REVISIONE LIBERALE

I.

    Il trionfo del fascismo ed il rifiuto dei fascisti a chiamarsi liberali, costringe i liberali a precisare il proprio atteggiamento politico ed a definire i principi fondamentali della propria dottrina. A me pare che questo dipenda sopratutto dal fatto che non si distingue abbastanza fra il liberalismo come credo etico, come teoria economica e come metodo politico. Lo stesso termine "liberalismo", "liberale", viene ugualmente usato in queste tre diverse categorie; da ciò la confusione delle lingue che mina la torre di babele dei partiti liberali. Il disaccordo fra liberali è minore sulla teoria economica, maggiore in filosofia ed etica, massimo sul metodo politico.

    A me sembra che la teoria economica liberale abbia per base questi principi:

    1.) Il lavoro (materiale e d'impresa) e il risparmio (trasformazione di beni di consumo in beni di produzione) sono gli istrumenti indispensabili della produzione della ricchezza.

    2.) La produzione e l'uso della ricchezza devono essere lasciate il più possibile alla iniziativa privata ed individuale.

    3.) La libera concorrenza è il miglior regime economico in quanto conduce alla eliminazione degli inetti ed a1 trionfo dei capaci; il successo in regime di libera concorrenza di una impresa economica è il miglior vaglio della sua intrinseca bontà.

    Da questi principi (che naturalmente vanno intesi come ideali-limite) deriva:

    1.) che il governo deve mantenere la maggiore imparzialità fra lavoratori, intraprenditori e risparmiatori in quanto il migliore equilibrio economico sarà appunto quello che si stabilizzerà a seconda del giuoco di domanda-offerta di questi tre elementi;

    2.) che il governo deve tendere a limitare il più possibile da una parte la richiesta di tasse ai cittadini e dall'altra il raggio della sua attività economica e che, per stimolare al massimo le capacità di lavoro e di risparmio degli individui, il governo deve concedere loro il più largo uso della ricchezza acquistata compreso quello di lasciarla in eredità;

    3.) che il governo non deve concedere né protezioni o sussidi a capitalisti e a lavoratori, né monopoli che condurrebbero ad una economia dannosa perché artificiale; il governo come intraprenditore economico deve accettare la libera concorrenza.

    Insomma, i liberali devono essere contro ogni forma di privilegio economico e perciò tanto contro le protezioni doganali di industrie quanto contro la concessione di sussidi a cooperative e sindacati. La formazione di cooperative o sindacati come naturale risultato di solidarietà di interessi e di classe non deve essere ostacolata dai liberali, purché tali aggregati economici sottostiano alla legge della libera concorrenza e non impediscano con la violenza la formazione di altri aggregati. Facoltà di organizzazione, ma anche libertà di organizzazione; sindacati liberi e non sindacati obbligatori. E ciò vale anche per il diritto di sciopero; ci si può astenere da un determinato lavoro, ma non si può impedire che altri lo assumano. Il liberale non critica le cooperative perché sono cooperative, i sindacati perché sono sindacati; egli critica queste istituzioni perché osserva che in regime di libera concorrenza generalmente falliscono; tanto è vero che per evitare il disastro esse invocano protezioni, tentano di accaparrarsi privilegi, ricorrono alla violenza e questo il liberale non lo può ammettere; se invece una società tende ad aggrupparsi in aggregati capaci di vivere in regime di libertà che persuadono e non costringono gli individui a farne parte, il liberalismo non ha niente da protestare.

    Il liberale è individualista in quanto tutela il diritto dell'individuo a disporre liberamente di se, ma non può certo impedire all'individuo di essere solidale con un aggregato di suoi simili, sia esso la famiglia, il sindacato, la classe. A rigor di logica tale concetto va esteso anche al diritto testamentario ossia non si può negare all'individuo il diritto di lasciare anche tutti i suoi beni ad una cooperativa, ad un sindacato, piuttosto che alla sua famiglia (salvo il diritto di tutela dei figli). Insomma se gli uomini spontaneamente si sentiranno attratti a forme diverse di solidarietà che non sia quella che tende a mantenere (anche economicamente) l'aggregato famiglia, e creeranno così una qualsiasi altra forma di solidarietà, nessuno deve impedirlo. In questo senso la teoria liberale ammette anche il socialismo, purché le comunità si formino per spontanea adesione degli individui e sappiano mantenersi in regime di libera concorrenza sia in confronto di altre comunità che di singoli individui. Come teoria economica il liberalismo ha un ideale limite abbastanza definito (I).

    (Continua).

NOVELLO PAPAFAVA.

(I) Discuteremo il pensiero del nostro Papafava alla fine della sua revisione.
    (N. d. R.).