La Religione e il carattere degli Italiani
PAOLO SARPIDella maggior ricchezza d'informazioni recentemente raccolte intorno a F. P. Sarpi, noi andiamo debitori ad un sagace filosofo finlandese, il Rein. Egli, giovandosi segnatamente di corrispondenze di legati pontificie veneti e di stranieri protestanti, conservate negli archivi di Venezia, di Roma, di Monaco di Baviera, di Londra e di Parigi, ha raccolta e coordinata, sull'argomento Paolo Sarpi e i Protestanti, tale messe di documenti che si integrano e si confermano a vicenda, da rendere vana ormai la polemica sull’autenticità delle lettere del Sarpi, che erano sinora i soli documenti, sempre sospettati, del suo vero pensiero in fatto di religione. Ma ora, se anche tutte quelle lettere non esistessero, avremmo di che sostituirle. VeneziaVenezia fu la città d'Italia, che più presto e più forte sentì l'influenza della riforma protestante. La ragione principale di ciò stava nell'essere essa quel grande centro dei traffici, dove convenivano cittadini di ogni nazione, d'Oriente come d'Occidente; ai quali tutti il Governo della Repubblica, per quanto cattolico, consentiva indistintamente la libera pratica delle rispettive religioni: come agli Ebrei ed ai Maomettani, così evidentemente, tale libertà, non poté non essere riconosciuta agli stranieri protestanti. I propagandisti protestanti potevano dunque guardare a Venezia con buone speranze per la propria causa, date soprattutto le circostanze politiche dell'inizio del secolo XVII. Venezia si trovava stretta da più lati da dominii della Casa d'Absburgo o da Stati ligi a questa. Per non restare soffocata da un accerchiamento totale, era perciò inevitabile che essa coltivasse amicizie ed alleanze con le potenze nemiche del blocco cattolico absburghese: con la Francia di Enrico IV e con gli Stati protestanti. Gli interessi politici coincidenti prevalevano sulle tendenze religiose antagonistiche. Successivamente, tali relazioni con nazioni protestanti o non aliene dal protestantesimo gioveranno alla propagazione di questo in Venezia, specialmente per mezzo degli ambasciatori, residenti o temporanei, inviati dall'una e dall'altra parte. Quando poi, a questi dati dell'indirizzo politico generale, venne ad aggiungersi la posizione di battaglia assunta da Venezia contro Roma nella contesa dell'Interdetto, nuove speranze arrisero ai protestanti nell'azione della Repubblica, anima della quale era il suo grande Consultore. Di qui, un attivo lavorio per far progredire la causa protestante fra la cittadinanza di Venezia. Questo lavorio trovava il suo fulcro appunto in Fra Paolo Sarpi. Una numerosa serie di emissari protestanti svolge la sua attività in Venezia. Dal 1604, re Giacomo I d'Inghilterra vi manda un Legato stabile, che fu una notevole figura di diplomatico: sir Henry Wotton. Era il primo diplomatico protestante in Venezia. "Legatus – scrisse l'arguto e letterato gentiluomo nell'album di un amico – est vir bonus, peregre missus ad mentienduin reipublicae causa". E seppe così bene applicare questa massima, che non solo assicurò alla Repubblica ch'egli non avrebbe fatta opera di propaganda anticattolica; ma al gesuita Possevino, col quale aveva frequenti conversazioni, fece credere addirittura di essere un cattolico, che si celasse sotto spoglie di protestante! Il Wotton organizzava invece la propaganda protestante, introduceva libri protestanti, e cercava di far venire a Venezia Giovanni Diodati, il celebre traduttore della Bibbia in italiano, per fondare una comunità religiosa. Col Wotton, oltre che col suo predicatore protestante, il Bedell, Fra Paolo Salpi aveva frequenti e lunghi colloqui. Poi fu il principe di Anhalt, fondatore del1'Unione Evangelica tra principi luterani e calvinisti (1608) e grande nemico degli Absburgo, che mandò a Venezia un emissario, Cristoforo burgravio di Dohna, per rendersi conto delle possibilità dei protestanti in Venezia e per consigliarsi col Sarpi se fosse il caso di offrire al Governo veneto l'aiuto dei protestanti contro il Papa. Dei colloqui col Sarpi ci rendono conto note scritte del Dolina medesimo, certamente genuine, le quali hanno l'aspetto di rapidi appunti formulati subito dopo la conversazione. In tali colloqui, il Sarpi manifestò nel modo più esplicito, le proprie simpatie per il protestantesimo, sì che le note del Dolina sono d'importanza centrale per la conoscenza del pensiero sarpiano a questo proposito. Uno spirito guicciardinianoParlando col Dohna, il Sarpi spiega che nelle prediche era bandita la verità evangelica, senza tuttavia che vi dichiarasse che la Chiesa cattolica professa altre dottrine e senza opporsi apertamente ad essa. Così i protestanti intendevano benissimo lo spirito di tali prediche, e i cattolici, dal canto loro, non se ne potèvano scandalizzare. Tutto ciò è discretamente gesuitico, per un simpatizzante del protestantesimo! Il Sarpi insisteva anche sull'utilità di avere in Venezia agenti autorizzati di Stati protestanti, per aiutare la religione evangelica, con propaganda orale e per mezzo di opuscoli, confessioni di fede in italiano, e così via. Una o due volte al mese, il Sarpi avrebbe anche potuto comporre un breve scritto di propaganda, da diffondersi per mezzo della stampa, con l'aiuto del Wotton. Quando poi si fossero illustrati al popolo i mali della Chiesa cattolica, allora si sarebbe potuto proclamare come essi tutti procedano dal Papa, e schierarsi apertamente contro di lui. Ad ogni modo, il Sarpi dichiara preferibili i mezzi cauti e graduali, ad un'azione clamorosa e repentina, tanto più essendo passata ormai l'occasione della lotta col Papa. Una volta poi ottenuto di poter predicare liberamente l'Evangelo, si sarebbe pensato a formulare una confessione di fede, col consiglio delle Chiese d'Inghilterra, di Svizzera, del Palatinato e dì Ginevra. Intanto, bisognava aver pazienza e sopportare le cerimonie della Chiesa cattolica, così come egli – Fra Paolo – si adattava a celebrar la messa, benché contro le proprie convinzioni! In queste dichiarazioni c'è tutto il Sarpi. Inutile, dopo di esse addurre passi di lettere sue, od analizzare i rapporti di lui con altri agenti protestanti, quali il Liques, il Biondi, il calvinista Lenck inviato dell'Anhalt, l'olandese Van der Myle, il Von Hutten inviato del luterano Duca di Pfalz–Neuburg, cui il Sarpi dichiarò che ravvisava nella Confessione d'Augusta veram et sanctam theologicam simplicitatem. Ma si badi l'approvazione alla Confessione d'Augusta non va intesa come un'adesione a questa sola professione di fede protestante, ad esclusione d'ogni altra: è un'approvazione generica, data più allo spirito informatore, che alla precisa lettera di essa. Infatti in una lettera del Sarpi troviamo lodi anche maggiori alla Confessione boema. Ma con quali argomenti è motivata la sua ammirazione! Essi, se mostrano nel Sarpi un acuto spirito politico e un certo desiderio di conciliazione, non discaro alle nostre menti moderne, lontane dai tempi dell'ardente conflitto della Riforma, sono certamente tali da scontentare ogni appassionato protestante, così luterano come calvinista. La Confessione boema – scrive il Sarpi – "è composta da persone molto dotte e molto prudenti, perché tratta tutti gli articoli in tal maniera, che li Luterani possono dire esser secondo la loro dottrina, e i Calvinisti similmente secondo la loro, con parole, e sensi così bene accomodati che nessuna parte può dire che vi manchi niente della dottrina sua, né alcuna si può dolere, che l'altra sia avvantaggiata. Io confesso di non aver visto scrittura così discreta e prudente, e veggo che codesti Dormiglioni vigilano però nell'importanza: per me gli ammiro. Mi è stato molto caro d'intendere come abbino composto il lor Concistoro di ambe le parti (luterani e calvinisti)... e concludo che a governar il mondo con quiete sii più necessaria una grossezza mediocre, che soverchia sottilità. Si sente, in queste parole, come in tanti altri spunti sentenziosi del Sarpi, uno spirito caratteristicamente italiano, una cert'aura del nostro Rinascimento, un che di Guicciardiniano, acuto, serio, ma un po' scettico nel fondo. Ben altro era il Sarpi che gli aulici protestanti avevan desiderato, che s'erano anche un po' raffigurato a modo loro, e non sapevan rassegnarsi a non ritrovare nel vero, e vivo Sarpi! La "superflua cauzione" degli italianiEbbene, a noi, uomini moderni e osservatori lontani, sarà più agevole non mescolare, come essi fecero, le nostre passioni al giudizio sul Sarpi. Estimatori della coerenza ideale, qualunque sia il contenuto ch'essa affermi, delle posizioni nettamente assunte, restiamo perplessi noi pure, anche senz'essere né protestanti né cottolici, di fronte a questo eccesso di tolleranza, a questa fiacchezza ideale. No davvero, il Sarpi non fu uno spirito religioso, per il quale la intolleranza è manifestazione della forza, del calore intimo della fede, e come tale è sacrosanta e ammirevole al pari dell'ardore del guerriero. Ben facilmente si comprendono le impazienze, i rimproveri, lo scontento dei suoi amici protestanti che invano lo spingevano all'azione: del Duplessis-Mornay, il "Papa degli Ugonotti", del Diodati e di tanti altri. A tutti costoro, nei quali la volontà prevaleva sull'intelletto, il Sarpi opponeva una forza d'inerzia e una lucidità di giudizio da far disperare. Al Diodati egli protestò, quasi piangendo, di esser costretto dalle circostanze a non prender partito apertamente per il protestantesimo, per non abbandonar Venezia, la quale sarebbe così caduta in mano del partito del Papa e dei Gesuiti. Parve al Diodati che l'intimo convincimento del Sarpi fosse: non esservi bisogno di una pubblica confessione di fede, perché Dio considera l'animo e la mente dell'uomo. E il Diodati riassumeva il giudizio, che s'era formato del Sarpi, in questa frase incisiva: "je ne juge point qu'il soit jamis pour donner te coup de pétard". Ma queste sono valutazioni negative. Quale era, nel fatto, il Sarpi, caro o non caro che tale suo carattere possa riuscirci? Non tempra di apostolo, di riformatore religioso: troppo riflessivo per infiammarsi d'una idea sino a perseguir questa contro ogni ostacolo anche insuperabile, egli stesso si conosceva tanto bene, da definire, parlando col Diodati, la propria indole come adatta essenzialmente ad una continua, silenziosa operosità, come quella che poteva svolgere nel suo ufficio di Consultore. Alle esortazioni del De l'Isle ad agire, egli rispondeva: "La pregherò di considerare, che in considerazione molte cose sono da noi chiamate buone, che nell'esecuzione sono cattive, mancandoci l'opportunità, la quale sola produce la vera bontà nell'azione. Sarebbe molto bene l'adoperarsi in servizio di Dio senza nessun rispetto, se tutte le circostanzie vi consentissero: ma questo, fatto senza opportunità, non sarà degno di nome di bene; anzi potrebbe esser d'impedimento a quello che nei tempi futuri, fatto opportunamente, potesse partorir qualche buon effetto"
. E poco dopo: E' impossibile ritrarre la psicologia di Fra Paolo Sarpi meglio di quanto egli stesso fa con queste parole. C'era ben di che far cadere le braccia ai suoi amici zelatori della fede protestante! Questa quasi fatalistica inattività era il difetto correlativo alle sue qualità di politico: mente d'apostolo e mente di politico sono per eccellenza antitetiche. Mente politica, egli aveva dunque l'occhio al possibile, al praticabile; non alle chimere, per generose e care che potessero essere. "Gli uomini – scriveva al Foscarini reputano vero quello che desiderano"; non egli, s'intende, che così sentenziava. Era un possibilista, o – come si direbbe ai giorni nostri – un attivista. Aveva l'ardire delle azioni necessarie, perché non era un timido; non lo spirito dell'avventura, il gusto del rischio evitabile; e, personalmente, aveva dato prova, nell'occasione dell'attentato famoso e d'altre macchinazioni posteriori a suo danno, di una intrepidità che faceva meravigliare e pareva aver persino un po' del fatalismo. La sua prudenza, egli 1'attribuiva un po' alla propria nazione in generale: "Noi italiani vogliamo fare le cose nostre tanto sicure, che perciò perdiamo molte buone occasioni, onde fa bisogno accompagnarsi con persone veementi, che scusano un poco la nostra superflua cauzione". Così scriveva al De 1'Isle, quasi a giustificare se stesso. La tendenza personale prevalente nel Sarpi, sino a che la circostanza dell'Interdetto non venne a dargli una di quelle scosse decisive, che, rivelando capacità nascoste, indirizzano a un determinato scopo impreveduto le energie latenti di un uomo, fu una tendenza all'osservazione scientifica. Creato Consultore della Repubblica veneta, il Sarpi fu invece tutto assorbito dalla politica. Questa fu la sua seconda vocazione: la più importante, dai frutti ch'essa diede; quella che egli, date le circostanze storiche nelle quali si trovò a vivere, considerò come la propria missione. LUIGI EMERY.
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