ULTIMA POLEMICA SUI COMBATTENTI

    Augusto Monti conserva il ricordo del movimento di "combattenti" che egli capitanò a Brescia: movimento di ceti medi-borghesi o semi-proletari desiderosi di una politica conservatrice.

    Il movimento nazionale dei combattenti fu tutt'altro: fu un indice della immaturità politica italiana che sostituiva alla questione sociale una discussione sentimentale di gratitudine o di recriminazioni; fu un prodotto dell'odio di classi parassitarie e avventuriere contro gli operai; fu la continuazione di una mentalità nazionalista dannunziana e guerriera che speculava sulla disoccupazione invece di accettare l'umile dovere del lavoro; fu il primo esempio di psicologia e di dottrina fascista. Le forze nuove di domani si dovranno cercare nella vita produttiva della nazione, non nel dilettantismo degli spostati che vogliono vivere di privilegi e di avventure.

    Finita la guerra fu della massa dei combattenti come del fiume che sbocca in mare e le cui acque si mantengono ancora un pezzo, per colore e per sapore, distinte da quelle marine: per un pezzo i combattenti italiani reduci dalla guerra continuarono a formare un tutto assai omogeneo, che non voleva saperne di confondersi così presto con la massa di tutti quegli altri italiani "che non c'erano stati".

    Politicamente pareva quello un movimento assurdo: ma invece, in un paese come l'Italia, da quel movimento, bene inteso e ben guidato, poteva venire alla vita nostra politica, specie nel Mezzodì, un gran bene.

    Capi naturali di quel movimento erano, evidentemente, i cosiddetti "interventisti di sinistra", gente, la maggior parte, che o era, prima della guerra, rimasta fuori dei partiti o era, per la guerra, venuta fuori dal partito socialista. Capo ideale di quel movimento, nella penuria d'uomini che affliggeva e affligge la vita politica italiana, si presentava Benito Mussolini.

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    Ma perché Benito Mussolini potesse bene adempiere al compito di ordinare e guidare le masse dei reduci doveva Benito Mussolini, finita la guerra, finirla anche lui con il cosiddetto "interventismo". E questo per parecchie ragioni, fra cui principali queste due:

    primo: il combattente italiano, come moltitudine, non era né poteva essere interventista: era intervenuto, questo sì; per farne del bene e fargli del bene, bisognava tener presente questa distinzione, accontentarsi della sua qualità e mentalità di intervenuto, e su di questa fondare la sua attività e la sua educazione politica: presentarsi, dopo la guerra, al nostro fante con la prosopopea dell'interventista, voleva dire buttarlo, per forza, in braccio al bolscevismo.

    secondo: "l'interventismo", necessario purtroppo, e quindi utile, nel '15, e per tutta la durata della guerra, continuato dopo la guerra, doveva, fatalmente, sboccare nel nazionalismo e nell'imperialismo per la politica estera, nella guerra civile per la politica interna; l'interventismo proseguito nel dopo guerra portava a far la politica degli stati maggiori e dei pescecani; il combattente italiano non era materia prima per codesta politica: volerlo adoperare per ciò era, ripeto, un buttarlo al bolscevismo.





    Benito Mussolini queste cose non le intese: continuò a far l'interventista anche a guerra finita, anzi allora più che mai, e avvenne quel che doveva accadere: la sua ostinazione a non smobilitarsi la mente lo portò al nazionalismo nella politica estera, all’"anti-socialismo" in politica interna; col che ottenne di cattivarsi, è vero, le simpatie e gli aiuti dei generali, dei siderurgici e compagnia brutta, ma ottenne in pari tempo di estraniar da sé profondissimamente le masse dei combattenti e i nuclei di interventisti di sinistra, che qui diremo "bissolatiani" o meglio "antinazionalisti", o meglio "liberali".

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    E così si formarono i "fasci di combattimento" che furono, sull'inizio, l'organizzazione dei combattenti interventisti-nazionalisti, e l'Associazione Nazionale Combattenti, a cui affluirono i combattenti intervenuti, almeno quelli, ed erano ancora moltissimi, che dalle intemperanze dei nazionalisti e dalle bestialità delle autorità e del governo ancora non erano stati spinti ai partiti estremi.

    Fra i due movimenti, politici tutti e due, non ci fu mai, né ci poteva essere, buon sangue.

    Al congresso dell'Associazione, tenutosi in Roma nel Giugno 1919, Mussolini non c'era, D'Annunzio, che si era portato là apposta, non fu invitato a parlare, il cap. Vecchi, che vi volle fare l'ardito, fu cazzottato e defenestrato; il congresso, disordinato e confuso, in una sola cosa riuscì chiaro, nell'anti-mussolinismo dei combattenti intervenuti.

    Nelle elezioni del '19 i fascisti fecero da sé, e non risparmiarono né frecciate né attacchi ai combattenti dell'Associazione, i quali partecipavano alla lotta politica al fianco di blocchi democratici (per es.: a Milano) o da soli con programma salveminiano (Bari, Sardegna, Brescia, ecc.).

    Dopo le elezioni del '19 combattenti politici e fascisti mussoliniani rimasero più che mai divisi, sebbene elementi nazionalisti annidati nell'Associazione e nel gruppo parlamentare del Rinnovamento, e smascheratisi man mano dopo le elezioni, lavorassero attivamente per accostare al nazionalfascismo la barca, assai sconquassata allora per vero, dell'Associazione -Nazionale Combattenti. Questi tentativi culminarono al congresso di Napoli dell'Agosto del '20, dove nuclei di congressisti nazional-fascisti capeggiati dal Siciliani e sostenuti sotto-sotto da alcuni dirigenti l'Associazione, tentarono la mossa contemporanea di fondere effettivamente l'Associazione col Partito del Rinnovamento e di dare a questo partito un programma nazionalista.

    Il risultato della mossa nazionalista fu... lo sfacelo dell'Associazione Nazionale Combattenti. Dal Congresso di Napoli prima vennero via le sezioni del Nord, che dicevano di non voler far nessuna politica, poi altre del Sud e delle Isole, che dissero di non voler fare la politica dei... Siciliani e dei Cuccia e De Martino; rimasero alcuni amici di... Siciliani e di Cuccia... cioè zero.

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    L'Associazione Nazionale Combattenti fu ricostituita, nel convegno di Brescia del Settembre-Ottobre del'20, e fu ricostituita sulla base della apoliticità, salva l'autonomia delle federazioni provinciali. Il convegno di Brescia, per quanto non vi si facesse espressamente della politica, non ebbe certo carattere nazionalfascista. I combattenti bresciani erano dichiaratamente antifascisti; molti oratori fecero dichiarazioni nettamente favorevoli al movimento operaio facente capo alla Confederazione Generale del lavoro; un tentativo del mutilato Delcroix di provocare una dimostrazione pro Dalmazia italiana cadde nel vuoto; degli eletti del direttorio, nessuno aveva, allora, idee o simpatie nazionalfasciste: di quelli che furon poi, e sono, i dirigenti definitivi dell'A.N.C. il solo Arangio-Ruiz era fascista o simpatizzante fascista, gli altri avevano, per quante io so, tutti idee ben diverse è ben lontane del quelle del nazional-fascismo.





    Si veniva intanto alle elezioni del '21, quelle dei blocchi nazional-fascisti. L'Associazione Nazionale Combattenti come organismo nazionale, fedele alla sua apoliticità, non vi intervenne; vi intervennero invece alcune federazioni provinciali (per. es.: Brescia, Genova); dappertutto dove i Combattenti fecero, elettoralmente da sé, le ire dei fascisti si volsero dai socialcomunisti contro i combattenti autonomi, il cui movimento, tranne che in Sardegna, uscì da quelle elezioni stroncato.

    Dalle elezioni del '21 alla marcia su Roma, si fece sempre più evidente il proposito dei fascisti di assorbire essi il movimento dei combattenti; o per lo meno di controllarlo con l'immissione in massa di loro soci nelle sezioni e con colpi di mano alle elezioni delle cariche: tipico perciò quello che avveniva regolarmente alla sezione di Milano, dove, da quando ne aveva assunto la presidenza il Bergmann, reo di un certo o. d. g. approvante il trattato di Rapallo, ad ogni elezione, e, si può dire, ad ogni seduta, si ripeteva il tentativo fascista di sbalzarlo e di impadronirsi della Sezione.

    All'infuori di questi episodi, che riguardano l'organismo amministrativo dell'Associazione, stanno a dimostrare la tensione che era fra Combattenti e Fascisti tutti gli atti di violenza perpetrati in quel periodo da fascisti nelle varie parti d'Italia (Sicilia, Sardegna, Puglie, Toscana, Cremonese) contro persone e istituzioni di Combattenti: e chi vive a contatto con reduci di guerra, anche con quelli che sono fuori dalle competizioni dei partiti, ha potuto raccogliere larga messe di documenti che comprovano quanto fosse e sia dal combattente autentico odiato e malvisto il nazionalfascismo.

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    Dopo la marcia su Roma chi studia i rapporti tra fascismo e combattenti nota questo fatto: da un lato il proseguire, anzi l'intensificarsi, delle persecuzioni da parte di fascisti contro combattenti; dall'altro la cura costante dell'on. Mussolini di stabilire buoni rapporti tra il suo Governo, o meglio, tra la sua persona e i Combattenti, o meglio, e l'Associazione Nazionale Combattenti.

    Benito Mussolini, già prima di salire al governo, ma dopo ancor più, ha avuto vivissime due preoccupazioni: quella di conquistare i Romagnoli e i Combattenti; ed ha, cocenti, due rammarichi, di non aver potuto ancora conquistare né gli, uni né gli altri. Per cattivarsi i Combattenti e poter riuscire ad aver il loro crisma di Duce dei combattenti italiani, da quando è salito al governo, Benito Mussolini ha fatto di tutto: ha eretto 1'Associazione in ente morale, ha distrutto si può dire completamente l'Unione dei Reduci cattolici, ha promesso alla Combattenti l'Opera Nazionale con tutti i suoi milioni; ha pregato 1'A. N. C. di fornirgli uomini da immettere negli organismi statali; ha fatto insomma di tutto.





    Ed i dirigenti dell'Associazione Combattenti, poveretti, che cosa dovevan fare? Ora che l'Associazione è apolitica essi dovevan curare gli interessi degli associati, i soli interessi a cui possa badare una Associazione apolitica, cioè gli interessi materiali, economici, giuridici; e questo han fatto codesti benemeriti dirigenti, presentando memoriali, avanzando desiderata, accogliendo i benefizi fatti ai combattenti, e ringraziando.

    E in compenso che cosa han dato, finora, a Mussolini? Dei vaghi riconoscimenti delle benemerenze del Governo Nazionale nei riguardi degli interessi dei Combattenti e del paese e delle platoniche e "Sturziane" promesse di collaborazionismo... a distanza.

    Mussolini pare che non se ne accontenti ed ora, per mezzo specialmente del Consigliere Nazionale Arangio-Ruiz, finalmente, è riuscito a combinare un gran convegno di Combattenti dell'Associazione Nazionale, a Roma, pel 24 giugno, con suo importante discorso in Campidoglio.

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    Che cosa dirà Mussolini ai Combattenti in Campidoglio il 24 giugno? Non so, ne m'interessa straordinariamente.

    Più m'interesserebbe sapere quel che a lui diranno i Combattenti dell'A.N.C. e per essi i loro dirigenti.

    I quali dirigenti sono troppo intelligenti e troppo probi, personalmente e politicamente, da dimenticare in tale occasione, che essi rappresentano unicamente una Associazione oramai APOLITICA, e che essi quindi dai loro amministrati hanno unicamente il mandato di curare e rappreséntare i loro interessi NON POLITICI, cioè i loro interessi giuridici ed economici.

    Ché se per avventura Benito Mussolini, come da qualcuno si va dicendo, contasse di attirare nella sua maggioranza personale, per le prossime elezioni, anche i Combattenti Italiani organizzati dall'A.N.C. i dirigenti dell'Associazione, sapranno bene far intendere al Capo del Fascismo che il movimento politico dei Combattenti è morto e che essi non possono né debbono risuscitarlo a favore di chicchessia.

    I rappresentanti dei Combattenti italiani riuniti nell' A.N.C. sapranno bene in ogni modo distinguere, come han saputo distinguere i Romagnoli, fra "el nost Benito" e il capo del Fascismo Italiano: per i Combattenti Italiani, se mai, "el nost Benito sarà il caporal dei bersaglieri, decorato, ferito, mutilato e autore di certo Mario, in cui tra l'altro si parla di trincee sanguinose, che saranno i solchi donde nascerà la messe di libertà per tutti i popoli; ma per i Combattenti Italiani questo Mussolini è scomparso da quando in luogo di lui è sorto il capo del nazional-fascismo italiano, di quel nazional-fascismo che colmava di vituperi un combattente come Leonida Bissolati, di quel nazional-fascismo che nel 1921 fece i blocchi contro i combattenti puri e con la demo - social - pescecaneria italiana; di quel nazional-fascismo che ancora dopo la marcia su Roma, nel febbraio scorso, con un o.d.g. approvato dal Gran Consiglio, poneva il principio che nessuna differenza si doveva fare tra i soldati italiani morti e mutilati nella grande guerra dei popoli ed i fascisti morti o mutilati nella cosiddetta "rivoluzione fascista".

    Che se di fare almeno codesta distinzione si dimenticassero i dirigenti dell'Associazione Nazionale Combattenti, stiano tranquilli essi, stia tranquillo Benito Mussolini, che se ne ricorderà - per la - Vita - il povero fante.

AUGUSTO MONTI