LETTURE
OTTO BRAUN (1)Il pensiero di O. B., pur non ancora giunto a maturità, può suscitare qualche utile considerazione: ma è l'orientamento di esso, tutto verso la pratica politica e lo stato, che merita attenzione. Non è tanto straordinario che un fanciullo sia preso dal più grande ardore di ricerca artistica, filosofica e politica, quanto che indirizzi questi studi all'azione politica, ed ancor più allo stato. Non ci sono esempi di altri ragazzi che, piuttosto che cullarsi nelle più carezzevoli attrattive dell'arte, si siano votati non dico allo stato ma alla vita pubblica. "Il comando mi è innato" dice questo fanciullo geniale a nove anni, e con una maturità morale ancor più sorprendente, accetta e sublima l'amore e tutte le passioni come lievito della vita, anzi se ne fa religione e base di tutto il pensiero, richiamato certo a ciò dalla filosofia tedesca che, da Fichte a Nietzsche, è una formidabile propedeutica all'azione, all'azione per la patria, per la patria tedesca, anzi per lo Stato tedesco. Così tutto il suo pensiero subisce questa subordinazione, da questa è acceso e deformato. In un nazionalista pel quale lo Stato è opera divina, la stessa difesa degli operai contro la borghesia, e il conseguente indulgere all'utopia, non può avere altra base che il realismo statale. L'uomo premuto dall'ansia del pane quotidiano spesso non riesce a svolgere felicemente i propri talenti. Perciò il primo compito sarebbe quello di stabilire la parità delle condizioni di lotta; e in sostanza è proprio questo il presupposto essenziale del socialismo. (pag. 58). Tutto ciò, insisto, non in vista di un edonistico vantaggio cui avrebbero diritto i più, non per la libertà né per una maggiore eguaglianza di tutti, ma per il più pronto sviluppo dell'uomo di azione, della guida, del capo, dell'eroe, sempre ai servigi dello stato. "Appunto perché gli uomini sono tutti disuguali ed unicamente per questo, io vorrei l'assoluta parità di condizioni" (pagina 59). E più chiaramente: "Forse che io propugno lo stato socialista, perché gli uomini si vedranno più felici e contenti? All'opposto, io credo che vi sarà lotta ostinata e pericolo, vi sarà agitazione e furore, e passione e volontà irriducibile". (pag. 146). Tutto ciò che è contro lo Stato non può essere che da condannare; ed è strano che il B. dimentichi che vi sono al mondo interessi ben altrimenti superiori e che di fatto hanno sconvolto gli imperi più potenti; quelli religiosi, per es.. Così egli non dubita di giustificare la morte di Socrate, vissuto fuori della polis, contentandosi di pensare che il divino Stato ideale avrebbe certo saputo prendere nel proprio ingranaggio l'azione di lui; come se questa divinità, manifestandosi nella storia, fosse altra cosa della vita storica e della sua intima contradditorietà. Similmente sotto le necessità dello Stato che lo rendono insoddisfatto del tritume individualistico del protestantesimo; egli si contenta, seguendo l'idealizzazione in uso della religione ellenica come "con sentimento di popolo", di aspirare a qualcosa di meno frammentario e contradditorio; ma né prospetta, ch'io sappia, il problema del cattolicesimo accentratore, né suggerisce altra soluzione pratica. Recisa è la sua avversione, per le stesse ragioni, al misticismo, di cui evita fin lo studio come un vero pericolo; come se il sentimento religioso potesse essere altro che mistico; nonché al buddismo, contro i danni del quale, in vista di una intensa vita pratica, si sforza, sillogizzando serratamente, di premunire un suo amico. Cosa, pare a me, smentita anche dalla esperienza storica. Insomma la stessa sublimazione, in arte, dell'apollineo, del classico, del péras e conseguente condanna del romantico, su cui insiste ad ogni piè sospinto, non ha altra base che in una assoluta statolatria, che subordina allo stato e alle sue necessità ogni più libera ed autonoma attività dello spirito. E non è senza profonda commozione, per chi ne ha esperienza, il vederlo anche dinanzi alla morte, al fronte, esaltarsi nell'adorazione della vita, e, subito teorizzando, proclamare che appunto la contemplazione di quella morte produce un senso ed un bisogno più ardente della vita. Come se a volta, anche in lui, non avesse prodotto l'effetto diametralmente opposto; come se anche lui a volte non avesse, innanzi allo spettacolo della morte al fronte, barcollato sugli orli precipitosi della pazzia! Dopo ciò non voglio insistere a dimostrare che sono qua e là osservazioni d'ordine morale e previsioni storiche acutissime, che egli è ben lontano da certe ben note volgarità patriottarde, ben lontano dallo stupido e piatto pangermanismo di certuni. Mi piace, per noi, per lo stato presente del nostro paese e dell'Europa, ricordare queste quattro riflessioni del B.: 1° che l'inclinazione al socialismo nei soldati non è che l'esasperazione della guerra ed è quindi puramente negativa; ed io ricordo che fenomeni simili produssero tutte le guerre, e ricordo alcuni episodi toccati a Cromwell; 2° che i soldati hanno acquistato autonomia, indipendenza, sicurezza di sé, concretezza, consapevolezza; 3° che "l'avvenire non apparterrà al paese vincitore e al vinto, ma a quello che saprà foggiare la nuova pace nel modo più perfetto e rimaner vincitore nelle lotte della pace". (Pag. 168); 4° che "niente sarebbe più pericoloso, quanto che noi, con un moto perfettamente malinteso... ci rivoltassimo di botto contro il tempo prima della guerra... imitassimo quella frivola fuga nel cristianesimo, nel conservatorismo e consimili cose". (pag. 169). Nessuno di noi che abbiam combattuto ha portato al fronte uno spirito così ostinatamente statolatra: solo i più giovani erano travagliati dal bisogno dell'azione, della determinazione filosofica dell'azione. La nuova generazione è diversa. Ma di ciò sarebbe lungo discorso. L'errore d'indirizzo del B., mosso dal desiderio di far fin troppo bene alla patria, fu di tutta la Germania: la vita intensissima e la straordinaria elevatezza dell'eroico giovinetto ci svegliano il più caldo e sano abbandono al fervore della vita; la sua vita e la sua morte al campo, a ventun anni, il rimpianto più amaro e più sconsolato. TOMMASO FIORE
EUGENIO ARTOM : Lineamenti della crisi sociale. Di Eugenio Artom segnaleremo le pregevoli qualità di ricercatore, che rifugge dal semplicismo, aderisce ai fatti sociali, preferisce complessi schemi sociologici alla facile demagogia. Senonché la sua indagine della crisi resta cieca e monotona per la mancanza del rilievo e della drammaticità che offrirebbero la lotta politica e le virtù degli individui. L'analisi dell'individualismo nel suo apparente (e non reale) contrasto col solidarismo, certe discussioni sindacali, la corrispondenza del rapporto di genesi del liberalismo dai fatti della produzione, del socialismo dai fatti della distribuzione, l'antitesi tra classi e categorie sono diligentemente esposte. Ma quando si devono stringere le fila, la narrazione diventa una confessione e l'idolatria per la tecnica e la competenza fa arrestare l'A., commossamente sorpreso, di fronte all'ideologia nazionale come fattore di pace tra i singoli, e quasi entusiasta per la collaborazione sociale, fenomeni e soluzioni di cui l'esperimento fascista ci ha fatto toccare con mano l'illusoria esaltazione e la confusa imprecisione. Veramente ci dovremmo domandare come un economista disincantato qual'è il nostro Autore si abbandoni misticamente al sogno del suum unicuique reddere, realizzato per opera legislativa quando il più elementare realismo consiglia la responsabilità individuale per la necessaria ascesi della lotta politica. Ma basterà accettare dall'Artom la diagnosi e respingere le conclusioni, che sono il documento vigoroso di un'anima tormentata e ottimista. |