I RISULTATI DELL'INCHIESTA AGRARIA
Riassumendo i risultati dell'inchiesta agraria di Stefano Jacini intendiamo proporre implicitamente un programma di lavoro ai nostri amici delle varie regioni. Si tratta di riprendere la vecchia inchiesta, di confrontarla con le più recenti indagini e di offrire per ogni regione un quadro sintetico dei risultati. Nella conoscenza tecnica dei problemi che formano la parte obbiettiva della realtà politica crediamo che non si debbano trascurare i contributi che ci vengano dal passato. L'Italia agricola e il RisorgimentoPrima del Risorgimento i motivi comuni dell'osservatore riguardo all'Italia agricola erano la ammirazione per la ricca spontaneità produttiva e il lamento per la trascuranza in cui la lasciavano la pigrizia e l'ignoranza degli abitanti. Non si può dire che questo giudizio sulla ricchezza naturale dell'agricoltura italiana fosse errato: ma ha le sue ragioni nei tempi ossia sussisteva in relazione con la minore ricchezza e capacità produttiva degli altri paesi. In soli trent'anni l'equilibrio è mutato perché l'economia agricola italiana non si è sviluppata nella stessa misura delle economie concorrenti. Il problema del disagio delle plebi rurali alla sua volta che nel frattempo è venuto a complicare la situazione non deriva da un capovolgimento di condizioni obbiettive, ma dal miglioramento generale delle condizioni spirituali promosso dalle nuove esperienze politiche a cui il popolo si trovò ad assistere. Le classi povere raggiunsero così una chiara consapevolezza della loro inferiorità economica. Tali considerazioni spiegano e criticano il soverchio pessimismo che andò prevalendo in Italia dopo il '70, quasi la costituzione dello Stato unitario si fosse risolta in un danno economico. In realtà negli anni del Risorgimento il progresso agricolo non fu trascurabile: basti ricordare il grande vantaggio della eliminazione delle barriere doganali tra regione e regione, e lo spirito d'intrapresa manifestatosi nell'esecuzione di opere come il canale Cavour, il canale Villoresi, le grandi bonifiche ferraresi e veronesi, l'impresa Cirio. Il problema è di continuare nella stessa misura in cui lo sforzo di miglioramento è compiuto nelle nuove terre che partecipano ai mercati mondiali con il vigore che viene dalla loro giovinezza. E anche il malcontento popolare non sarà pericoloso se indica l'aspirazione a un rinnovamento economico analogo alla profonda trasformazione politica avvenuta in questi anni in Italia. L'Italia nel nuovo equilibrio europeoMentre l'Italia doveva superare le difficoltà e i disordini connessi con la sua rivoluzione politica, l'Europa godeva di una relativa tranquillità generata dalla profonda pace e accompagnata da prosperità materiale, sviluppo delle scienze sperimentali e riforme economiche interne. Ne derivò un'esuberanza di capitali che in pochi anni, dedicandosi all'agricoltura, la ridussero in gran parte a cultura intensiva. In Italia invece, alle ripercussioni economiche delle guerre di indipendenza si unirono alcune gravissime difficoltà obbiettive: il brigantaggio mise in forse le condizioni di sicurezza pubblica che sono indispensabili per lo sviluppo dell'agricoltura; la vendita dei beni demaniali sviò i capitali dai miglioramenti dei beni rurali suscettibili di cultura intensiva, assorbendoli in nuove culture estensive; infine tre malattie decimarono le fonti principali della nostra ricchezza agraria: l'atrofia dei bachi da seta, la crittogama della vite e la gomma degli agrumi. Proprio mentre queste ragioni accennavano a scomparire si ebbe la grave crisi del deprezzamento dei prodotti agrari, provocata dalla concorrenza delle produzioni di altri paesi sui mercati esteri dove regnava un giorno quasi sola la produzione italiana, la surrogazione industriale (ossia la miscela di alcuni prodotti italiani superlativi che erano ritenuti insostituibili con prodotti esteri di minor costo), infine dall'abolizione del corso forzoso, provvedimento che si deve giudicare ottimo in sede di finanza ma che aumentando il valore reale dei salari e quello dei prezzi non nella stessa misura diminuiva l'utile sulle vendite e si risolveva in un danno per i proprietari. L'enormità delle imposte prediali che il nuovo Stato dovette applicare si risolveva in un altro ostacolo permanente per la nostra economia agraria. RimediTre scuole diverse propongono ai mali dell'organismo rurale del nostro paese diverse soluzioni. Per la prima il problema è sopratutto un problema tecnico di coltivazione, per la seconda si tratta di instaurare una legislazione speciale del lavoro agrario, per la terza, che è la scuola protezionista, l'esigenza è di proteggere la produzione agraria nazionale. L'aspetto agronomico del problema è in realtà dominante: alla povertà dell'agricoltura gioverebbe invero una migliore conoscenza della tecnica agraria, l'istituzione di scuole, la propaganda della stampa. Senonché la povertà dell'agricoltura non è un effetto, ma una causa. L'istituzione agraria potrebbe essere efficace soltanto quando fosse superata la deficienza dei capitali applicati all'agricoltura; e si abbandonassero i pregiudizi e le idee storte non solo di indole agronomica, ma altresì di indole politica per i quali certo non basterebbe una scuola tecnica di agricoltura. La legislazione socialeAnche la povertà dei coltivatori è una grave piaga, ma la legislazione sociale nasconde pericoli assai gravi. Intanto giova notare che il grosso proprietario rurale in Italia è un'eccezione e il numero dei proprietari è calcolato a quasi cinque milioni; tra questi proprietari, predominantemente piccoli e medi, ve ne sono molti in condizioni peggiori dei coltivatori non proprietari. Un intervento statale in regime di contratti incontrerebbe difficoltà che la burocrazia non saprebbe superare e produrrebbe conseguenze assai diverse dai propositi. In Italia sono applicati tutti i tipi possibili di contratti agrari in relazione con le diverse condizioni di suolo, di clima, ecc. Una mutazione di coltivazione vuole che cambi il contratto oppure si va incontro a danni non indifferenti. I tre tipi predominanti di contratto sono la mezzadria, l'affitto e il salariato: ma ciascuno di essi è ricco di un'infinita di varianti. E' lecito chiedersi, prima di dedicarsi a pericolosi esperimenti, quali criteri seguirebbe una legislazione sociale promossa per opera del governo. Per esempio, intorno alla mezzadria sono state proposte infinite questioni. I sostenitori di questo sistema affermano che se ne ottiene una produzione agraria modesta ma costante e ne risulta il vantaggio di una popolazione campagnuola tranquilla: citano a conforto gli esempi della tranquillità politica della Toscana e delle Marche. Rispondono i detrattori essere la mezzadria soltanto compatibile con la cultura promiscua, che è cultura antiquata; e costituire un perpetuo ostacolo alla specializzazione della cultura sia per la impossibilità delle spese di impianto, sia per il maggior rischio che ne verrebbe al contadino il quale non vuole assoggettarvisi. Che cosa dovrebbe fare il governo di fronte a queste opinioni contrastanti? favorire o combattere la mezzadria? Questa domanda non sussiste per chi si renda conto delle condizioni reali del problema agrario. La mezzadria ha i suoi pregi e tra questi non bisogna dimenticare il beneficio di far sorgere le abitazioni coloniche che oggi mancano; in certi casi per l'intelligenza dei proprietari e la diligenza dei coloni è riuscita a promuovere notevoli miglioramenti terreni, ma per dare i suoi frutti non può essere imposta per legge; va applicata liberamente secondo contratti di volta in volta adattati alle realtà e seguendo l'utile degli interessati. Non si potrà mai imporre la mezzadria ai fondi irrigui a coltivazione intensiva perfezionata. Così delle varie forme di affitto è certo deplorevole l'affitto-appalto che si risolve in una speculazione, ma questo sistema è pure il solo, data l'inerzia di certi proprietari, per non aumentare la superficie dei terreni incolti. Utilissimo sarà in certi casi l'affitto che ha carattere industriale e che consiste nel far valere il fondo altrui con capitali propri. Il piccolo affitto poi adatto alla coltivazione specializzata dev'essere regolato prudentemente nella sua durata e questo mal sarebbe provveduto dalla legge. Lo stesso si dica del salario: se fosse stabilito un minimo molti proprietari si troverebbero a non poter più far coltivare. Le condizioni dei coltivatori miglioreranno col migliorare della produzione. L'opera del governo sarà provvida se si limiterà a parificare effettivamente il popolo della campagna al popolo della città facendo rispettare i provvedimenti generali di igiene e di sicurezza pubblica, per questo fine, anche con aiuti finanziari. ProtezionismoLa tendenza protezionista è stata favorita specialmente dal crescere della produzione e della esportazione americana e russa, e dal fatto che queste nazioni hanno incominciato a instaurare un regime protettivo. Bisogna avvertire che tale giustificazione è assolutamente illusoria. In paesi di enorme grandezza come gli Stati Uniti e la Russia il sistema protettivo è assai meno esclusivo: è come un carcere costituito da un'intera provincia invece che da una cella. Il protezionismo non può difendersi in Italia: esso sarà ostacolato dall'esercito innumerevole della democrazia operaia e la nazione potrà ugualmente difendersi dalla concorrenza americana perché essa è esportatrice più che importatrice di prodotti agrari e anzi per l'appunto di prodotti come sete, oli, agrumi, canapa, vino, bestiame bovino che difficilmente potranno essere sostituiti dalle produzioni di altri paesi. Il pericolo è soltanto per la produzione dei cereali, ma è un pericolo che finisce per giovarci. Nella nostra penisola infatti la coltivazione dei cereali è praticata su terreni troppo estesi e talvolta non adatti e bisognerebbe limitarla mediante la sostituzione di altre culture più redditizie. In tutti i casi non bisogna con l’espediente del protezionismo rifiutarsi alla lotta: se si vuole garantire per il futuro bisogna che la nostra agricoltura migliori i propri sistemi. (Continua). |