LE INDISCREZIONI DI CANDIDO

DAL TACCUINO DI POCOCURANTE

IL PUDORE CON LO STEMMA REALE.

    Ripensando alla mia conversazione dell'altro giorno con l'ottimo Candido sull'assurdità della morale imposta per ordine governativo, il quale fatalmente colpisce di traverso (mentre la vera immoralità trova sempre modo di sgattaiolare non senza qualche lazzo birichino), e riandando ai numeri, per quanto metodicamente vani tentativi fatti in questo senso da numerosi governi; mi pare di scorgere in questa risorgente illusione un motivo comune, di una ideologia alquanto infantile: nel credere cioè che il grado di moralità maggiore o minore di un popolo influisca in bene o in male sulla saldezza della sua fibra, del suo senso civico, ecc., e lo renda per conseguenza meno o più esposto agli attacchi di altri popoli più virtuosi e perciò più gagliardi. Le leggi per la pubblica moralità divengono così una specie di provvedimenti a sussidio della politica estera. In governi autocratici od oligarchici, sul tipo del presente governo fascista, viene naturale il pensiero di servirsi per "ragione di stato" di tutti gli elementi a disposizione, per imprimere un dato movimento. Per ciò il ripetersi, sotto simili governi, delle medesime illusioni, dei medesimi conati, dei medesimi errori. Perché per lo più non si ha sotto mano che una parvenza di vita. La vita è fuori, molto lungi dalle anticamere ministeriali.

    Nel caso specifico, è del tutto errato il credere che una popolazione che abbia fama di poca morigeratezza sia in conseguenza di questo una nazione inetta a difendere la propria esistenza, e magari ad affermare la propria volontà d'impero. Sarebbe più agevole sostenere il contrario, sebbene questo, presentato come una legge storica, risulterebbe poi un paradosso. Ma poiché l'ascendere verso più alte e quindi più complesse e complicate forme di civiltà produce fatalmente una discesa di alcuni valori morali, avviene che tutti i popoli di civiltà più antica e più raffinata sono, in un certo senso, più immorali; ma non per questo sono preda del "barbaro puro". Questo è un pregiudizio derivato dalle forme leggendarie, nelle quali ci sono stati tramandati certi racconti della calata dei barbari entro l'Impero romano. Entra in queste prevenzioni anche quella certa vena di intransigente intellettualismo stoico, che non ha cessato di scorrere attraverso la nostra cultura cristiana. E' un onesto pregiudizio, ma non cessa di essere un pregiudizio. Le libertina Atene fu, tra gli stati greci, quello che più fieramente e più a lungo sostenne le sorti di tutto l'ellenismo; Sparta integerrima - e ipocrita -; quando, alla fine, raggiunse, senza molta gloria, una posizione di egemonia sugli stati greci, non seppe mostrarsene degna. Anche alcuni anni fa, alla vigilia della guerra, sentiamo ripetere che la Francia aveva profanato le sue virtù eroiche nei postriboli parigini e perciò avrebbe soccombuto in una lotta. Quelli che dicevano queste cose non tenevano nessun conto della esperienza, la quale ci suggerisce che la facilità dei costumi è parte integrante dei costumi militari, e può dirsi con appena una tinta di paradosso che è una virtù militare; per la Francia in particolare poi dimenticavano che essa ha marciato per secoli – ed a lungo! – cantando il "triplice talento" di Enrico IV:

de boire, de se battre
et d'être un vert galant.

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    DOCUMENTA SERVITUTIS - Ai primi di marzo, subito dopo il discorso mussoliniano, dell'"accettare o subire", un giornale, dei tanti ufficiosi che sono in piazza, parafrasava e turibolava così:

    "Il Capo del Governo ha affermato di volere "governare, se possibile, col consenso del maggior numero di cittadini, ma nell'attesa che questo consenso si formi, si alimenti e si fortifichi", ha proclamato la necessità di accantonare "il massimo delle forze disponibili" poiché, così ha soggiunto 1'on. Mussolini, "quando mancasse il consenso c'è la forza". O accettare i provvedimenti, anche i più duri, dunque, per alto spirito patriottico oppure "subirli".

    Queste ultime parole sopra tutte vanno meditate da quanti hanno a cuore le sorti della Nazione. Alcune menti sembrano quanto mai ottuse e impenetrabili allo spirito dei tempi nuovi. Si illudono di poter fruttuosamente trasferire le opposizioni al Governo sul terreno dottrinario richiamandosi agli schemi antiquati ed irrigiditi di una età sorpassata".

    Dopo quel po' di roba venuta fuori (ed è appena la schiuma!) dalla inchiesta sulle spese di guerra un giornale molto disinteressato esclamava indignato:"Finiscano le speculazioni di parte e si pensi solo che, oggi che l'Italia ha un nuovo Governo, nobilmente preoccupato della restaurazione economica e morale del Paese, dei vecchi metodi e delle vecchie Commissioni, anche nel mondo degli affari e delle banche deve entrare il soffio purificatore dei nuovi tempi che esigono il fronte unico.

    Dopo tante lotte nefande... non ci occuperemo più delle miserande beghe prebelliche e post-belliche di cui l'odierna relazione sulle spese di guerra non è che un triste episodio: la freccia del parto d'un regime spodestato!".

    Il giornale precedente gioisca liberamente. Esso raccoglie nobili consensi. E per parte sua ne fa suo pro.

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    Titolo su sei colonne, 1ª pagina, nel secondo numero del nuovo turiferario: L'Impero: "Chi non è nella sensibilità fascista non è un dissidente: é un morto".

    Ho cercato negli avvisi economici lezioni private facili e rapide di sensibilità fascista. Non ho trovato. Mi dispiace. Ho da rivolgermi al giornale precedente o a quell'altro di prima?

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    PERSONE PRIVE DELLA "SENSIBILITÀ":

    "Che per un trentennio tutta la nostra vita sia regolata da deliberazioni del Consiglio dei ministri insindacabili e indiscutibili, la stampa taccia come ora tace, le schiene si pieghino come ora si piegano perché "per le zucche che si rialzano ci sono cinquecentomila manganelli" e "della buona mitraglia e delle bombe a mano", come ci ricordava l'altro ieri il Popolo d'Italia, nessuno può crederlo sul serio. E, se anche ciò fosse possibile, potrebbe mai sorridere al Partito fascista ed al suo capo? Sarebbe mai vera gloria quella di reggere il paese senza consentirgli di manifestare liberamente la sua volontà, di determinare attraverso il Parlamento i suoi destini, di controllare il suo Governo? Sarebbe mai condurlo in alto moralmente e ricompensarlo della vittoria riportata nella guerra? Duri non un trentennio, ma un secolo il dominio fascista; ma vi duri perché il paese lo vuole, non perché gli è imposto".

    (Corriere della sera, 3 marzo)

    "Si susseguono, da qualche tempo, in Italia, arresti politici di comunisti e socialisti.

    Non siamo in grado di pronunciare un giudizio su tali arresti: e ciò perché il Governo non ha mai comunicato ufficialmente i titoli di reato in base ai quali essi sarebbero avvenuti, ed i fatti a cui i titoli medesimi si applicherebbero.

    La questione che noi facciamo non è di regime liberale o non liberale, democratico o antidemocratico; parlamentare od antiparlamente. Se così fosse, non avremmo ritenuto necessario prendere la parola, come non lo ritenemmo in occasione dei progetti di riforma costituzionale o dell'istituzione della milizia nazionale fascista: e ciò per ragioni che abbiamo ripetutamente spiegato. La questione che facciamo oggi è di pura e semplice legalità. Una delle conquiste principali di quel secolo XIX, che noi non giudichiamo "stupidissimo" come fa l'on. Giunta ripetendo ed esagerando Daudet, è quella dello "Stato di diritto" in contrapposto allo Stato di polizia dei secoli precedenti: conquista che del resto s'inizia fin dal secolo XVII, nell'Inghilterra degli Stuart, coll'habeas corpus".

    (Stampa, 4 marzo).