PROBLEMI DI LIBERTÀ
I.Si sta sferrando un combattimento che non ci si aspettava. Vero è che non l'accompagna un vero e proprio "tono" di battaglia, l'aria fosca, il cielo corrusco, lo sventolio delle bandiere, l'epos nelle trombe e nei cuori; ma oramai il giuoco delle parti, altrove e in altri tempi fiera concorrenza a armi corte e all'ultimo sangue, s'è trasformato e ingentilito pigliando l'aspetto della lezione del domatore, dove sotto gli schiocchi della frusta e le rivoltellate e i sibili acuti s'ode appena, quasi un brontolio di rimbambiti, qualche nostalgico ruggito. Intorno alla libertà da un pezzo non si faceva più rumore; languiva perfino la retorica, poiché il discorso di tutti – prima della guerra – era che fosse un bene acquisito e immedesimatosi negli animi, un presupposto ormai necessario delle manifestazioni di vita: la libertà c'é. Tutt'al più si disputava della sua ampiezza, e si distinguevano varii suoi cerchi limiti, tra i quali sarebbe stato estremo quello della libertà di sciopero; ma anch'essa veniva accolta e riconosciuta come pratica utile di governo, arnese di sfruttamento e di corruzione per cui a traverso graduali e regolati miglioramenti economici s'addomesticavano le folle insorte e con le sue funzioni di arbitro il governo si faceva temere e prediligere, paralizzando e unificando in sé le classi in contrasto. Così che fece meraviglia e quasi scandalo che il nazionalismo rinnegasse a parole la teoria liberale, e combattendola sembrò che sconoscesse il fondamento indiscusso della coscienza nazionale per amore di un'inadattabile dottrina straniera. Ma con l'Agosto del 1914 mutò la fortuna di quella teoria. Durante i mesi della neutralità la preparazione bellica degli animi parve trovar ostacolo in una "superstizione" di libertà che sarebbe stata un tradimento, agevolando le mene del nemico interno. Poi la guerra travolse le forme solite della vita, il mito nazionale non fu solo a reggere le coscienze, s'instaurò parallelamente il mito della palingenesi democratica che superava il concetto relativistico della libertà con la assolutezza della brama di redenzione, e quello della forza imperiale che lo negava. Quattr'anni di disciplina non consentita altro che da un'infima minoranza ne' suoi motivi, accettata passivamente dagli altri, hanno fatto dei primi degli esaltati, dei più numerosi, quanto lo permettesse la loro incoscienza, dei ribelli; ma ribelli incapaci di formare la loro propria ribellione, stanchi e impotenti; e le due pseudo forze in contrasto, incapaci di maturare un pensiero, mentre moriva una classe di governanti retori e frolli, che non sapevano più misurarsi con la realtà, mostrarono indifferenza e sprezzo per una formula che non poteva servire per la conquista del potere. Come mai quella parola, già moribonda e poi sotterrata, riacquista il suo vigore, rifiammeggia di passione, qualcuno la odia o la ama, sembra significare ancora un timore e una speranza? E' virtù propria dell'azione di definire chiaramente, di troncare i dubbi, di dar la prova degli uomini e delle idee. D'imporre a chi ne è urtato lo sforzo per lo meno di una risposta, di precipitarlo verso una sua forma sicura, di spartire in qualche modo il caos sul quale essa ha operato in due blocchi distinti, pro e contro, e anche quello che ha torto, perché contrasta e ripugna, e perciò è superato e non conta nulla, può, a sua soddisfazione e legittimazione scolpirsi una sua figura che rimarrà nella galleria delle generose illusioni e dei tentativi disperati. Il bolscevismo imbelle ha creato a questo modo il fascismo! il fascismo vittorioso sta creando – ma ahimé, con quanto stento! – un mito della libertà, vago e vaneggiante tra significati opposti che, se il Signore non l'assiste, non saprà davvero farsi forza di opposizione e non educherà i suoi credenti a quella suprema prova dei diseredati e dei derelitti che sarebbe il martirio. Il guaio si è che si sta fabbricando un mito col vuoto, e non ci s'incarnano dei bisogni veri, ma delle velleità, e lo si ricollega a qualche cosa di troppo morto, se si può dire, a forme ingombranti e disonorate come il parlamento, che non paiono capaci di rinnovarsi; né il nocciolo dell'assente vita liberale può nascere per virtù del disgusto o dell'accoramento. ***
Forse una distinzione che Stuart Mill pone a capo, quasi a guisa d'epigrafe, del suo "On liberty" può servire sommariamente da criterio per riconoscere il doppio valore che nella storia ha assunto questa parola; la quale non si esaurisce in essa, e si potrà di certo gettare il ponte che la ramifichi; ma è una distinzione tanto evidente e facile che par fatta apposta per una chiarificazione necessaria. Dice dunque Stuart Mill: "Non è qui questione della così detta libertà del volere che così inopportunamente viene contrapposta alla dottrina erroneamente detta della necessità filosofica, ma della libertà civile e sociale". Si può riconoscere nella prima la libertà tedesca, germinata dall'individuo nello sforzo della sua determinazione e affermazione, romantica; nella seconda la libertà inglese, maturata nella secolare sistemazione dei rapporti tra singoli, donde si forma contemporaneamente lo Stato, costituzionale e commerciale. Tra questi poli, mal definita e contraddicentesi, una libertà isterica francese che s'innesta, senza variarlo, sul "fatto" della nazione, e vi scompare entro e lo serve. La libertà inglese è squisitamente insulare. E’ specifica di una società separata che non conosce contatti e non si urta col resto del mondo se non emigrando; il processo lento che la porta al sole non è deviato o interrotto da volontà esterne, non patisce alti e bassi di fiducie e di scoramenti, è perciò il tipo dell'evoluzione. E' unitaria e congregante, fonde le opposizioni e disciplina gli interessi, annulla i problemi individuali poiché nasce in favore degli individui e li accomuna con il vincolo della minima necessaria ubbidienza; uguale a sé nel tempo piglia figura di metodo, ma postula il suo contenuto, che sarebbe il liberismo economico, le garanzie personali, il principio dell'autotassazione, tutte le regole finora escogitate per la convivenza armonica e per la migliore produzione. La libertà tedesca è condizionata dalla potestà; è la risposta e il risveglio del singolo sotto il potere precostituito; è l’affiorare della coscienza, è il bisogno del primo pugno e del primo grido in chi s'avvede della sua forza, l'uscita dalla brutalità, il segno della volontà e della creazione; invece che evoluzione è scoppio improvviso, invece che formulazione di rapporti è prova d'indipendenza, auto-esaltazione, germe d'anarchia; il riconoscimento del limite e dell'ordine cui perviene ha un che d'arbitrario e di duro per cui si necessita negli individui futuri lo stesso fenomeno di liberazione. La libertà in tale specie, sospiro di tutti gli adolescenti, non ha eco storica altro che presso un popolo di seguaci, che ascolta la voce de' suoi geni e si modella e s'infatua con le loro parole; vi partecipa una minoranza di condottieri, è quindi continuamente armata e aggressiva e consente con una disciplina assoluta; ma rinnova ogni momento lo stimolo alla manifestazione individuale e fa della società un campo per il dominio e per la gloria; non è culto dell'opinione ma dell'affermazione. Quando l'adopera l'uomo si riconosce Dio. Questi storici liberalismi non ebbero terreno adatto in Italia. La nostra falsa penisola fu terra di conquiste che non poté maturare una sua propria esperienza, ma ricevé della vita a lei esterna tutti gli urti e i contraccolpi, e è tuttora, rispetto alle altre, potenza "obbligata"; e le fa difetto, d'altronde, quella coesione, quell'amalgama da cui sprizza fuori l'individuo ribelle e dominatore dopo essersene nutrito. Siamo tutti autarchi, ma senza volontà di comando; buoni digeritori di forme e d'imposizioni, capaci di sopportarle senza mai assimilarle, di soggiacere agli altri domini e capricci salvandoci in una interna quiete fonte di sonno o di sorriso, isolati da una mirabile indifferenza; sicché le manifestazioni individuali, tanto è lunga la storia e si ha poca sete del nuovo, sono in genere risapute ed implicite, o cadono senz'eco; i bisogni più puri si mansuefanno nella rassegnazione. A cagione del poco amore all'ordine e alla previdenza e dell'andazzo a scansar le fatiche e a non complicar le giornate non sorge un problema dei rapporti sociali, ma li regola di volta in volta l'interesse particolare, e i conflitti si risolvono con l'astuzia; lo stato, non richiesto dagli abitanti, rimane estraneo alle coscienze e, in quanto agisce, le confonde e le disturba; gli atti di imperio, più sono illuminati, più spingono ognuno a restringere il suo campo di lavoro, a rannicchiarsi, a esimersi dalla loro osservanza scomparendo; e i pochi uomini che susciteranno le ribellioni, non potendosi appoggiare su un'oscura volontà concreta, adopreranno il gesto e la retorica. ***
E gesto e retorica fu la libertà inalberata come insegna del nostro Risorgimento. Fu arnese ed espediente d'un problema pratico e presto esauribile come quella della cacciata dello straniero, e bisogno d'imitazione di forme estranee senza le quali non pareva si fosse degni del consorzio europeo; la prova di governo liberale che s'ebbe in Piemonte nel decennio famoso fu un calcolo politico, il risultato del continuo sforzo verso un equilibrio tra la spinta rivoluzionaria e le tendenze retrive che facesse meritare allo stato Sardo la fiducia delle potenze occidentali. Finito il compito cui serviva – e l'ultima sua manifestazione fu l’irredentismo – la pratica liberale, anche per quel poco che poté attecchire, intristisce; il suo sbocco logico, l'ultima parola e quasi la conclusione e la riprova dell'unificazione nazionale cui mirava, lo trova in quel nazionalismo che la rinnega. Se ne risente parlare per bocca di alcuni solitari indagatori del moto socialista, di quei pochi che scostandosi dal campo della lotta e soprastando agli interessi credono al suo ufficio di formatore di coscienze, di fondatore dello stato entro le classi abbandonate; ma è probabilmente ottimistica la visione del socialismo come mito, se esso consiste più che altro nel porre problemi a breve scadenza e nell'accendere desideri subito soddisfatti (i sacrifici cui dette occasione sono passivi e casuali e gli eroi che può vantare sono gente, anch'essa, condotta al macello); né si vede del resto in qual modo per forza d'un mito sociale si creerebbe la coscienza individuale. Ma poi il socialismo nostro, come sì è accennato, fu naturalmente corrotto e corruttore; la lotta di classe fu agitata come uno spauracchio, che si risolse nell'accordo dei più furbi delle parti opposte a danno dei più onesti. E’ il crollo di tutte le sue impalcature non ci permette di credere che se n'alzeranno dell'altre più resistenti. ***
Le osservazioni proposte sin qui, se pure affrettate e approssimative, vogliono essere una interpretazione secondo un bisogno di pessimismo di quello che oggi accade e delle future speranze. Due necessità, in sé alquanto contraddittorie, hanno orientato queste parole: quella d'accettare la realtà contro tutte le utopie e i rimpianti e quella di trovare una forza continua e appropriata che dia ragione dei rimpianti e in qualche senso li faccia fruttare. Taluni si affidano, a questo scopo, alla rivendicata teoria liberale; ma invece che nell'accettarla con entusiasmo, anche se abbia un po' più di efficacia di quel che ho voluto ammettere, questa forza può concentrarsi nel lavoro di rivelarcene le debolezze e il marcio; che è salutare il distacco e l'indagine proprio riguardo alle cose che amiamo. Anche se alle prime prove si distrugge e si svaluta qualche cosa di buono, s'imparerà via via a sfrondare le apparenze momentanee e cattivanti; e si vedrà come posson mutare le cose e le idee approfondendole. Non restar paghi delle impressioni, cercar di capire meglio che lo sviluppo il germe, disintegrare le identificazioni, appurare i motivi fin oltre la coscienza di chi ne è mosso: sarebbe il modo d'una libertà nella conoscenza, più cara e più personale di quelle altre di cui s'è discorso. UMBERT0 MORRA DI LAVRIANO.
II.Il fascismo ripropone il problema di un'esegesi del nostro Risorgimento perché ce ne svela le illusioni e l'equivoco fondamentale insito in un disperato tentativo di diventare moderni restando letterati machiavellici o garibaldini. La libertà che noi opponiamo al fascismo non può dunque confrontarsi con la passione verbosa dei radicali, che misurarono nel mazzinianismo la loro impotenza; le sue connessioni con la libertà inglese sono soltanto tecniche e psicologici paiono i rapporti che la legano ai valori di coscienza germanici. La libertà che noi pensiamo è identica con la passione dei fondatori di Stato; a un popolo di artisti che non sapeva immaginare niente di più bello di un altro Rienzi, che salisse il Campidoglio in corteggio teatrale possiamo opporre una mera questione di stile. Il contrasto vero più che tra dittatura e libertà è tra libertà e unanimità: il vizio storico della nostra formazione politica consisterebbe nell'incapacità di pesare le sfumature e di conservare un'onesta intransigenza nelle posizioni contraddittorie, suggerita dalla coscienza che le antitesi sono necessarie e la lotta le coordina più che sopprimerle. Questa atmosfera di dignità liberale, repugna alla filosofia di Mussolini teorico di un governo polemista invece che demiurgico ("il ministero non può fare l'ufficio del giornalista" ha ammonito invano Cavour). Ma checché si pensi delle esperienze inglesi (noi siamo ben lungi dall'additarle quali modelli) solo da siffatta preparazione di costumi e di forme potrà sorgere un movimento libertario sul serio, che si alimenti di iniziativa popolare e di responsabilità economica rinunciando alle sterili ideologie di disciplina, ordine, gerarchia. Il problema italiano non è di autorità ma di autonomia. Senonché i termini del discorso potranno essere chiariti soltanto da una nuova esperienza economica che ci liberi una buona volta dal parassitismo nazionalista di plutocrati e impiegati. Senza disoccupazione e infantilismo guerresco – non ci troveremmo forse a rivendicare il futuro di fronte ai padroni di oggi. Se il socialismo con una morale piccolo-borghese, un corporativismo ricattatore, una politica demagogica, e un'economia fatalista fu il primo annuncio della decadenza presente – il movimento delle masse che l'economia europea prepara inesorabilmente per i compiti prossimi sarà la rivolta più solida e cosciente contro l'inerzia dominante. Solo questa speranza ci può far scorgere secondo un ritmo meno chiuso l'avvenire della libertà, che sinora fraintendemmo e non conquistammo. P. G.
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