CATTOLICISMO POLITICO

    Con una prefazione di Filippo Meda don Ernesto Vercesi, vuole presentarci la storia del movimento cattolico in Italia (1); vorrebbe anzi produrre una raccolta di "materiale documentario" e col soccorso della sua propria esperienza, di prim'ordine e di primo piano per gli anni che vanno dai tempi aurei e procellosi dell'Osservatore Cattolico al pontificato di Pio X, una specie d'interpretazione legittima di quel materiale: un ottimo proponimento e altamente opportuno. La storia di dopo il '70 è ancora in gestazione, e manca perfino la cronaca e la monografia; manca, si direbbe quasi, il sentimento di questa possibile storia, la voglia e l'interesse di tener vive le fonti, la messe delle notizie e il fiorire degli aneddoti; non ci sono spigolature di fatti o magari di fatterelli, derivazioni sentimentali o romanzesche, culto di eroi o di partiti. Al solito, l'attenzione è quasi tutta volta al campo letterario, o alle ripercussioni italiane di movimenti nati all'estero, come s'è fatto col socialismo.

    Con Roma capitale il movimento cattolico acquista una chiara risonanza nazionale e un valore politico in tutte le sue manifestazioni centrali. La storia dei Papi è di nuovo storia d'Italia, e occasione e fattore di politica interna. La ripercussione negli animi dell'attività Vaticana diventa elemento essenziale della psicologia del Regno e testo di prova della coscienza e della volontà nazionale. Forse l'entrata a Roma dello stato, fuga l'ultimo residuo di quel secolare e tanto diffusamente rilevato e proclamato adattamento per cui l'indifferenza e la pigra, scettica autonomia personale si sposa con l'ossequio esterno e la bigotteria. Dopo il '70 la religione è posta come un problema cardinale delle coscienze. Un buon cattolico con questo criterio dovrebbe desiderare di ricostruire, incentrandosi a Roma oltre il portone di bronzo e col sussidio degli Atti e dei commenti della Sede Apostolica, la figura della vita italiana e il suo svolgersi dal primo momento di oscuro sospetto e di chiuso e livido contrasto alla piena pacificazione significata nel sorgere del partito popolare. Questo disegno non s'è mostrato di certo alla mente di don Vercesi, che ci fa vivere nel suo libro momenti tra loro separati senza nesso né ordine. Con molte sconclusioni sconcertanti tenta di fare l'apologia di due ore, quella di don Albertario e quella di... Meda, cercando di mostrarci una filiazione diretta fra l'una e l'altra e oscurando, perché sono fatti che bruciano, tutta l'interposta azione di Pio X. Leone XIII lancia al mondo l'enciclica "Rerum Novarum" e l’Osservatore Cattolico, mutando improvvisamente rotta - anche per opera di Filippo Meda che entra nella redazione – la interpreta e la amplifica: tali le premesse necessarie perché Meda entri in parlamento, donde salirà al governo d'Italia in un'ora grave, ponendo così un termine a quella linea di svolgimento nazionale, che sarebbe una delle "direttive sostanziali e sintetiche del movimento cattolico italiano"; l'altra è la direttiva "sociale"; a che cosa miri e che fondamento abbia non è detto – son sacre parole a cui qualunque chiosa è un'offesa; ma quanto le implicite idee sono chiare si vede a pag. 244 dove si fa un'allegra confusione tra i semplici termini di classe e di categoria.

    Il vero peccato di questo libro è che potrebb'esser tutt'altro; e così come è è ipocrita e insidioso. Don Vercesi vi mantiene una posizione non di tendenza o di battaglia, ma di partigianeria: quello che non gli fa comodo tace. Il materiale documentario è parzialissimo e sciatto, ma con l'aiuto dello stile modesto e delle ristrettissime affermazioni personali tenta di mostrarlo in una luce obbiettiva e come se fosse destinato alle libere influenze altrui, si sa che questi scopi sono assurdi, ma si vede una volta di più quanto sono intimamente insinceri.

    Ci vorrebbe la dottrina - e l'esperienza sopra tutto – di don Vercesi per ribatterlo e integrarlo quasi pagina per pagina, cioè per rifare il suo libro. Permettiamoci di osservare una cosa sola: con l'ausilio della "Rerum Novarum" e impostando su di essa, come si deve fare, la storia della democrazia cristiana che è quindi l'ultima conseguente parola interpretativa e normativa della Chiesa Cattolica di fronte al Mondo e a' suoi nuovi problemi economici e sociali, come si può sboccare a una condanna in blocco dell'opera di Miglioli e a un'esaltazione - a dispetto di Don Sturzo elegantemente svalutato e allontanato – dell'on. Meda? Perfino i framassoni si sono accorti che nell'esperimento di Miglioli c'era qualche cosa d'originale e d'intraducibile, se poté attuarsi in questi anni felici senza spargimento di sangue... Ma bisogna tenere a mente che il libro è stato scritto a Milano, dove la logica è quistione di convenienze; i fatti di Soresina non seguivano a puntino le direttive "nazionali". Come sempre nazionale vuol dire approvato e ammesso dai ben pensanti.





    Ben altra importanza e un valore un po' nascosto, che bisogna andare a cercare superando un'immediata impressione di stento e di durezza, ha il libro di don Sturzo (2). Son sei discorsi tenuti tra il '19 e il 23, che si conoscevano dai giornali a pezzi, secondo le affermazioni politiche momentaneamente più in luce, e non riuscendo a vedere stesa la trama, li precede una specie di carta costituzionale del popolarismo, schematizzata in venticinque numerati capisaldi. Se questa prima parte è da rilevare per la chiara impostazione del concetto di stato di fronte al programma specifico del partito, non è necessaria invece per dare unità e fondamento comune a quei discorsi, che si reggono da sé e precisano e svolgono una netta pratica, ribadendo forse con un'insistenza un po' noiosa e con la ripetizione di motivi sempre eguali alcune che si potrebbero perfino chiamare idee fisse: e questo sia detto per coloro che accusano il popolarismo d'essere una sfinge ne' suoi propositi e di non aver altra mira che l’arraffamento di favori e di poteri. Il centro del pensiero sturziano e la sua origine è nella esaltazione e nella rivendicazione della famiglia come prima forma etica e germe e nucleo fecondo d'azione di contro alla meccanicità degli altri istituti, imposti per atto intellettualistico più tosto che generati per bisogno genuino; questa famiglia è intesa in senso Cristiano, come atto di amore e di riconoscimento verso un principio che la trascende e le dà la sua legittima forza morale; e postula quindi di fronte ai poteri – che, non costituiti in quella luce, in quanto non la irradiano sono prepotenti – il diritto alla sua indipendenza e al suo ordine autonomo; donde la necessità che il potere statale, insensibile a quei bisogni e quasi avulso, per ignoranza e incapacità di coscientemente aderirvi, da quel mondo, sia mediato, decrescendo in ampiezza e in generalità e accostandosi come sistema di intima e sicura interpretazione e manifestazione all'ordine famigliare, dalla regione dalla provincia e dal comune. Il senso della famiglia come istituto cardinale nell'animo di don Sturzo s'è avvantaggiato e integrato con la sua lunga pratica di sindaco, primo forse fra i più che ottomila sindaci d'Italia che si sia sentito per il suo ufficio diventare uomo di stato provvedendo a crearsi a traverso quella che sarebbe per i più una piccola funzione amministrativa una forte esperienza politica. Senza i quindici anni di sindacato non si spiega l'azione del partito popolare, polarizzato intorno alla necessità di questa riforma statale dall'intimo e dal basso che don Sturzo dove' certo faticare a far entrar nell'animo dei cento deputati. Si connette alla rivendicazione della Famiglia la lotta per la proporzionale (bisogno di perfetta rappresentanza, in modo che ogni unità abbia il suo peso), per il suffragio femminile (che darebbe, nelle classi incolte, entro la famiglia, un doppione al voto maschile, e nelle classi colte, rappresenterebbe una forza di difesa e di tutela dell'ordine famigliare), per la libertà della scuola; e perfino in termini famigliari, di emigrazione e di colonizzazione, è considerata la politica estera.

    Il continuo ritorno alle affermazioni teoriche sembra essere per don Sturzo un atto istintivo di sincerità e quasi un bisogno; i mezzi di attuazione sono pure contingenze, indegni d'una qualsiasi considerazione oltre il loro rapporto allo scopo proposto. La storia nella sua mente non sembra mai giustificata, ma soltanto un terreno indiziario per scoprire le radici dei problemi e le cause dei mali che ci tormentano: più tosto che essere nel passato la storia comincia domani; degli uomini e degli istituti sono importanti sopra tutto i difetti. Appare nella sua azione una mancanza di chiarezza pratica, e il rapido servirsi degli arnesi e abbandonarli significa la sua poca volontà di conoscerli, la sua troppo pronta agilità. Tra teoria e pratica si spalanca un baratro e fino nell'esposizione del programma certe parti sembrano affrettate, meno illuminate o addirittura contradditorie, non si resta ben convinti per esempio che l'estensione del suffragio alle donne aiuti la vita della famiglia, e si direbbe anzi che faccia a' cozzi col tradizionale principio dell'unità familiare. Dove gli manca un preciso concetto di partenza, come in politica estera, non riesce assolutamente a nulla e per non sbagliare, o forse per non compromettersi, si esula dai problemi concreti e getta un facile e generico discredito su tutti i modi d'azione. "Nessuno in Italia si occupa di politica estera": questa affermazione perspicua sta a base del suo ragionare; ma ripetendo tali parole non s'accorge d'essere il primo di quelli che non se ne sanno occupare nel rammarico di tale affermazione essendo insito un errore di giudizio. L'arbitrarietà e la libertà della nostra politica estera di fronte alle mene interne permette la politica di Sforza e consente a Mussolini d'avvallare Rapallo. Il campo dove siamo peggio costretti a una linea di necessità è quello dove il nostro genio si può meglio manifestare. Don Sturzo vorrebbe manciparlo al beneficio dei contadini di Caltagirone, ai sentimentalismi dell'onorevole Vassallo, ai risentimenti di Marc Sangnier o di altri amici francesi, senza scontentare il centro tedesco; speriamo che in simili problemi non abbia mai da dare suggerimenti.





    Tolte queste ombre il movimento popolare appare assai fruttifero, anche perché supera una concezione dottrinale e dogmatica, pur procedendo in parte dalla scuola cristiano-sociale (un ottimo terreno antiteorico era quello della nostra democrazia cristiana, dove finirono tutti i sentimentalismi e più pareri e più antitesi che teste di aderenti) per fondarsi su una realtà ignorata dagli altri partiti; non fabbrica una serie di valori "ex nihilo" ad uso di propaganda, ma pone un criterio e riconosce un bisogno che agisce profondo per tutti gli Italiani. Se vi fosse sottratta la famiglia il movimento popolare sarebbe anarchico e romantico, com'era l'unitarismo salveminiano. C'è sempre pericolo a voler riordinare le cose facendo di leva su un sentimento; che l'azione della gente scaldata e esasperata travalica e si libera da tutti i freni. Ma viene in mente che questo istituto-rifugio degli Italiani, non guasto dalla retorica (é troppo vicino) e costoso di sudori e di sacrifici, sia qualche cosa più che un sentimento, sia proprio quel centro di vita e quella norma che tanti s'arrabattano e cercare in sfere più larghe e ogni tanto affermano con alte voci di averlo scoperto: Stato, Nazione, Internazionale; che in qualche luogo dovrà pur nascondersi, se no a quest'ora la nostra compagine si sarebbe rotta. Il pericolo cui s'accennava è poi lontano, che la lotta non s'inizia a bandiere spiegate e il presupposto sturziano resta organico e profondo nel suo pensiero, fa a meno di glorificazioni e d'incensamenti; vive in lui come una fede da serbare, non come una ragione sentimentale e retorica da infiammarne gli animi. Per la passione, tacita e quasi covata, di cui si sente che è acceso vien voglia di credergli; e d'aiutarlo, come si possa, a rimaner a galla in questi frangenti, perché proprio ora l'esperimento diventa bello ma, passato lui, non ci sarebbero eredi e avremmo salutata invano quest'alba che sembra prometterci una libertà futura.

U. M. Di L.

(1) E. VERCESI: Il movimento cattolico in Italia - Firenze, "La Voce", 1923.