LIBERISMO E OPERAI
Il liberismo ha dominato in Piemonte e in Toscana come organizzazione economica di una agricoltura fondata sulla piccola proprietà e sulla mezzadria. Deve dimostrare la sua vitalità adattandosi alle esigenze dell'industria che sta creando naturalmente un'economia della fabbrica fondata su una rigida disciplina intenta nei rapporti tra industriali e operai. Nulla esclude tuttavia che anche l'industria si sviluppi liberisticamente dal punto di vista dello scambio se si vincerà lo spirito dilettantesco e parassitario dello industrialismo italiano rivolgendolo alla sua funzione naturale che è l'industrializzazione dell'agricoltura. Un esame di coscienza preciso ci convincerebbe che la nostra politica economica fu sviata, prima che dalla mancanza di capitali mobili, dal dazio sul grano, il quale toglieva all'agricoltura ogni volontà di lotta, le impediva le necessarie comunicazioni con lo sviluppo dell'industria, e non le permetteva di conquistare il suo posto nei mercati mondiali seguendo la logica delle sue attitudini alla specializzazione. Solo per questi errori iniziali veniva aumentata tra i capitalisti del Nord la psicosi dell'avventura megalomane del mimetismo internazionale che ora è difficile estirpare per le correnti di interessi artificiosi che le si sono venute formando attorno. Un movimento operaio intransigente contro tutti i riformismi potrebbe sognare l'inizio della revisione e offrire i quadri per la lotta inesorabile del liberismo. Gli appelli dei liberisti ai consumatori e ai contadini cadranno nel vuoto come caddero nel passato. Il concetto stesso di consumatore è affatto piccolo borghese e le classi medie in Italia non hanno mai mostrato alcuna attitudine all'eroicità e al sacrificio politico: sono da un lato i delusi dell'aspirazione al capitalismo falliti per la loro insufficienza, dall'altro le pseudo aristocrazie operaie esauritesi nello sforzo di imborghesirsi. I contadini poi sono condannati dalla storia a una funzione conservatrice; un'iniziativa politica che muovesse dalla campagna sboccherebbe in un tumulto reazionario per la impreparazione delle menti e l'assenza di attitudini specifiche alla lotta politica: non importa che i contadini si elevino per operare, ma piuttosto che essi confermino nella loro pace e nella loro rassegnazione le energie del futuro: tutti sappiamo che attraverso la selezione dell'inurbamento si provvede a sostituire le generazioni cittadine destinate ad esaurirsi rapidamente. Ora è nostra ferma convinzione che l'ardore e lo spirito di iniziativa che condussero gli operai due anni or sono all'occupazione delle fabbriche non possano considerarsi spenti per sempre, né le lusinghe della legislazione sociale e del collaborazionismo parassitario instaurato dai fascisti addormenteranno insidiosamente la sola forza viva su cui si possa contare per il futuro. Mentre in sede di coltura politica prepariamo intorno a queste idee centrali le nuove classi dirigenti possiamo concludere, confessando una speranza, che il nuovo liberalismo dovrà coincidere in Italia con la rivoluzione operaia per offrire le prime garanzie e le prime forze di uno sviluppo autonomo delle iniziative. L'Italia diventerà moderna rimanendo un paese prevalentemente agricolo: ma la nostra agricoltura povera ed arretrata deve alimentare per prendere consistenza una serie di iniziative industriali non avventate, aderenti alla realtà, deve anzi essa stessa, come presentì il Jacini nell'Inchiesta agraria, divenire industriale. La rinascita moderna della nostra economia dipende dalla volontà di azione dell'avanguardia industriale (operai e intraprenditori) del Nord che possono offrire, essi soli, una soluzione unitaria del problema meridionale e liberarci dalla parentesi di politicantismo che fu durante sessant'anni l'unico effetto palese dell'unità. Allora soltanto, predicando il liberismo, saremo ascoltati ed intesi. P. G.
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