Contributo alla riforma dell'Amministrazione

LA PENSIONE

    Se si osserva il modo col quale si diventa impiegati dello Stato, si trova che ordinariamente chi prende parte a un concorso per un impiego di Stato, non lo fa con l'intenzione di percorrere la "carriera" fino al collocamento a riposo. Il giovine che ha finito i suoi studi ed ha bisogno di trovare un'occupazione per non essere a carico della propria famiglia, se non trova subito " un posto" retribuito convenientemente, quando si presenta l'occasione di un concorso ad un impiego pubblico, tenta la prova, riservandosi di abbandonare l'impiego, se potrà ottenere in seguito un'occupazione migliore. Nella massima parte dei casi avviene che l'occasione di abbandonare l'impiego o non si presenta, o non è afferrata, perché ha sempre qualche elemento più aleatorio e meno sicuro dell'impiego pubblico. Cosi si lasciano passare i primi anni, e allora lo sforzo per decidersi a troncare la carriera intrapresa diventa sempre più difficile, e quasi inattuabile. Ciò è dovuto principalmente al pensiero della pensione. Moltissimi, stanchi di una retribuzione misera, di un lavoro nella maggior parte dei casi meccanico e abbrutente, cambierebbero volentieri professione, se non li trattenesse l'idea di aver sciupato inutilmente gli anni passati nell'impiego, di perdere i contributi già versati per la pensione. Questo elemento di fatto ha un'importanza capitale nella formazione della psicologia dell'impiegato. Da esso deriva quel tipo abbastanza comune di impiegato che ha per occupazione principale lo studio dei bollettini, del posto nel ruolo, dei più anziani che muoiono o vanno in pensione, della maturazione dei quinquenni o dei quadrienni, delle modificazioni degli organici e di altre simili delizie.

    Per gl'impiegati non del tutto privi di intelligenza e che, per mancanza di una buona occasione o per insufficienza di energia a procurarsela, si sono abbandonati alla pigra e indeviabile corrente dell'"avanzamento", la pensione costituisce una catena morale che mortifica e deprime ogni spirito di iniziativa e di libertà. E questo stato di disagio materiale e morale - che sarebbe risolvibile soltanto con l'abbandono dell'impiego e che non può essere risolto per quella via a causa della pensione - dà origine alle continue agitazioni degli impiegati per il miglioramento delle loro condizioni, agitazioni sopite ora in regime di dittatura, ma che con ogni probabilità riprenderanno quando si sarà tornati a un regime normale, perché le condizioni del bilancio dello Stato non consentiranno di dare al personale, anche se alquanto ridotto, una retribuzione adeguata ai bisogni della vita.





    Questo lato del problema burocratico, se ne fosse compresa l’importanza, dovrebbe preoccupare tutti i partiti, qualunque ne sia il colore, perché qualunque regime deve tendere a mettere ogni uomo nel posto per lui più adatto, e il "beneficio" della pensione è per gl'impiegati una porta chiusa dietro di essi e che impedisce loro di scegliere altre vie nelle quali potrebbero compiere un lavoro più utile per la collettività. Cosi si giunge alla formazione di quella specie di casta chiusa che tanto contribuisce ad allontanare la burocrazia dal Paese e a far considerare dal pubblico l'impiegato quasi come un individuo di un'altra specie e come un nemico.

    Se poi si considera il problema dal punto vista dello Stato e del suo interesse di avere buoni impiegati, si vede che la condizione di cose determinata dalla pensione non porta conseguenze meno dannose.

    Lasciando da parte la questione del diritto dell’impiegato statale alla stabilità dell'impiego, anzi, ammesso anche che un tale diritto non esista, è innegabile che, per la costante consuetudine, si è venuta a formare la convinzione, negl'impiegati e negl'aspiranti all'impiego pubblico, dell'assoluta stabilità del posto, ed è questa una delle ragioni principalissime per le quali da tanti sono preferite retribuzioni e condizioni che si avvicinano molto alla miseria e che normalmente sono inferiori a quelle che si potrebbero ottenere in un impiego privato. Se lo Stato non fa uso della facoltà, a cui nessun privato rinunzia, di licenziare il personale inadatto o incapace, ciò dipende certo in gran parte dall'istituto della pensione. Non sarebbe giusto né umano, mettere senz'altro alla porta un impiegato, senza indennizzarlo dei danari, che con vero sacrifizio egli ha versato per procurarsi il diritto alla pensione. Così viene a costituirsi una doppia schiavitù: dell'impiegato che non può allontanarsi per non perdere il frutto dei suoi sacrifizi, e dello Stato che non può liberarsi degli elementi più scadenti e meno redditizi per non compiere a loro danno una specie di confisca dei danari versati per la pensione.





    Gli effetti di tale situazione si riscontrano anche quando, come nel momento attuale, lo Stato, per ragioni di economia, provvede all'eliminazione di una parte del suo personale. Non può essere contestata la facoltà dello Stato, come ente rappresentante la collettività nazionale, di ordinare con atto d'imperio il licenziamento di un certo numero di suoi dipendenti; ma se tale atto può essere reso necessario da supreme necessità di vita dello Stato, non può essere messo in dubbio che dal lato morale, se non dal lato strettamente giuridico, esso costituisce un'infrazione degl'impegni che lo Stato come contraente aveva assunto verso i propri dipendenti. Tali impegni, se non risultano, da un atto scritto, sono sanciti dalla consuetudine, sicché chi si mette al servizio dello Stato tiene conto della stabilità dell'impiego come di un elemento essenziale per scegliere quella via. e preferenza di altre. Da ciò viene un certo carattere di legittimità alle proteste dei dipendenti statali esonerati, carattere che verrebbe a mancare se gl'impiegati, fin da quando assumono servizio, sapessero di poter esserne dispensati come avviene per qualunque altro impiego.

    A conclusione di quanto si è detto, e come tentativo di riparare ai gravi inconvenienti che abbiamo messi in evidenza, si potrebbero formulare queste proposte:

    Elemento base della riforma della burocrazia, quali si siano le linee direttive generali della riforma dei servizi, dovrebbe essere la riforma del contratto di impiego pubblico.

    Affinché questo contratto di impiego possa essere informato a più sani criteri di giustizia, di libertà, di interesse della pubblica e privata economia, è necessario sia abolito l'istituto della pensione, il quale, come funziona attualmente, crea vincoli coercitivi che sono di grave danno alle pubbliche amministrazioni e all'impiegato.

    In vece sua, devono instaurarsi sostituti di ordine diverso - giuridico, economico e morale - che, da una parte, assicurino dell'opera continuativa, proficua e devota dell'impiegato, e dall'altra, rispettino integralmente la dignità e la libertà del lavoro, assieme al diritto autonomo ed incondizionato dell'impiegato alla propria rimunerazione; la quale non dovrà più essere irrazionalmente ed ibridamente condizionato per effetto della pensione.

    E' necessario istituire a favore degli impiegati delle pubbliche amministrazioni Casse Assicurative, in analogia a quelle create e a quelle da crearsi, con più larghi criteri di previdenza, a favore degli operai e degli impiegati privati; eventualmente fondendo in una Cassa unica, in più rami distinta, la gestione dei fondi; con ciò equiparando equamente la condizione morale e materiale di tutti coloro che, alle dipendenze di aziende pubbliche o private, prestano utile servizio a favore della collettività.

    La creazione di questa Cassa unica assicurativa, che presuppone la fondamentale unità giuridica del rapporto d'impiego pubblico e di quello di impiego privato, agevolerebbe il passaggio dell'impiegato dell'amministrazione dello Stato alle amministrazioni pubbliche locali, e da queste alle amministrazioni private, e viceversa; e così verrebbe resa possibile la più ampia libertà d'azione alle amministrazioni pubbliche e all'impiegato, per ciò che ha rapporto alla costituzione, alla durata e allo scioglimento del contratto d'impiego.

    Se si riuscisse a stabilire uno scambio di elementi fra gli impiegati dell'amministrazione statale e gli impiegati degli enti locali e privati o le professioni libere, probabilmente sarebbe compiuto, per una via finora quasi impensata, un passo decisivo verso la soluzione della annosa e ponderosa questione della burocrazia.

OBSERVER.