IL GIGANTE CIECO
Il Fascismo potrà far bene o male, potrà sconvolgere disastrosamente, tanto da fornirci lavoro di ricostruzione per anni infiniti, o potrà di colpo e d'impeto, con maggiore o minore coscienza, superare problemi davanti ai quali la nostra ragione cozzava impotente ma, fin dal suo sorgere e trionfare, a tutti coloro che in qualunque misura sapevano vivere di pensiero, ha dato un male, un senso di umiliazione e di pena, che potrà essere, sì, compreso e superato, ma che sarebbe colpa dimenticare. Tutto quel che si va febbrilmente pensando e intendendo in questi mesi torbidi, ha bisogno di essere ricordato e approfondito: poiché ora le forze oscure, che sempre vogliono ritardare l'espressione libera entro dì noi, trovano un poderoso alleato, più ancora che in qualche transitorio divieto o minaccia, nell'atmosfera stessa, che sembra voler arrestare l'opera di pensiero e di critica in una calma rassegnazione di attesa. Lo spirito d'umiliazione, appunto, è tutto qui: che cosa vale rodersi pensando, costruire piani e schemi, o criticare i comandi ricevuti? Un'azione energicamente compiuta da altri cambia le forme del nostro pensiero, ne annulla qualche volta fin il ricordo, o lo fa divenir rimorso. Meglio è aspettare, poiché tutto può darsi, e la sorte è caso: per intenderla, avvicinarla o scongiurarla, valgono meglio i manganelli. Per troppo tempo le azioni si esaurivano nel vano parlare o pensare: adesso c'è chi fa. Meglio tacere e così, attendendo, umiliarci e punirci. Può darsi anche ne nasca un bene. Ora, proprio questo senso dì stanchezza, che ha preso, sia pure per un momento, anche i più forti fra i non fascisti, ha bisogno di essere ricordato e approfondito, poiché, fra tutti i fini che il Fascismo poteva proporsi, questo forse è il supremo. Meglio ancora: se, per perpetuarsi e affermarsi come stabile dominio, il Fascismo tende a diffondere questo rifiuto a liberamente pensare, è perché esso stesso sorse da uno stato d'animo strettamente analogo. Stretta mentalità di guerra, cioè, che vuol perpetuarsi nel dopo–guerra con tutte le sue restrizioni. Pensiamo: per quattro anni, milioni di uomini sono stati ravvolti nella più atroce atmosfera di caso, nell'attesa o nel timore frenetico di un proiettile che troncasse la vita propria o quella di un essere caro, o di una incursione, o di una epidemia, o di un ordine irresponsabile e definitivo, o di una lettera anonima, o di una congiura, o di un odio... Per quattro anni, il Fato non scongiurabile ha dominato sovrano - e tutta l'azione e la intelligenza degli individui singoli si limitavano a dirigersi verso qualche scopo ristretto e nettamente determinato, si, ma enormemente sproporzionato anche con la causa generale in cui si inquadrava. Le azioni stesse compiute, poiché assai raramente volute nell'intimo, dissolvendosi senza poter più essere ricostruite, lasciavano negli animi solo una aumentata capacità. Ognuno forse aveva sofferto e vissuto più di quel che voleva la sua misura, ma gli elementi di sofferenza stessi, impregnati di caso, se n'erano andati, o potevano essere ricostruiti solo come mito benefico: ma non si può essere combattenti e nemmeno ex-combattenti tutta la vita. Quindi, un distacco pauroso fra l'aumentata capacità degli animi e la reale esperienza di vita, fra la maturità dei sentimenti e la cultura concreta, fra gli sforzi e le sofferenze individuali e il fatto quasi inumano, che anche dall'apporto di questi sforzi e di queste sofferenze si era alimentato. In questo squilibrio, in questo vuoto ogni giorno dilatato, l'indeterminatezza delle aspirazioni vaghe poteva convertirsi poi indifferentemente in amletismo, o in azioni fatte per agire e sentirsi vivi, o in ricerca senza pudore del proprio interesse o piacere. I giovani, tornati dalla guerra, sentivano la possibilità di divenir tutto, per la passione e la forza che si era sviluppata in essi, ma, nella grandissima maggioranza, troppo scarsi erano gli elementi tecnici, nel senso letterale della parola, che permettessero a ciascuno di raggiungere la propria mèta – fosse assestamento professionale, o idea da intimamente incarnare. O le intenzioni si dissolvono nella loro espressione verbale, o la forza se ne va per la propria ruvida via a cercarsi il suo scopo – .Sempre, in tempo di pace, lo stesso dissidio, intuito e sorto in guerra, fra stati d'animo troppo intensi, che non si possono più rivivere, e condizioni di vita presente, in cui non si può più vivere – dissidio che si comprende sia stato particolarmente grave in un popolo, che non aveva alcuna esperienza e preparazione di guerra e di dopo-guerra. E’ la guerra che non può arrestarsi, perché il fervore nato da lei non sa placarsi nel ritmo attenuato delle opere e della mentalità di pace, ma investendo ogni aspetto della vita, lo rende febbrile e assurdo: punizione forse di un popolo che troppo breve ha la storia recente, e troppo poco ha conquistata la sua libertà. Ma bisogna pur uscire da questo stato d'incubo. Se non si crede, si ha pur volontà di credere; se non si vuole, si ha pur volontà di volere: pur di arrestare la vana girandola di tutte le cose ugualmente possibili e ugualmente effimere, meglio è fermarsi a qualche idea più vicina, concreta e nobile, e far centro lì, per sentire e far sentire lì tutta la propria forza. Ecco: con un colpo di forza, il gran vuoto può colmarsi, e rivelarsi elemento di libertà; poiché tutte le forme di attività e di pensiero si equivalgono, un colpo di forza solo potrà darci la nostra forma e la nostra misura: tutto quel che si vuole si può, tutto quel che si può lo si è voluto, tutto quel che è voluto e potuto, è giusto. Così, da questo affidarsi all'azione, da questo probabilismo e vertigine di guerra insieme, nasceva il Fascismo: il più forte sforzo per interpretare la guerra, compiuto con piena mentalità di guerra - senza uscir quindi da lei, ma perpetuandola e diffondendola nell'intimo. Chi crede all'elemento volontaristico del Fascismo, sbaglia, poiché grossolano errore è confondere la volontà, che sa le proprie mète e i propri limiti, con la volontà di volontà, che solo nel successo della azione può riconoscersi. Se proprio l'esperienza di guerra aveva creato una forma, una facoltà di intendere e di vivere, più che una qualche fede o sostanza che desse un contenuto, nel riviverla passionatamente come guerra portata nell'intimo c'era la speranza di colmare questo vuoto. Si voleva far guarire il male, proprio facendo ritorno alle forme e alla mentalità di guerra da cui esso era sorto; se proprio non si poteva fare la pace, ma tutto attorno era confusione, arbitrio e caso, meglio era deliberatamente tornare allo spirito e quasi alla vita di guerra, che almeno aveva una sua bellezza maschia; se il tormento di quattro anni non poteva tradursi o inserirsi in forme normali, meglio cercare, da questo stesso tormento, di estrar le forme di vita nuova, sia pure portandolo a tutto investire e dissolvere. Veramente, a molte porte avevano battuto i giovani che poi si affidarono al caso e alla lotta per creare il Fascismo – e della colpa di non aver loro risposto, di non averli capiti, non vi è nessuno che sia innocente, né maestri nella scuola, né uomini pratici, né partiti politici: meno di tutti, il Socialismo. In realtà, invece di aiutarli a esprimere le loro sofferenze e aspirazioni, li si lasciarono in disparte quasi ammorbati. Ma essi avevano la forza: e tutto lo studio e l'esperienza di scuola e di vita, che essi non sapevano più fare, poteva rivelarsi poca cosa di fronte alla loro forza - vendetta atroce ai saggi e ai potenti, che non avevano saputo accoglierli. Intimamente, il Fascismo è nato da un difetto di cultura: ma gran colpa di questo difetto è nei maestri. Colpa enorme, se essi hanno permesso che i giovani tornassero ad inasprire ed eternare il male proprio alla fonte del male stesso, quasi le ferite inferte dalla più atroce delle guerre, fossero come quelle della lancia che trafisse Gesù. Così nacque il Fascismo: per spiegarne l’origine non c'è bisogno di ricorrere ai comunisti, e per intenderne la deformazione intima sarebbe inutile e forse anche falso dar troppa importanza a qualche episodio di malvagità o di corruzione. Ma il grande pericolo, la delicatezza estrema della situazione, quando in essa viene ad inserirsi l'opera violenta del Fascismo, è qui: che noi siamo in Democrazia. Ora, tutto è possibile in Democrazia: perfino l'annullamento della Democrazia. Tanto si è 1iberi, che è possibile l'annullamento della libertà. C'è sempre poi un filosofo che giustifica tutto questo e accetta con la sua sola presenza di ratificare un Governo "di ricostruzione". Ma non così impunemente si viola la Democrazia: se essa è tanto libera da permettere fin la sua soppressione, svolge poi questa soppressione stessa secondo i suoi metodi intimi: poiché folle è chi crede tutta la Democrazia consistere negli immortali principi, e non piuttosto che essa sia atmosfera del nostro tempo, ritmo della nostra vita. Questo, appunto, nel suo intimo è la Democrazia: moderna ripercussione, trasmissione, fulminea come i suoi mezzi di comunicazione, dell'esempio, delle conseguenze di ogni atto per ogni più lontano individuo e per ogni più profondo strato sociale - giudizio immediato che si svolge, per così dire, nello spazio, e che è la negazione quindi dei regimi individuali assolutistici, per propria natura essenzialmente storici, svolgentesi nel Tempo. (Espressione di questo, il suffragio universale: diritto di ogni individuo a far sentire la sua volontà nella direzione generale degli affari, poiché in realtà ogni atto ha su lui una influenza quasi immediata). Tutto quindi assurge a politica, tutto è oggetto di valutazione giuridica: per questo, prodigiosamente delicato è operare, vivere politicamente, governare in Democrazia. Tutto fulmineamente si diffonde, e, diffondendosi, si ingigantisce: il bene come il male; il pensiero individuale e di tutti va di pari passo con 1'azione, e legittimamente la sorveglia di continuo, per frenare, controllare, appunto, questa sua tendenza a svolgersi all'infinito. Critica ininterrotta, cioè diritto e necessità di critica: e tutta impregnata di critica appunto è la nostra epoca, ben più che volta a creare grandi sistemazioni sub specie aternitatis. Critica che si svolge in ogni testa, poiché su ogni testa cadono le conseguenze delle azioni; critica che si manifesta come libertà di voto e libertà di parola, di pensiero, di azione. Ora, chi voglia essere dittatore o tiranno in Democrazia, prodigiosamente addentro e nell'intimo bisogna estenda il dominio del suo prepotente volere: non gli basta impossessarsi degli organi dello Stato, ma bisogna sopprima nelle teste il diritto di critica e di libertà, battendo coi manganelli, e fin nelle viscere gli è necessario andare, con l'olio di ricino. Così si vendica la Democrazia: portando, sia pure nell'annullamento di se stessa, all'estremo di diffusione fulminea il principio che vuol violarla: se essa è, più che costituzione politica, critica e libertà, per ucciderla bisogna stroncarne l'intimo: il pensiero. Ed i1 principio di negazione continua a svolgersi così, all'infinito: il gigante ha ucciso in sé la possibilità di vedere: resta gigante, ma cieco. Nessuna tirannia certo è così paurosa come quella che si svolge con la spietata minuzia e col ritmo torrenziale della Democrazia. Ora, è possibile che i giovani del nostro tempo, per uscire dall'amletismo accentuatosi nella guerra, abbiano voluto questo per stroncare il vaneggiamento della libertà e della critica nel vuoto, senza appoggio di azione, è possibile si siano risolti a non vivere, alla loro maniera, che di atti puri?... Badiamo: di quello stato d'animo culminato nel Fascismo, tutti siamo responsabili. Nella nostra epoca intimamente democratica le esperienze devono essere fatte in toto, per masse: queste esperienze sui limiti della Democrazia e sull'essenza della Libertà, che, compiute da popoli più avventurosi, prendono nome là di Bolscevismo, qua di Fascismo, vengono necessariamente quando non si sappia far sentire, a chi ne avrebbe più diritto per maggior sofferenza o intelligenza o lavoro, cosa sia Democrazia e Libertà. Guai se in epoche moderne qualche idea o funzione diviene monopolio di alcuni gruppi, del tutto incomprensibile per altri! Ora, a questo, appunto, si era arrivati dopo la guerra, per la muraglia di incomprensione che ci teneva divisi a compromettere o ad isolare lo spirito di Democrazia, che era divenuto monopolio di alcuni, più che per volontà di accaparramento, per incapacità a tradurlo e farlo intendere nella più recente esperienza dei giovani. Tutta la tragicità del nostro momento, è qui: queste esperienze compiute sui limiti della Democrazia, per sopprimerla, ma col suo stesso ritmo, possono essere irreparabili, senza ritorno. Mostrando come rapidamente si possa capovolgere con violenza una situazione, si svelano segreti tremendi e che sarebbe convenuto tener nascosti con ogni mezzo, si arresta quel movimento di organamento e di disciplina intima della Democrazia, ch'è poi il movimento e la dignità stessa del pensiero. Si toglie la volontà di critica, si diffonde quello stato d'animo di rifiuto a liberamente pensare, da cui è sorto il Fascismo e di cui si alimenta: e si crea così qualcosa di mostruoso, di cieco, di metallico, con cui quasi par di non poter comunicare, poiché non vi è comunanza di linguaggio e di pensiero. Poiché questo infine è il Fascismo: una tragica frana. Un blocco formato da quasi una intera generazione di giovani, per la lenta erosione scavata dalla sofferenza e dalla incomunicabilità in guerra e nel dopo guerra, si è staccato bruscamente, con la violenza indomabile dei fenomeni naturali, da quel ch'è la linea di normale svolgimento del proprio paese e della propria epoca. Enorme è la responsabilità di chi non si accorse della erosione, e forse ancora oggi non la intende in tutta la sua gravità, mentre si vanno spalancando baratri dove eran strade e tracciati di strade, e il blocco di una generazione, della migliore forse che potesse avere l'Italia, va rotolando per la propria china. Può darsi che, dopo, il terreno sia più sicuro, fecondo e solido, e che, in questo sgretolamento e screpolamento fin nel profondo, ricchezze insperate possano venire scoperte; ma può darsi anche che beni preziosi possano andare per sempre perduti. E questi "può darsi" sono l'umiliazione del pensiero: il dovere immediato ora è di far argine, con la propria coscienza libera. Qui non si parla con odio del Fascismo: la rivoluzione o la collaborazione, che si esaurivano nel parlare di rivoluzione e di collaborazione, e il Fascismo che, spregiando la parola e la critica, vuole affermarsi solo nel fatto, sono tutti sintomi di un male interiore unico, nato dalla guerra. Nemmeno il Fascismo, con tutta la sua violenza, può uccidere questa sorta di solidarietà intima, nel male, coi suoi nemici: tanto meno, può impedirci di riconoscerla. Ma c'è qualcosa dì più profondo e umano nello stesso tempo, dell'odio, ed è il rifiuto netto, vigoroso, a continuare più oltre, con viltà o con pavidi ravvicinamenti, in questa solidarietà nel male. Poiché si è esclusi dalla azione e dal potere, non mendicarne le briciole, ma rivivere intimamente ogni azione compiuta dagli uomini al potere per liberamente giudicarla. In Democrazia, nulla si può rimandare a un domani, tanto meno la libera attività di critica e di pensiero: poiché tutto in essa vive, si svolge contemporaneamente, attualmente, nello stesso spazio di tempo. Ogni azione o inazione viene fulmineamente giudicata e tende a divenire irreparabile, se si abbandona il proprio campo e la propria funzione: ora, nella preparazione e nella salvaguardia del domani, gli uomini liberi hanno una magnifica funzione da compiere, un durissimo equilibrio da ristabilire, solo con il rifiutarsi a tacere quando vi sia qualcosa di intimo da dire - quando vi sia una sofferenza o una pena che dia diritto alla parola. A meno che non vogliamo proprio che, per una serie di atroci equivoci, per deficienza di cultura intima in alcuni, di coscienza in troppi, diventi di sempre quell'abisso scavatosi per la erosione e per cader di frane fra una generazione e le altre, e in cui sembra quasi aver trovato forma il gran vuoto intimo nato dalla guerra; e così con la continuità spezzata sia irreparabilmente compromessala libertà. Poiché forse occorreva tutto questo dolore di oggi, questo atroce spirito di guerra portato nell'intimo, per far sentire come bene grande sopra ogni altro, come giustificazione unica alla Vita, sia la Libertà. MAX ASCOLI
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