POSTILLE
Sul materialismo storicoL'invito a ripensare e rielaborare l'argomento su questa rivista vuol essere inteso più come una richiesta di conferire sommariamente quelle osservazioni che la pratica degli studi suggerisce e persuade pur anche a chi per natura e per uso rifugge da troppo netti e definitivi giudizi, che come un invito a tentare una veduta d'insieme sul campo vasto e complesso che si indica col nome di Materialismo Storico. Se abbiamo in questo senso inteso rettamente, è da sperare che possa questo esser l'inizio di una feconda discussione, per modo che a questi brevi appunti altri, più dotto e sicuro, faccia seguire le sue osservazioni e le sue critiche. Una veduta d'insieme, come quella che abbiamo letto sulla "Rivoluzione Liberale", troppo facilmente, allo scopo di costringere in limiti di un articolo così ampia materia, viene a sostituire uno schema semplificatore all'ampiezza della comprensione storica. Appunto per ciò, le osservazioni che si potrebbero muovere da un punto di vista generico a questa lucida esposizione, sembrerebbero a chi ha qualche familiarità colla dottrina in questione, verità ovvie e di comune dominio. Altre critiche potrebbero muoversi su certi punti particolari, per esempio anzitutto là, dove quasi parrebbe che si volesse presentare il Materialismo Storico come una specie di determinismo storico, mentre bisogna guardarsi bene da una simile affermazione, ed ancora là dove sembra del tutto dimenticato l'abisso che – come chi scrive altra volta sostenne su queste colonne – separa Marx ed Engels dal comunismo utopistico degli inizi. Ma, spinti oggi da puro interesse storico, vuol essere una semplice nota in margine la nostra: il fatto che si sia sentito il bisogno di parlare di una specie di revisione del marxismo (chissà, se una tale revisione venisse compiuta, quale sarebbe la sua fisionomia – e come diversa dall'altra!), prova a sufficienza che il problema ci tocca assai più da vicino di quanto si potrebbe supporre, poiché esso insospettatamente rientra in quel compito a cui invano cercheremmo sfuggire, e che ci è caro chiamare con un vecchio nome: il nostro esame di coscienza. Ma anzi tutto, per quanto è della critica del materialismo storico, diciamo pur francamente come questa non possa assolutamente ritenersi compiuta quando sia stata dimostrata in un modo che direi grossolanamente empirico, l'insostenibilità della tesi materialistica. Con ciò rimane debellata una certa dottrina volgare che ebbe, ed ha, per ovvie ragioni, ampia diffusione e successo; non il materialismo storico, che rimane illeso seppur spogliato di una rozza corteccia, affinato - e c’è da rallegrarsi che lo sia - contro alle degenerazioni dei suoi banditori stessi (appena occorre ricordare, per esempio, certe lettere di Engels!) e si direbbe, riportato alle fresche sorgenti del primo formularsi del pensiero giovanile di Marx. Il materialismo storico appare così quella schietta visione che si affacciava per la prima volta colla critica che Marx compiva ad un tempo e di Hegel e di Feuerbach: questa schietta visione è quella che importa qui ed è con essa – non colle sciocchezze sciorinate da certa letteratura che si vogliono far passare per materialismo storico – che dobbiamo far i conti. Non con questo che si voglia affermare l'esistenza di una specie di dottrina arcana, indipendente dalle esigenze della pratica politica. Ma è pur necessario e legittimo rivendicare al Materialismo Storico la dignità di posizione speculativa, il diritto di essere inquadrato nella Storia del pensiero ed, in questa, il posto preponderante che gli spetta nella seconda metà del secolo scorso e sul principio di questo. Per cui si deve anzitutto riconoscere il valore della presa di posizione che esso rappresentava di fronte al decadente idealismo da un lato, al risorgente sensismo, materialismo e positivismo dall'altro. Esso portava veramente un soffio vivificatore in mezzo a sterili accademie, mentre è merito di esso soltanto, se veniva serbata la parte migliore dell'idealismo, alimentata l'antica fiamma, che era quella del grande romanticismo tedesco. Neppure dobbiamo dimenticare il lungo lavorio attraverso il quale il materialismo storico venne più tardi chiarificandosi, ed il singolare artefice di quest'opera: Antonio Labriola. E se si pensa che da quest'ampia veduta doveva rampollare il risorto spirito filosofico nel nostro paese, si comprende agevolmente perché non ci possiamo avvicinare senza palpito a questo materialismo storico, né potremo giammai dirci contenti dopo che l'abbiamo contenuto in una facile formoletta. Era il profondo senso della storia, il coraggio di affrontarla di petto e di tentarne una sintesi potente, la proclamata umanità di essa: in una parola, un cotal solido realismo, quello che Labriola scorgeva nel materialismo storico, in cui credeva di aver trovato la realizzazione del suo ideale: una filosofia della vita. Lo seguiva da presso il tentativo del Gentile di sviscerare la filosofia della praxis (e qui, a conferma di quanto si disse nel rivendicare il primo getto del pensiero di Marx contro all'imbarbarimento posteriore, si potrebbe anche constatare semplicemente il fatto che tale ricostruzione finiva per essere condotta quasi unicamente sul magro documento delle brevi glosse al Feuerbach) – e la scoperta Crociana della forma economica come momento di una vasta dialettica spirituale, scoperta che risolleva, come il Croce stesso ci dice, uno dei problemi che più a lungo lo tormentarono ed affaticarono, e diveniva il perno della sua filosofia pratica. Per tal modo appunto su questo concreto terreno veniva fondato, vittorioso superamento, il nuovo realismo idealistico o idealismo realistico (e la terminologia ha troppo una importanza anche storica perché si voglia credere che ci vogliamo baloccare cogli ismi), le cui vicende non è il caso di narrare qui; né intendiamo accennare neppure di sfuggita alle profonde risonanze che del materialismo storico tu ritrovi nella nuova speculazione. La quale se da un lato si riabbracciava così all'idealismo, per questa aderenza alla realtà, per la profondità congiunta a chiarezza, tornava ad essere intimamente italiana, mentre la tradizione nostra veniva rintracciata con profonda avvedutezza ed amorosa cura. Nutriti di questa cultura, tanta parte del materialismo storico continua a vivere nel nostro pensiero, che non parrà esagerata questa conclusione. Una revisione del marxismo ha, sì, veramente valore di simbolo, ma intesa in quanto revisione del patrimonio spirituale che costituisce la nostra eredità, per conquistarlo veramente e farlo nostro, e per venire in chiaro innanzi e sopratutto con noi stessi. ALESSANDRO D'ENTRÈVES.
Propaganda italiana all'esteroCi si lamenta spesso - e non senza ragione, ma senza sufficiente chiarezza d'idee, come non è il caso qui di analizzare - ci si lamenta che gli Italiani siano troppo appartati, troppo silenziosi all'estero. Ma quando, ahimè, l'Italia espressamente fa parlare e parla di sé... Che Dio ne scampi e liberi! Ecco l'ultimo esempio, ed uno dei più illustri. Grande campagna per una intesa economica franco-italiana, da servire come base positiva ad accordi politici. Superfluo dire che l'idea fondamentale è, in teoria, ottima: niente accordi politico-sentimentali: alla base debbono esserci pratiche, concrete intese economiche e tecniche. Ma ecco come si svolge il tentativo in atto. Viene a Parigi il direttore di un giornale italiano notoriamente siderurgico, uomo che del resto ha innegabilmente molti "numeri" al suo attivo. Inizia nel suo giornale una campagna apologetica dell'impresa della Ruhr, che riuscirà infallantemente. (In Francia, non ne sono mica così interamente e intimamente persuasi; e non è certo un giornalista consumato, come il nostro, cui bisognerà insegnare a leggere e guardare oltre i titoloni sonanti e i boniments della grande stampa ortodossa!). Riuscita certa, col trionfo del monopolio industriale francese. Dunque l'Italia deve prender subito posizione per approfittare di questa situazione avvenire. Presi gli opportuni accordi, taluno dei massimi giornali parigini fa coro, ma senza troppo sbilanciarsi sulle generali. Un pro-memoria programmatico è presentato a pezzi grossi della stampa, dell'industria e della politica francese dal nostro propagandista. Ma, dopo quei pochi articoli di fondo di qualche 420 della stampa parigina, commenti più scettici di giornali d'opinione; silenzio ufficioso: il Governo francese ha data la parola d'ordine di lasciar cadere la faccenda. Infine anche l'organo dell'industria francese, quando ormai il fiasco è dichiarato, esce dal suo mutismo per somministrare questo pò pò di doccia fredda: l'opinione francese "voudrait flirter à l'excès avec l'Italié", e l'odierna discussione "menace de tourner d'abord au ridicule, puis à l'aigre". Per essere la voce (com'è indubbiamente: abbiamo citata la Journée Industrielle del 2 marzo) di quella "grande industria" cui la nostra siderurgia ha voluto fare l'occhiolino, non c'è male davvero! I campioni della recente campagna possono andarne fieri. Intanto, il bulldog d'oltre Manica avendo abbaiato, Mussolini, come già fece per altri vaghi disegni di grande politica estera lanciati con giornalistica disinvoltura, mentre si occupa attivamente di rimettere a galla la barca Ansaldo, butta a mare la campagna di stampa "non autorizzata". La morale del grottesco? Che i siderurgici italiani mandino all'estero proprii agenti perché lavorino nel loro interesse, va benissimo. Soltanto è un po' meno simpatico che gli stessi agenti lascino intendere – pur non osando affermarlo esplicitamente – di essere poco meno che emissari del Governo del nostro paese. Il programma dei 7 punti che fu realmente esibito a Parigi non è precisamente quello che apparve nelle parafrasi della stampa. Chi ha avuto sott'occhio il memorandum originale – pochi foglietti dattilografati, in cattivo francese – non può non ricordare che gli autori del grande piano di collaborazione franco-italiana cominciano col dare l'intonazione politica gettandosi nelle braccia della Francia: l'Italia - dicono essi in sostanza – è insidiata da un'abilissima ed estesissima penetrazione tedesca, che si vale dei noti strumenti industriali e bancari. Invece tutta l'organizzazione delle banche e delle industrie che è veramente italiana (monopolio dell'italianità) é di orientamento francofilo, causa il suo carattere nazionale (sic). Quindi, come punto primo per un accordo (tanto per non perdere tempo) il memorandum propone: un trust tra la siderurgia francese e l'italiana, che avrà l'effetto provvidenziale di sopprimere ogni concorrenza tra la "grande" industria francese e la "piccola" (sic) industria italiana. Ben detto! Ma quale meraviglia, se la grande industria ha risposto alla piccola: Non provo alcun bisogno di averti tenera amica e sorella d'elezione, giacché sono sicura – e se poi riesco nella Ruhr, come tu mi giuri... – di averti serva obbligata! I patrioti e diplomatici della siderurgia ci spiegheranno in che modo un fiasco di questo genere, che ci fa dubitare della loro lucidità mentale, potrà costituire un buon precedente per il giorno in cui si giungesse a trattare sul serio un'intesa franco-italiana, che – secondo noialtri "cattivi italiani" – non è detto debba obbedire necessariamente al motto: sidèrurgie d'abord! Parigi, 3 marzo. LUIGI EMERY.
|