I RISULTATI DELL'INCHIESTA AGRARIA

Cultura di rapina e cultura estensiva

    L'Italia agricola si trova in un periodo di transazione perché trascina seco il suo passato, sorto da circostanze affatto diverse, ed è incalzata dai problemi dell'avvenire. Ci sono due tipi di agricoltura, la primitiva, semplice, patriarcale, estensiva, che si fonda soltanto sul lavoro e sul suolo e l'agricoltura intensiva, ridotta a vera industria che si vale dell'intelligenza e dei capitali dell'intraprenditore. Il passaggio dalla prima forma di agricoltura di rapina e spogliatrice alla seconda avviene a man mano che si presenta il tornaconto. Ma in Italia benché tutte le coltivazioni vi siano possibili non si è migliorata l'economia rurale per l'orizzonte ristretto delle idee e dei bisogni che durante l'antico regime dominavano nei governi e nei privati tutti fiduciosi nella naturale ricchezza della penisola. Non bisogna stupirsi che, come reazione a questo ottimismo, si venisse determinando una completa sfiducia nelle nostre possibilità. Ora se per ricchezza si intendono i doni che la natura porge spontanea all'uomo è evidente che l'Italia è un paese povero ed esaurito. Due terzi della superficie sono montuosi e di questi due terzi 56.000 kilometri quadrati incoltivabili perchè nevosi o rocciosi. Il resto dei due terzi contiene magri pascoli naturali utilizzati dalla pastorizia nomade nell'estate e foreste d'alto fusto, destinate a tramandare una ricchezza permanente alle future generazioni e ora distrutte dall'avidità dei contemporanei con grave danno del clima e del regime delle acque. La sola ricchezza di queste nostre montagne rimane il castagno.

    I colli e gli altipiani soffrono di siccità. Nelle pianure l'agricoltura è affatto artificiale, il suolo non regge il confronto di altri terreni europei per ricchezza di depositi alluvionali. Manca dunque in Italia per un'agricoltura estesa e patriarcale il fattore essenziale, cioè il suolo; il lavoro, che vi è invece attivissimo, può essere meglio utilizzato in un'agricoltura di tipo intensivo. La quale ci permetterebbe:

    1) di iniziare con l'intervento del governo il rimboschimento e le bonifiche.

    2) la possibilità di avvicendamenti più razionali con strumenti più adatti e concimi su più larga scala.

    3) l'aumento delle piante arboree e degli ortaggi con il miglioramento della irrigazione e lo sfruttamento del nostro sole.

    4) la migliore utilizzazione del nostro contadino intelligente e laborioso.

    La siccità si potrebbe vincere coltivando prevalentemente piante da foraggi che vi resistono (erba medica e certe leguminose, per es., le fave).

    A chi, contro queste speranze, ricordasse come insuperabile la naturale sterilità del suolo, provata dalla bassissima media di produzione del frumento, si può rispondere che gran parte della coltivazione è promiscua e che il frumento si suole coltivare anche in terre meno adatte.

L'industria dell'agricoltura

    Un paese puramente agricolo non può essere l'ideale dei nostri tempi, anche perché in una economia esclusivamente agraria è difficile la formazione di risparmio. Ma i commercianti e gli industriali arricchiti impiegano volentieri il loro denaro nell'acquisto di terre e sono più accessibili alla novità nei sistemi di coltivazione. Per esempio, le opere di irrigazione in Lombardia sono costate assai più della somma corrispondente al valore presente del complesso di quelle terre, e si dovettero all'opera di gente arricchita dai commerci cittadini. Uno dei fattori utili può essere per questo aspetto il credito agrario. La formazione di capitali mobili sarà il solo rimedio al pericolo della formazione di un proletariato di proprietari e determinando l'applicazione delle macchine abolirebbe il personale avventizio che si trova ora in condizioni tristissime e migliorerebbe il tenore di vita degli altri operai rurali. Alla diminuzione del numero degli operai agricoli resa per ciò inevitabile riparerà l'emigrazione.

    Un periodo nuovo incomincia per l'Italia con l'apertura del Canale di Suez che può determinare un forte risveglio dei commerci e delle industrie. Ma si tratta di abolire gli ultimi resti di feudalismo che rimangono nelle coscienze. Bisogna che gli Italiani s'interessino alla vita agricola senza confondere, come sogliono, questo interesse con l'amore per la villeggiatura.

    Tale interesse risulterà effettivo e fecondo se si tradurrà in una rinuncia alla politica dispendiosa, che pesa sotto forma di imposte sull’agricoltura. Vedremo allora sostituirsi ai contratti di appalto l'ingerenza diretta dei proprietari agiati nella gestione dei loro beni rurali. Col miglioramento dei costumi e delle condizioni economiche sparirà l'usura, che è una forma della speculazione di mercanti agiati sull'ignoranza e sul bisogno dei contadini.

    Insomma l'agricoltura italiana non ha altra via per il futuro fuorché la lotta che la trasformi in una vera industria.

    Se l'Economia seguirà questo suo ritmo naturale non avremo una questione sociale specifica della campagna. Il pauperismo campagnuolo non sarà diverso né più grave del pauperismo cittadino. Nella vita agricola si ha facilmente il senso che la proprietà non è un privilegio e che i proprietari non sono una classe. Nella piccola proprietà si vedono realizzati insieme il principio liberista che la terra deve essere di chi fornisce i mezzi che la fanno fruttare e il principio comunista che la terra è di chi la lavora. Soltanto nella grande cultura intensiva rimangono distinti i tre fattori della produttività: proprietario (suolo) conduttore (intelligenza e capitale) operaio (lavoro manuale).

    La parola del socialismo di fronte alla crisi agraria viene in tutti i casi insufficiente; infatti oggi le vittime del pauperismo sono: i proprietari coltivatori troppo piccoli, i coltivatori mezzaioli negli anni di fallanza, i coltivatori che vivono molto addensati in territori di mediocre fertilità, i coltivatori salariati incaricati di lavori ai quali si potrebbe supplire colle macchine, i salariati avventizi esposti alla disoccupazione.

    Solo l'emigrazione salverà durevolmente questi ceti dalla miseria.

Il compito del governo

    Resta a parlare dei compiti del governo rispetto all'agricoltura dal punto di vista giuridico, amministrativo, economico. Basterà enumerali.

    Il Ministero dell'interno deve:

    1) reprimere i furti campestri;

    2) sorvegliare e tutelare l'emigrazione difendendo i cittadini dagli accaparratori di emigranti e costituendo apposite agenzie;

    3) curare l'igiene del popolo rurale e avviare ad una soluzione il problema delle abitazioni. La miseria delle abitazioni di troppi ceti contadini è invero desolante e costituisce un perpetuo pericolo per la salute degli individui. Occorre accordare un condono d'imposta per i fondi destinati alla fabbricazione di dimore e aiutare con prestiti della cassa depositi;

    4) porre un freno alle eccessive spese dei comuni;

    Il Ministero di grazia e giustizia deve:

    1) instaurare una procedura per le cause civili meno costosa e più spiccia;

    2) accrescere la competenza dei giudici conciliatori;

    3) liberare la proprietà rurale dai vincoli e gravami che la inceppano (enfiteusi, canoni, censi e livelli, decime, condominii e diritti promiscui, servitù d'uso, erbatico e pascolo nelle province venete, ecc.).

    Il Ministero degli esteri deve curare nelle stipulazioni dei trattati di commercio gli interessi rurali tenendo presente che noi siamo importatori di merci manufatte ed esportatori di materie agricole.

    Il Ministero della guerra deve, nel chiamare soldati sotto le armi, tener conto delle epoche di lavoro nei campi.

    Il Ministero dell'istruzione pubblica deve abbandonare a quello dell'agricoltura le scuole agrarie superiori.

    Il Ministero delle finanze deve diminuire l'imposta sul sale, sopprimere le tasse di registro applicate alle permute, abolire i decimi di guerra sull'imposta prediale, non tassare le case rustiche come qualcosa a parte dei terreni, fecondare gli istituti del credito agrario, trasferire al ministero dell'agricoltura le acque demaniali che servono per l'irrigazione.

    Se si separerà il Ministero dell'agricoltura da quello di industria e commercio sarà anche più agevole affrontare il problema del rimboschimento, con criteri organici e direttivi; senza notare che un Ministero che si occupi esclusivamente di agricoltura saprà curare l'insegnamento agrario, migliorare i servizi di statistica e preparare gli studi indispensabili.