IL LIBERALISMO E LE MASSE
I.Con l'esame delle possibilità e dell'attività storica del liberalismo in Italia crediamo di aver risposto in modo abbastanza definitivo in questo stesso numero a chi contestava la legittimità della nostra inchiesta, senza accorgersi di non intendere il senso complesso e vario che si deve cercare nel liberalismo. Ché – per noi – la discussione era chiusa prima di cominciare: andar in cerca di risultati sul tema liberalismo e masse, sarebbe come discutere – dopo due anni – se c'è ragione che la "Rivoluzione liberale" sia nata. Checché ne sembri ai mistici amici del fascismo e della tirannide – per noi si trattava di riprendere la discussione per dimostrare a posteriori, ciò che, detto un anno fa era una profezia. Non dovremo dunque spiegare più particolarmente perché le considerazioni che seguono di Guido Santini ci sembrino una bella esemplificazione di una mentalità che bisogna combattere risolutamente. II.Prezzolini ha detto in poco molte cose vere. Il liberalismo non è capito dalle masse: avviene per esso ciò che in metafisica accade alla ragione pura. Si sdoppia in antinomie, di cui una rincorre eternamente l'altra, sempre daccapo: la libertà fa nascere la voglia di tiranneggiare la tirannia ragionevole, la tirannia, educatrice finora, non s'è trovata. Ma non credo che sia proprio colpa di masse – benché i bolscevichi siano stati i primi a dirsi spudoratamente illiberali, e a perseguitare chi non era del loro parere tentando di fondare il loro ordine solo sulla forza fisica. Bisognerebbe saper accettare francamente la doppia posizione dell'antinomia, e porre come fondamento culturale e politico la tirannia ragionevole; la tirannia educatrice pel porsi senza maschera come suprema affermazione di valore umano, pari con tutte le altre affermazioni solo nello sfidarle a misurarsi con essa; superiore e autorevole nel vincerle costantemente. Si teme invece che ciò sarebbe pericolosamente inconcludente, mentre vi è contenuto un infallibile, ferreo principio di spontanea disciplina, di Gerarchia sinceramente fedele, quale non potrà mai stabilirsi per altre vie. Certo, il liberalismo vero ha un'esigenza moralizzatrice prima di tutto verso la classe dirigente... So bene che tutto ciò non leva un ragno da un buco, ma dispone a levarlo il tener presente e non dimenticare mai che la colpa – se colpa vi è – non è poi tutta delle masse. GUIDO SANTINI.
III.Come forza attiva della storia il principio liberale, a prescindere da quelle particolari incarnazioni politiche assunte in suo nome, consiste nelle necessità dialettiche delle sue successive affermazioni come coscienza individuale. Per decidere quali siano i punti di aderenza di questo principio collo spirito e le esigenze storiche delle masse ci pare consigliabile, una volta ammessa e riconosciuta la sua necessaria immanenza, vedere quali siano le condizioni del suo realizzarsi nella vita sociale. Occorre perciò distinguere due momenti. Il momento attivo del processo di opposizione dello spirito alle sue limitazioni esteriori, e il momento riflesso di autocoscienza dello stesso processo che è il travaglio interiore del nostro spirito. L'incapacità dell'idea di tradursi in atto, o dell'atto a tradurre nella pratica l'idea che riassuma in sé e per sé una volontà potente ed eroica di liberazione, costituisce, colla separazione storica dei due momenti, un sintomo dell'immaturità sociale della debolezza del processo di elaborazione spirituale come diffuso stato di coscienza. La loro integrazione negata alla generalità per lo stato di immaturità ad accogliere ed a fare proprio il principio liberale attraverso la lotta di classe, tenta di ricomporsi in quegli strati della società che si sentono più adatti al compito, e che rappresentando perciò delle aristocrazie, intendono come tali assumere il governo dello stato col mezzo di una dittatura. Io non intendo ora pronunziarmi se il fascismo rappresenti oggi questa aristocrazia; ma ove non la rappresentasse per intrinseche deficienze spirituali, verrebbe presto rimosso da un nuovo movimento autonomo di opposizione che non potrebbe restringersi solo ad intellettuali insoddisfatti, ma dovrebbe porre le sue salde radici nella coscienza popolare, che si è, per ora, dimostrata inferiore alle circostanze che ne favorivano l'avvento. Occorre quindi un metodo per la formazione di questa coscienza al di fuori o al disopra di quello del collaborazionismo politico, che ha alimentato lo sgoverno democratico di questi ultimi venti anni della nostra storia nazionale. MARCELLO MARIANI.
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