IL MITO DELLA DESTRA STORICA

    Da un certo tempo in qua è tornata di moda, specialmente in alcuni circoli di intellettuali, la Destra storica, e si parla di "tornare alla politica della Destra".

    Mussolini, con le sue spiccate qualità di rapido assorbimento, ha prese però queste idee da ristretti circoli intellettualisti, ed esse hanno conservato la loro fisionomia smorta di ragazze vissute in ambienti chiusi. Recentemente un eminente intellettuale, un cultore di filosofia, il prof. Giuseppe Rensi, ha parlato con molto calore di simpatia di queste aspirazioni verso la Destra storica, ed ha detto cose nuove sull'argomento, e che invitano a discutere.

    La Destra che si prospetta davanti agli occhi del Rensi è una grande Destra organica, espressione compiuta dello spirito di conservazione e di autorità. Ma allora – si domanda come escludere, da una grande Destra cosiffatta, i cattolici, rappresentanti di una delle più grandi forze di conservazione e di autorità? Invece i cattolici italiani che sono entrati a far parte della vita politica dello Stato, non vogliono saperne di Destra, e nella grande maggioranza tendono a sinistra.

    Invece si sono schierati a destra, e sono stati accolti vo1entrieri dai vecchi rappresentanti della Destra, i fascisti, con i resti di programma sindacalista, con le nostalgie mazziniane. Tutto questo è contraddittorio e non è adatto a formare una vera e grande Destra, pensa il Rensi.

    Ma nel pensare questo perde di vista la Destra storica. E’ troppo poco, è troppo generico dire che Destra significa conservazione, e voler costituire la nuova–vecchia Destra su questo principio astratto. Di risolutamente ed ostinatamente anti–conservatore non c'è che gli anarchici – i quali per altro sono molto più di quelli che fanno parte dei partiti anarchici. Ogni altro partito che accetta di entrare, volente o nolente, nel quadro della vita politica della nazione, ha per lo meno un seme nascosto di conservatorismo, che prima o poi sviluppa con lo sviluppo del partito.

    In questi tempi, come negli anni tra il 1898 e il '900, l'Estrema sinistra combatte non per mettere in effetto la rivoluzione, ma, tutto al contrario, per garantire a sé stessa alcune libertà stabilite dallo Stato, e che essa ritiene concultate. E' vero che in pari tempo essa lavora anche a distendere quanto più può lo spirito della legge, in modo da farci entrare una maggior somma di forze ancora irregolari. Ma questo è precisamente il compito storico dei partiti di avanguardia, e il fatto stesso che uno dì questi partiti preferisca di allargare gli orli delle vecchie leggi, piuttosto che rifiutarle senza discussione è ancora una prova che ha in seno qualche spirito di conservazione. Un partito logicamente rivoluzionario non chiede trasformazione, non chiede all'avversario "che si converta e viva" ma gli nega il diritto all'esistenza, né più né meno.

    Ma tali partiti sono sempre partiti di infime–minoranze, appunto perché sono logici. I partiti che hanno veramente influenza suoi destini di una nazione sono illogici, perché si muovono sotto 1'assillo di necessità storiche dominanti, fluttuando continuamente tra le aspirazioni e i sogni delle loro ideologie originarie e i bisogni delle masse che ingrossano e premono intorno ai loro steccati teoretici, chiedendo effettuazioni immediate. Ed essi agiscono saggiamente ad essere illogici verso la logica e logici verso la storia.





    Per queste ragioni quelli che al Rensi paiono atteggiamenti contradditori nel Partito popolare italiano, non sono tali che solamente di fronte ad uno schema astratto di partito cattolico, ideale. Del resto, anche su questo campo, il Rensi non spinge la logica fino alle ultime conseguenze. "Il paradosso della situazione attuale – egli dice – è che coloro che hanno sempre fornito e dovrebbero fornire, con lo strumento della religione un contributo notevole all'insieme dei vari fattori che concorrono alla formazione della coscienza conservatrice – ossia i cattolici – cedendo al mimetismo della moda politica popolaresca dell'ora, contribuiscono invece potentemente all'opera di turbamento, agitazione, demolizione di essa.

    Affinché si ricostituisse una Destra forte e ben compaginata, bisognerebbe dunque innanzi tutto, che i cattolici rinsavissero, che ritornassero alle loro grandi tradizioni, che non si vergognassero del Sillabo".

    Ma anzi, quanto più i cattolici volessero tornare alle tradizioni, tanto più si dovrebbero allontanare da coloro che si proclamassero discendenti della Destra storica, perché 1e tradizioni di questa e le tradizioni del partito cattolico storico sono tradizioni di guerra al1'ultimo sangue. Il Sillabo fu precisamente 1'ultima grande scomunica fulminata dal Papato contro l'eresia liberale. E il campione dell'eresia liberale era la Destra storica, finché ebbe vita e ragion d'essere, cioè quando non era né Destra né storica.

    Già, perché questo mito della Destra storica, si è venuto formando quando il partito, al quale si alludeva con quella frase, si era sfasciato e non contava più come una forza attiva nella vita politica del paese. Quando invece era parte integrante della vita politica, quando era vita e non storia, allora esso era ben altra cosa che un club di conservatori ideologi, dal programma inflessibile.

    Cominciamo col ricordare che la cosiddetta Destra nacque... Sinistra, e si affermò alla Camera subalpina non mediante una bene ordinata propaganda di principi, ma mediante un'astuta e bene organizzata mano parlamentare, che valse ai due capi–gruppo che la diressero (Cavour e Rattazzi) una infinità di vituperi.

    Durante tutto il periodo subalpino, la Destra ci fu, ma non fu quella che molta gente pensa, equivocando su quella benedetta denominazione della Destra storica. La Destra fu un gruppo che nei primissimi tempi ebbe una posizione preponderante alla Camera, che era nettamente divisa tra essa e la Sinistra repubblicaneggiante di Brofferio. Con questa Destra parve che Cavour simpatizzasse durante la sua prima legislatura; ma era piuttosto una fama di retrivo che lo circondava, e che molto gli pesava (si vedano i ricordi di Michelangelo Castelli). Ma si vide qualche anno dopo che cosa Cavour pensasse e che cosa intendesse fare, quando riuscì a costituire un solido partito di governo che non fu né Destra né Sinistra - naturalmente - ma una sinistra che passava dall'astratto al concreto, dalla teoria alla vita politica, cioè un centro sinistra.

    Questo fu il partito che creò Cavour e che lo sostenne nella lunga lotta. La Destra, la vera Destra, per effetto di questo profondo mutamento, che dette una vera vita parlamentare alla Camera, rimase assottigliata ed accantonata, ad una ala estrema, capitanata dal conte Solaro della Margherita. Questa destra rappresentava precisamente il contenuto ideologico del Sillabo e delle grandi tradizioni cattoliche, di cui ci parla il Rensi; ma se quella Destra potesse ancora esistere, a noi sarebbe stato impossibile gustare le acute dissertaziani filosofiche del Rensi, perché il censore ecclesiastico ne avrebbe proibita la stampa.





    L'Italia si è fatta contro queste tradizioni e il Parlamento italiano si è sviluppato, si è costituito, ha acquistata la sua fisionomia nazionale battagliando contro la Destra fino a che non l'annientò. Quando l'annosa guerra fu terminata, il grande condottiero si piegò su di un fianco, ancora tutto armato, e spirò.

    Non può dirsi cosa Cavour avrebbe fatto della sua maggioranza dopo il 1861; può dirsi soltanto, e purtroppo, quello che essa divenne senza di lui. Distrutta l'antica e vera Destra – la Destra temporalista che aveva sopportato lo Statuto – la parte più moderata del Parlamento piemontese (per lo più funzionari ed ex–funzionari), si spostò a destra, incontrandosi con tutti gli elementi meno italiani delle nuove province, coloro che avevano accettata o subita la nuova Italia. Al centro un'altra parte della vecchia maggioranza, rimasta li più che altro per forza d'inerzia ed incontratasi con una massa amorfa proveniente in buona parte dalle province meridionali. Tra questi e la Sinistra il cosiddetto "quarto partito" , tutt'altro che omogeneo, ma corrispondente all'incirca ad un Centro sinistro. Tutto questo in modo molto caotico. A ciascun gruppo non corrispondeva non dico un programma, ma neanche un nucleo di idee comuni. A destra, per esempio, stavano insieme un individualista classico, Ricasoli, ed un fervente statolatra, Spaventa; l'uno e l'altro poi, fierissimi patrioti, unitari e assertori dello Stato laico, sedevano accanto a Minghetti, che covava sempre in seno le sue "regioni", ed a Gustavo Cavour e Pier Silvestro Leopardi, con i loro amori temporalistici.

    I governi di questo periodo continuarono ad essere governi di centro – meno un breve infelice tentativo Farini, alla fine del 1862 – con questa differenza, che, mancando un centro compatto e disciplinato, e mancando un Cavour, i governi furono fiacchi ed esautorati. Ma la tendenza generale fu di imitare il "connubio" cavouriano, attirando le sinistre nell'ambito governativo. Non si dimentichi che a far parte di ministeri di cosiddetta destra entrarono fin dal 1862 uomini spiccatamente di sinistra (Mancini e Depretis, nel primo gabinetto Rattazzi). I tentativi non fecero che aumentare la confusione; ma questo non modifica le intenzioni.

    In mezzo a questo caos vagavano - male o punto ascoltati –– alcuni dottrinari di eletto ingegno (Spaventa, Jacini, ecc.), dai cui scritti si può veramente desumere una organica teoria di conservatorismo illuminato. Ma è una grande illusione trasportare le idee di questi eminenti solitari nella storia della Destra. La storia della Destra è una "rovina mesta"; la Destra storica è il mito sorto dalle macerie.

MARIO VINCIGUERRA