pubblico d'un municipio, o al più di una regione. Chi rifletta alla precaria esistenza di coteste fazioni ed accademie, e delle ideologie che le rappresentano, non si meraviglierà troppo constatando che gli unici giornali in Italia, che abiano una tradizione abbastanza precisa e relativamente antica, un pubblico vasto e costante, un bilancio florido e autonomo, son proprio quei pochi che sfuggono alle caratteristiche del quadro generale, per rientrare nella categoria ristretta ma fortunata delle eccezioni. In mezzo a tante vite disorganizzate o parassitarie o brevi, in mezzo a tanti revirements di opinioni, sono i soli che possan vantare una linea politica sufficientemente diritta e una solida forza finanziaria. Oltre il ristretto numero dei fedeli, un gran publico li legge, ammirando la ricchezza e precisione delle notizie, il tono quasi europeo - o meno provinciale - dei commenti, e una certa serietà nelle informazioni e ponderazione dei giudizi. Gli amori più intensi, ma divisi, vanno alle altre gazzette: la lettura del grande quotidiano del Nord è un'abitudine regolare, che non scuote gli adepti e non eccita le passioni. Il contenuto dottrinario e pedagogico, che è pur l'essenza di questi giornali, non lascia quasi traccia negli animi della maggioranza dei lettori: facilmente offuscato dalle altre voci più facili e scintillanti ed amene. Qui appunto si deve riconoscere il maggior difetto di coteste forti tradizioni protestanti, le quali, pur seguite da un vasto pubblico, non riescono a creare una fertile e durevole cooperazione di idee e di lavoro, o ci riescono solo lentamente e con molti ripieghi. Ma su questo problema converrà ritornare, per distinguere più profondamente, e tener conto dei dettagli. Intanto è certo che un più vasto consenso di pubblico intorno a questi giornali, almeno nelle apparenze, esiste. E non senza ragioni profondamente obbiettive, ispirate a un attento esame della statistica delle vendite e degli introiti, né solo per seguire nostre personali simpatie, che forse ci insegnerebbero altri e più segreti cammini, raccoglieremo le analisi particolari del nostro discorso intorno all'esame centrale dei due maggiori quotidiani protestanti d'Italia: il Corriere di Milano e la Stampa di Torino. S.
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