L'ULTIMO DIAMANTE
Il "Fiorentino" il quarto diamante del mondo per grossezza, è ormai l'ultima importante risorsa dell'imperatrice Zita. (Dai giornali).
Fu a Granson, nel fondo del cantone di Vaud, la sera, mentre le nebbie pietose del lago di Neufchatel si alzavano a ricoprire il campo della battaglia. Uno svizzero del cantone di Uri, rovistando con una sua chiaverina tra il velluto infangato e gli arazzi melmosi della tenda di Carlo il Temerario, sconfitto e fuggito, trovò incastonato il diamante su l'impugnatura di una "misericordia". Quello svizzero aveva la nostalgia di tornar presto sulla grande alpe, a pascolar le sue mandre: e vendette il diamante per un gulden di Olanda. La gemma viaggiò, più dell'uomo. Bianca Capello, nelle feste di Poggio a Caiano, se ne adornava la gola candida – così candida, che le mani di Ferdinando Dei Medici, in un impeto di crudeltà e di gelosia, brancicavano spesso il pugnale, nascosto sotto la porpora cardinalizia. Dallo scrigno di Palazzo Pitti, il diamante ebbe il nome; e quando Francesco Stefano di Lorena lo acquistò per eredità dall'ultimo dei Medici, lo chiamò "il Fiorentino". Maria Teresa di Asburgo portò poi, nelle fauste nozze, un Impero come dote: il Lorenese, vigoroso stallone destinato a rinvigorire l'esangue schiatta, portava poco più che la gemma. La guerra per la successione d'Austria pareva aver inghiottito l'impero: alla vedova, il diamante solo restava. Vestita in gramaglie, col primogenito in braccio, l'imperatrice si presenta implorando soccorso alla Dieta dei ribelli Magnati ungheresi, in Pressburg: la donna piangeva, e il diamante, incastonato nel diadema, mandava sprazzi nuovi e diversi ad ogni sussulto della testa bionda. Nessuno dirà mai se furono le lacrime di una donna o i riflessi di un diadema a fare inginocchiare i ribelli vincitori: perché nessuno saprà mai se sul cuore dell'uomo sia più potente la maestà che comanda, o il dolore che supplica. Ma quando i ribelli si alzarono; sguainarono le spade, e innalzandole al disopra dei dollmann scintillanti, protestarono di voler morire per l'imperatrice: "Vitam et sanguinem pro majestate Vestra. Moriamur pro rege nostro Maria Theresia". E il diamante riposò ancora a lungo, nel tesoro di Schönbrunn. Non vendetelo, signora. Quand'anche la miseria battesse alle porte della vostra casa di esilio, dove voi attendete, con i vostri otto figli, uno almeno degli antichi regni, non vendete il diamante di Maria Teresa. La mistagogia delle pietre preziose, l'ermeneutica di gioielli, coltivate nel medioevo dai monaci che scrivevano dotti commentarii sulle vesti e sugli adornamenti della madre di Dio, attribuiscono concordi al diamante un solo significato simbolico: quello della costanza nelle avversità; della forza e della pazienza regali. I re hanno l'obbligo di credere alla mistagogia e all'ermeneutica delle pietre preziose, come a tante altre scienze cui i sudditi non credono più. I terreni, il denaro, le macchine, le pietre preziose, sono categorie del pensiero umano, come lo spazio e il tempo. I1 contadino pensa in terreni, riduce tutta la sua vita, i suoi lucri, le sue fatiche, le sue vittorie, sotto questa categoria. L'uomo d'affari pensa in denaro: l'industriale pensa in macchine, il re pensa in oro e in brillanti; l'oro e i brillanti della sua corona. Nelle mani di uno zebedeo americano, il diamante degli Absburgo sarebbe ridotto a segno rappresentativo di un certo numero di banconote: nelle mani di vostro figlio è pegno di un impero. La ricchezza dell'umanità sarebbe diminuita di troppo, se il diamante passasse dalla mani candide dell'adolescente, in quelle cosparse di cespuglietti pelosi dell'uomo dalle mascelle quadrate. Rileggete in Grillparzer, il poeta della vostra casa, la tragedia Ein Bruderzswist in Habsburg, una contesa fraterna negli Absburgo. Che cosa risponde Rodolfo, l'imperatore malato e misantropo, racchiuso nello Hradschin di Praga a specolar sulle stelle, che cosa risponde a chi gli dice che il mercatante fiorentino, venuto a corte, richiede per le sue gemme prezzi troppo alti per poter essere accettati? Una sola parola: "Sciocchezze". Ai sensali che verranno a cercarvi, per rapirvi il diamante famoso, e vi offriranno prezzi che al volgo sembreranno troppo alti per poter essere rifiutati, rispondete la stessa parola: "Sciocchezze". E se la tentazione di vendere, di vendere per essere finalmente al sicuro dalle strettezze crudeli è troppo forte per il vostro cuore di donna, rimettetevi al vostro primogenito, quel ragazzo biondo e vergognoso nel vestito modesto alla marinara, che vi portate dietro, a braccetto, sui boulevards parigini, su per le salate e amare scale delle ambasciate straniere, quando andate a chiedere almeno uno dei vostri latifondi croati, sequestrati dal vincitore. Rimettete la decisione al capo della famiglia, a Francesco Giuseppe di Absburgo-Lorena. Ah, se quegli occhi neri, fissando il diamante alzato contro il sole dell'esilio avranno un lampo più vivido e caldo di quelli freddi e taglienti della pietra sfaccettata; ah, se quegli occhi neri vedranno, nello sfolgorio adamantino, un riflesso di splendori ignorati, e quant'è dolce il rubino colto in fondo alle coppe di rosso vin di Tokai mesciute alla mensa dei re, e quant'è casto il turchese, sepolto in fondo alle acque azzurre del Danubio, fiume regale: e quant'è immutabilmente paziente il giaspide, senza macchia possibile, come l'alta erba della puzsta, che sopporta le cavalcate gioiose: e quant'è umile la calcedonia che impallidisce alla luce del sole e brilla nell'oscurità della notte, come i pochi magnati fedeli del regno, trascurati nei giorni della fortuna, e pur devoti nella sventura; ah, se negli occhi di vostro figlio vedete che l'ultimo diamante rimasto concentra e irraggia i barbagli di tutti gli scrigni perduti, non vendete, signora, non,vendete! Come la terra grassa e nera, fermentante di grano, chiama di sotto la neve il mietitore, come la catena infame, dal fondo dell'ergastolo, chiama il delinquente, così la corona di Santo Stefano, custodita sulla sacra collina di Buda, chiama un re: vostro figlio. Tutto possono comperare gli uomini dalle mascelle quadrate, nella vecchia Europa. Hanno gravato di ipoteche le foreste e le miniere di Russia. Hanno razziato i castelli della nobiltà baltica madre dei più bei cavalieri del mondo. La repubblica di Austria li ha pregati di accettare in pegno gli arazzi della Hofburg, le memorie del principe Eugenio. Ci sono stati degli italiani, che hanno pensato di affittar loro Posillipo e Mergellina, perché si possano barcheggiare in acque quasi territoriali. I loro stucchevoli settarii, i loro metodisti, i froebeliani della salvazione delle anime, hanno comprato Monte Mario per erigervi un grande albergo diurno ben provveduto di bidets spirituali per sguazzarci dentro le superstizioni cattoliche. Hanno arruolato per i loro caffè-concerto le odalische del sultano. I troni dei palazzi di Versailles e di Coblenza, ci si leggono sopra con lazzi degni della loro alta valuta. Con l'obolo di S. Pietro, riducono il papa di Milano ad essere una specie di Cappellano delle marchese Travasa di oltreoceano. Se voi li costringete ad arrestarsi sulla soglia della vostra casa, avete riconquistato il regno a vostro figlio. L'Europa è stanca di re che si sforzano di pensare in banconote. E' stanca dei re che portano il cappello a lobbia, fanno gli ingressi solenni in automobile, invece che a cavallo, scrivono con uno stile da cartolina illustrata, regalano le loro ville per non dovere mantenere i custodi. Che cosa è il sovversivismo, signora? E' la delusione di tanta povera gente che cerca un re e non lo trova. Il sovversivismo è la protesta dei sudditi, che affermano il loro diritto ad essere comandati da un re. Che cosa chiedono al re? Che esso si rifiuti di ridurre il mondo a comune denominatore della banconota: che esso ami i diamanti più del denaro, la dinastia più di se stesso. Le folle vogliono che in questa vecchia Europa ci sia qualcosa che non si può comperare, che non si può affittare, che non si può liquidare. Solo un re che difenda la propria corona può appagare questo desiderio. Se voi, signora, vi rifiuterete di vendere il Fiorentino, sarete nobile come l'operaio che sopporta la fame, piuttosto che cedere alle pretese esose di un padrone che vuol "rompere" uno sciopero. La conquista del pane e la riconquista dei troni sono grondanti di lagrime e di sangue. Ma un giorno voi vedrete sfolgorare il diamante di Maria Teresa sull'elsa di una spada. La spada di vostro figlio, che entrerà in Budapest a cavallo, per esservi incoronato re. GIOVANNI ANSALDO
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