REVISIONE LIBERALE

II.
Filosofia del liberalismo

    Per esprimermi con la necessaria brevità, comincio col distinguere nel campo filosofico e etico fra liberali realisti e liberali idealisti.

    Per realismo intendo quell'atteggiamento filosofico che ammette nell'universo un elemento oggettivo da conoscersi. Il realista deve riconoscere nella natura, specialmente, ma anche nella storia, la presenza di leggi (costanza di rapporti) indipendenti dalla umana volontà e che la mente umana deve tentare di conoscere il meglio possibile per assumere nel loro riguardo un adeguato comportamento ed anche per tentare di correggerle a proprio vantaggio. Il realista ammette insomma l'esistenza di una "res" che l'"intellectus" deve cercare di possedere ed appunto per il realista la verità consiste nella "adequatio intellectus rei". Non è qui il caso di distinguere compiutamente le diverse forme di realismo; basta ricordare che queste dipendono specialmente dalla diversità dei mezzi che si ritengono adatti a darci la conoscenza della realtà; alcuni ricorrono alla pura ragione e così abbiamo il realismo metafisico; altri alla rivelazione etico-religiosa ed abbiamo il realismo religioso (più coerente di tutti il cattolicismo) altri ancora alla esperienza ed abbiamo il realismo scientifico. Il realismo sarà gnostico od agnostico a seconda che si riterrà che la nostra mente possa più o meno cogliere la obbiettiva realtà. Tuttavia il realismo sarà sempre finalistico in quanto chi crede in una obbiettiva realtà, tenderà sempre a raggiungerla per poter appunto attuare quella adeguazione fra mente-oggetto realtà-oggetto nella quale consiste appunto la verità. Giuridicamente il realismo conduce alla teoria del diritto modello al quale l'umanità deve attenersi se vuole raggiungere la miglior forma della convivenza sociale. Tutto ciò che si avvicina a tale tipo è bene, tutto ciò che se ne allontana è male e di conseguenza le epoche storiche sono buone o cattive, nobili o ignobili a seconda che sono più o meno lontane dallo schema giuridico che si è dichiarato espressione del diritto naturale.





    Invece la teoria idealista sostiene che non vi è nessuna realtà, nessun fatto, nessuna legge obbiettiva o trascendente all'atto del pensiero che la pensa. Perciò la verità non consiste più nell'adeguazione del pensiero ad una realtà data, ma l'atto del pensiero è sempre vero perché è l'unica realtà. E la dialettica del pensiero non va intèsa come un che di obbiettivo, come dialettica del pensiero pensato, ma come dialettica del pensiero pensante. Da ciò la identificazione di filosofia e storia ossia, per evitare qualsiasi residuo di dualismo obbiettivistico, 1a storia si risolve nel puro atto del pensiero pensante. Naturalmente tale filosofia conduce (o dovrebbe condurre) alla negazione totale del diritto naturale ed impone invece il principio del diritto storico come perenne, libera ed immanentistica creazione dello spirito; ogni finalismo resta escluso.

    Perciò non ha senso fare il processo delle epoche storiche, non esiste un bene e un male, perché la storia è eternamente attuale e come atto è sempre un bene; soltanto il nulla, il non essere sono il male.

    A quali di queste due grandi correnti filosofiche appartiene il Liberalismo? Oggi l'idealismo tende al monopolio del liberalismo. Gli idealisti dicono infatti che la vera libertà non consiste nella facoltà di scegliere, ma nella facoltà di creare. Se si ammette una verità trascendente, una verità dogmatica, se si ammette che la verità sia già fatta, la libertà è negata perché non resterà che riconoscere questa verità. Invece la vera libertà consiste nel crearsi la realtà, nel fare la verità, ma non si potrà veramente fare la verità se si considera la verità come un che di già fatto. Insomma, per gli idealisti, libertà e verità sono due termini assolutamente contradditori ed essi, per salvare la vera libertà dello spirito, negano assolutamente la verità obbiettiva poiché la identificano e la risolvono, nell' atto creatore dello spirito. Ammettere una verità obbiettiva è negare la possibilità della libertà e perciò l'idealismo è la sola filosofia del liberalismo. E' innegabile che, se si parte dal presupposto che la sola libertà sia quella assolutamente creatrice, ogni filosofia realista nega o per lo meno limita la 1ibértà. Ma veramente nel caso nostro non si tratta della libertà metafisica, ma soltanto della libertà sociale. E qui appunto fioriscono gli equivoci. Se una persona crede per esempio nella assoluta libertà della dialettica e della autoctisi dello spirito, si dichiarerà liberale anche se poi chiede, per esempio, la forca per chi non crede in quella libertà.

    Veramente sembrerebbe che l'idealista dovesse essere liberale anche in politica poiché, se tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale, il male, l'errore, non esistono nella storia e perciò per l'idealista non dovrebbe aver senso il problema della libertà all'errore, questione che invece costituisce per i realisti il punto più delicato del problema della libertà.





    Se non esiste una obbiettiva verità giuridica e sociale, se tutte le teorie come atti dello spirito sono ugualmente buone, se insomma socialismo, comunismo, liberalismo, individualismo e nazionalismo non sono che diversi ma altrettanto necessari momenti dialettici della storia, sarà assurdo opporsi a una qualsiasi di queste teorie ed invece sarà logico concedere la più ampia libertà alla loro formazione ed al loro sviluppo. Se l'errore non esiste, perché non ammettere la più ampia libertà? Ma in realtà l'idealismo oscilla politicamente fra l'assolutismo e l'anarchia. Infatti, punto oscuro dell'idealismo è il rapporto fra io empirico ed io assoluto. Ossia, l'immanente razionalità risiede nell'io empirico o nell'io assoluto? So benissimo che, per un idealista, questa domanda è idiota poiché l'idealista ritiene che io empirico ed io assoluto formino una inscindibile unità, in quanto l'io empirico è il particolare dell'io assoluto e l'io assoluto è l'universale dell'io empirico. Ma io persisto nella idiozia e domando: la razionalità, la verità è immanente nelle singole persone, nei singoli uomini? L'idealista risponderà che questo sarebbe astratto pluralismo individualista e dirà che l'assoluta razionalità, l'universale verità è immanente al1'io assoluto la cui espressione è lo Stato Etico. Allora si domanderà che cosa sia e che cosa rappresenti questo Stato Etico. Avuta una risposta più o meno precisa se ne dedurrà che l'individuo (re, presidente di repubblica, Lenin, D'Annunzio, Mussolini, ecc. ecc.) o la classe (fascisti, nazionalisti, combattenti, fiumani) che rappresentano lo Stato Etico, sono i depositari della assoluta verità e che appunto per questo vanno assolutamente obbediti.

    Ma l'idealista non sarà ancora contento e dirà che questa sarebbe una concezione teocratica, un iniquo residuo di dogmatismo e che il vero Stato Etico deve essere vissuto come intimamente immanente e non come una imposizione trascendente. Ora da queste premesse è molto facile scivolare nell'anarchia e nella tirannia (il tiranno è un anarchico che riesce a legare i suoi simili). Infatti se ciò che è immanente in noi non è una nostra particolare convinzione che tenteremo di far valere in confronto del prossimo, ma è la verità assoluta, ossia l'eticità universale dello Stato, sarà molto facile che molte persone, nella ricerca piuttosto difficile della propria vera immanenza, scambino il loro io empirico con 1'io assoluto (che non si vuol mai definire per timore di ricadere nella trascendenza) e perciò ritengano di possedere l'assoluta verità, ossia di essere i veri rappresentanti dello Stato Etico. Ora se non si crede più nello Stato, ma si crede soltanto nel "proprio" Stato, si cade appunto nell'anarchia, e se il proprio Stato è il solo vero Stato si passa alla tirannia. Insomma, è molto difficile considerare gli altri come io empirici e se stessi come io assoluti e questa è appunto la filosofia dei tiranni!

    Vediamo ora il rapporto fra il liberalismo e le filosofie realiste. Il realismo presuppone una realtà, un fine, nel raggiungimento dei quali consiste la verità e la felicità. Esempi di realismo sono il cattolicismo, il socialismo, il nazionalismo.

    I cattolici ritengono che soltanto nella Chiesa si possa trovare la salute, che la Chiesa sia la sola arca di Noè con la quale ci si possa salvare dai diluvi; i socialisti sono convinti che tutti i mali del mondo derivano dai capitalisti, dai risparmiatori; i nazionalisti non vedono la possibilità di salvezza fuori della Nazione, della Patria. Dunque i realisti (per loro fortuna) sanno esattamente che cosa è male e che cosa è bene e perciò, siccome sono anche dei buoni altruisti, tentano di salvare il loro prossimo dal male e di gettarlo nel bene. In questo appunto consiste il missionarismo, l'apostolato, il proselitismo e naturalmente i realisti di diverse fedi e di diverse certezze si detestano fra loro poiché ritengono infernale ogni dogma contrario o anche soltanto diverso da quello nel quale essi credono. Che atteggiamento deve avere il liberale in confronto delle fedi-filosofie realiste? Il liberale come tale può essere indifferente alle singole verità dogmatiche, egli invece deve badare soltanto al metodo col quale le teorie realiste dogmatiche tentano di propagarsi. Infatti, sempre ferma restando la distinzione fra bene e male, vi sono due metodi differenti per difendere il bene e combattere il male: l'imposizione forzata e la persuasione libera. Credere che il secondo metodo sia migliore del primo significa essere liberali. La logica del dogmatismo assolutista è questa: siccome chi non è nella mia fede è nell'errore e siccome essere nell'errore significa andare verso la rovina, io devo salvare il prossimo dall'errore e perciò con tutti i mezzi, ossia anche colla violenza, devo imporre al prossimo la mia fede ed ho l'obbligo di impedire, anche colla violenza; il propagarsi di qualsiasi fede che, per essere diversa dalla vera, (ossia dalla mia), sarà falsa. Insomma, il dogmatismo assolutista si comporta come un medico che per salvare un ammalato grave lo costringe, anche contro la sua stessa volontà, a prendere la medicina salvatrice. Ma si può essere altrettanto dogmatici ossia avere una eguale certezza in una assoluta verità e sostenere che l'imposizione violenta è un cattivo metodo per propagarla.





    Infatti si può credere benissimo che le verità morali e le medicine spirituali siano di ordine diverso delle medicine materiali e che le verità morali non ottengano nessun stabile effetto se non sono accolte con sincera, ossia con libera adesione. Perciò questi dogmatici sosterranno la necessità di propagare, esporre, spiegare, la vera fede al prossimo per condurlo alla salvezza, ma escluderanno l'imposizione violenta poiché la riterranno dannosa alla loro stessa causa. Ed escludendo l'imposizione violenta verranno à riconoscere anche alle fedi ritenute erronee il diritto alla materiale esistenza. Insomma tutti i dogmatici devono credere alla esistenza di un bene e di un male e perciò hanno l'obbligo morale di difendere il primo e di combattere il secondo, ma evidentemente vi può essere un ampio dissenso su quale sia i1 mezzo ed il metodo migliore per combattere il male. Alcuni crederanno che sia possibile estirpare il male con la violenza, altri credendo che questa sia una pericolosa illusione, concederanno "al male" (purché esso non neghi la libertà "al bene") una materiale libertà, convinti di poterlo meglio vincere in una leale e libera lotta ad armi uguali. Se il libèralismo non può accettare i dogmatici assolutisti, può invece benissimo accordarsi con questa seconda forma di dogmatismo. Il liberalismo che, come tale, è indifferente a tutti i dogmi etici, chiede soltanto che ogni fede nella lotta contro il suo "male" elimini la coercizione e la violenza. E siccome ciò che è "male" per una fede è "bene" per la fede contraria, in un regime liberale, non si può eliminare con la violenza il "male", ognuno potrà essere almeno sicuro che nemmeno il "bene" potrà mai essere oppresso dal "male". Dunque ogni dogmatico, invece di vedere nel liberalismo sociale una difesa del male; può vedervi invece la garanzia della difesa del "bene". Si dirà che il liberalismo si fonda tutto nella promessa che il "bene" debba "naturalmente" prevalere e che questa concezione ottimista è sbagliata. Ma il liberalismo non significa affatto cieca fede nella bontà innata dell'uomo naturale. I1 liberale può benissimo credere che l'uomo lasciato a se stesso possa tendere al reale, che gravi su lui il peccato originale e che perciò sia necessaria l'educazione e la redenzione, ma allo stesso tempo crederà che l'uomo abbia la facoltà di riconoscere il bene e che perciò la vera educazione e la vera redenzione consista nel convincerlo e non nel costringerlo al bene. E il liberale ha anche una certa fede nell'esperienza ossia confida che l'esperienza del male sia la miglior via del bene, e che a parità di condizioni di lotta il bene debba prevalere sul male.

    Concludendo, il liberalismo come semplice teoria sociale è indipendente dà qualunque scuola filosofica. Può conciliarsi con l'idealismo e col realismo ed è per se stesso indifferente di fronte alle diverse forme di realismo. Tanto se si concepisce la storia come perenne, attuale, immanente dialettica, quanto se si crede in una ultima perfetta e trascendente finalità, tanto se si crede che questa finalità consista nel polarizzarsi di tutta l'umanità attorno ad una nazione o ad una classe eletta, quanto se si spera che con l'affievolirsi di ogni sentimento particolarista si possa giungere ad una perfetta società di eguali, è possibile essere liberali: basta credere che il miglior metodo sia per lo svolgersi di una dialettica, sia per il raggiungimento di una finalità ideale, consista nel rispetto del prossimo e nella libera conversione dell'avversario. Non è vero insomma che il liberale debba credere che tutto ciò che liberamente si attua sia "bene". Questa sarà convinzione del liberale immanentista per il quale ciò che è reale è razionale, ma che tende a sostituire alla dialettica della rivalità violenta quella della libera concorrenza (ed appunto in questo è liberale). Ma può essere liberale anche chi crede in una idealità trascendente e perciò ritiene che ciò che vi contrasta sia male anche se avviene liberamente. Questi dogmatici saranno anche dei buoni liberali se tenteranno di attuare il loro bene in libero confronto col relativo male. Insomma si è liberali tanto se si crede che ciò che liberamente avviene sia bene (immanentismo liberale) quanto se si crede che "il bene" possa liberamente avvenire (dogmatismo liberale). Gli arti liberali irriducibili sono invece tanto coloro che ammettono che tutto ciò che avviene nella storia sia bene (immanentismo anarchico) quanto coloro che ritengono che sia possibile abolire violentemente il male (dogmatici assolutisti). Naturalmente i dogmatici liberali sono convinti che il bene possa liberamente prevalere sul male, purché anche il male rinunzi alla coercizione e alla violenza. Contro la violenza non si può combattere che con la violenza. Dunque secondo il mio modesto parere il liberalismo è soltanto una teoria, un credo che riguarda il problema della convivenza sociale. Come tale non deve e non può pretendere di affrontare i grandi, problemi etici individuali e storici che esso appunto presuppone; questo è invece il compito delle filosofie e delle religioni. Col solo liberalismo non si risolve nulla, ma senza liberalismo forse non si risolve niente. Il liberalismo vero non ha un suo proprio contenuto etico; esso pretende soltanto di insegnare il miglior metodo perché un contenuto etico si realizzi stabilmente nella società. E soltanto in questo senso di metodologia sociale il liberalismo è realista; infatti esso sostiene la obbiettiva bontà di un metodo, in confronto di altri, per l'attuazione della dialettica storica sia essa attuale che finalistica.

NOVELL0 PAPAFAVA.

    Al prossimo numero conclusione e obbiezioni.