IL CONGRESSO DEI POPOLARI
Democrazia cristiana: ecco la frase che più frequente tornava sulle bocche degli oratori e della folla nel recente congresso del partito popolare: sotto la buffa direzione dell'on. Rodinò, felice dell'autorità presidenziale e dei due campanelli, la gridavano i sinistri, la ripetevano i destri, la confermava e ribadiva don Sturzo, sì che nel confuso tumulto delle tendenze essa appariva come un'oasi pacifica e incontroversa, un punto di contatto e di comunanza sufficiente a legare uomini di classi, di regioni, di tendenze diverse. Il voto quasi unanime che decretò il trionfo a Don Sturzo non fu che una riaffermazione di questa unanimità fondamentale e primitiva. Non essendo stata la discussione che una serie di divagazioni intese a colorire questa frase di un colore più violento, in modo da poterne dedurre in sede più strettamente politica il fascismo o l'antifascismo, non fu difficile al prete siciliano riportare i più accesi al consenso con l'abile medietà della sua posizione. Ma la formula del democratismo cristiano se vale a illuminare nettamente le basi sociali del partito e farle considerare in primissimo piano, non è sufficiente a dare una chiara direttiva di condotta nei riguardi dei problemi politici dell'ora. Qui per un partito che non può dirsi né filofascista né antifascista, né collaborazionista né anticollaborazionista, tutto si riduce a una abilità di equilibrio, a una conservazione della propria fisonomia attraverso il compromesso e l'adattamento. Secondo le apparenze a cui molti si fermano, il partito popolare dovrebbe essere profondamente, irriducibilmente antifascista, perché democratico, e perché cristiano, dovrebbe vedere con occhio assai benevolo la politica cattolica di Mussolini. E' vero anche, e piuttosto, il contrario: deve collaborare con la tirannide, appunto perché democratico, per tutelare i propri sindacati, le proprie forze popolari, ed assicurarsi la pace necessaria al lavorio organizzativo; ma essendo cristiano deve opporsi al governo, perché la questione dei rapporti fra stato e chiesa, sua essenziale ragione di vita, non giunga a troppo affrettate soluzioni. Essendo vere le tesi opposte, necessarie le posizioni più antitetiche, la politica popolare non può essere che un gioco inteso a guadagnar tempo, a realizzare per interposte persone, ad avvalersi di vittorie e di rovesci, rifuggendo dalle posizioni nette, dalle affermazioni troppo concrete e risolute, che possono compromettere e legare. Il discorso Grandi fu la chiara rivelazione di questa necessità: con la sua vocetta stridula il deputato organizzatore fece ben comprendere alle sinistre democratiche miglioline antifasciste come il democratismo rendesse necessaria la collaborazione: che il cristianesimo fosse oggi antifascismo dimostrarono le urla del congresso contro l'unione Cornaggia e il conservatorismo clericaleggiante. Il fascismo, ça passe. Ma tutti sentivano la necessità dell'astuzia in una lotta su un terreno così sdrucciolevole, e interpretavano il comune pensiero quei poveri oratori siciliani, venuti da paeselli perduti attorno a Girgenti o a Siracusa a proclamare il governo fascista negazione di Dio, ma a finire tutti i discorsi in gloria a don Sturzo. Ci fu uno, con baffi e pizzo alla Goffredo Mameli, cravatta bianca e abito nero di taglio romantico, col viso pieno dell'ardor ritenuto e febbrile siciliano, che propose addirittura i pieni poteri a don Sturzo. Il congresso rise per la crudezza della proposta, ma in effetto la approvò dopo averla condita di belle frasi e ancora di molti discorsi. I pieni poteri a don Sturzo si giustificano anche perché nessuno saprebbe con efficacia sostituirlo: la sua superiorità su tutti i pezzi grossi del partito appare a luce meridiana a chi pur rapidamente consideri e confronti. Gli onorevoli soprattutto fecero al Congresso una figura veramente meschina: l'on. Degni, con la sua faccettina che sembra una stiacciatella si che non si capisce dove possa essersi rifugiato il cervello; l'on. Tovini che non per nulla rassomiglia alcun poco a Salandra, con gli occhi a borsa e la bocca sguaiata, che pare mastichi uno stecchino dopo un pasto troppo abbondante e vinoso; pronto alle fughe e alle ritirate troppo scoperte; l’on. Pestalozza con la sua aria da scolaretto ostinato, furono veramente infelici; né molto li superarono il grosso Martini e il lindo Mauri, poco abile nel suo discorso di sinistra. De Gasperi, freddo, sarcastico e burocratico aiutò con mediocre abilità il gioco di don Struzo. Asciutto e occhialuto è privo d'intuito e di agilità, qualità che si leggono invece sul viso di don Sturzo, femminile, mobile, espressivo. I destri poterono fare pochissimo, indeboliti e rovinati dalle mosse false mussoliniane precedenti il congresso: della quali seppe benissimo approfittare don Sturzo, appoggiato dai congressisti urlanti. L'ala sinistra del partito, diretta e sorvegliata dal cranio lucido e dagli occhiali azzurrini di Miglioli, nascosto in un palco, ebbe una certa efficacia; ma fu eccessiva, demagogica, non sempre coerente. Del resto la differenza fra sinistri, destri e centristi è ben poca: hanno tutti persino lo stesso viso, la stessa bocca storta: il partito ha un'unità quasi di razza. Unità che neppure il fascismo potrà scindere, continuando i popolari nella loro politica di voluta indecisione. Raccolti alla difesa delle proprie basi sociali attorno alla bandiera della democrazia cristiana; accentuato il carattere aconfessionale del partito, epperciò appoggiato dal Vaticano, i popolari considerano la politica come una pura questione di tattica. Perciò supereranno agilmente le più gravi sconfitte: né li turberà la grossa questione della riforma elettorale. Quando un adiposo casertano, stracciandosi e stralunando gli occhi poneva, congestionato, il dilemma: o proporzionale o opposizione; il congresso si sentiva, e giustamente, a disagio. Il partito popolare non può essere intransigente, coerente, lineare, che se così fosse, non sarebbe il partito popolare. Se oggi esso soltanto è rimasto a difendere la libertà, la sua difesa non può essere né vistosa né recisa; a lui solo è concesso di sorpassare senza troppe perdite i periodi più oscuri, collaborando coi più diversi partiti, senza snaturarsi né morire. Al di sopra di questi compromessi restano soltanto le qualità personali di Sturzo, fermato dalle circostanze inesorabili al suo posto di superstite del liberalismo italiano. *
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