Rassegna sindacale

UNIFICAZIONE SINDACALE E COOPERATIVA

    La subordinazione o meglio l'asservimento, del movimento sindacale e di quello cooperativo alle organizzazioni di partito che ha caratterizzato la politica operaia nel tumultuoso periodo postbellico e che è stata gabellata come suprema necessità e come prodotto di un fatale sviluppo del pensiero e dell'azione proletaria, ha ormai generati i suoi effetti dannosi.

    I due movimenti ricordati sono stati per la infiltrazione di considerazioni politiche che non hanno tardato a prevalere, anzitutto allontanati dalle loro funzioni vitali e tratti ad agire fuori della realtà della vita economica. Mentre i sindacati lungi dal servire di difesa degli interessi economici dei lavoratori e nel contempo di agire pel loro miglioramento tecnico e culturale, li trasformavano in inconsci sabotatori della produzione, dando luogo a un fenomeno di ritorsione in virtù del quale la posizione degli interessati veniva notevolmente peggiorata, certo più di quanto avrebbe potuto essere in seguito alle vicende della crisi generale, il movimento cooperativo, per mezzo di una supervalutazione del suo significato sociale rispetto a quello economico, cessava di esser ritenuto quale spontanea manifestazione delle forze economiche di gruppi scelti, diveniva all'opposto strumento per la loro formazione, per l'educazione politica della collettività, diveniva infine, nel pensiero dei suoi dirigenti, arma per la lotta di classe. In tal modo perduti di vista i limiti e le necessità proprie della vita aziendale degli organismi costitutivi vedeva le aziende stesse portate al fallimento dopo averle fatte a lungo vivere quali parassiti dei pubblici bilanci, rendeva quindi nulla la loro opera di riassestamento del mercato interno, opera che ad esse avrebbe potuto essere in parte efficacemente affidata.

    Sindacati e cooperative inoltre posti in balia degli avvenimenti politici sono stati messi in condizioni di subirne le peggiori vicende tumultuose. Non appena un partito con un programma che ai fini delle nostre indagini è superfluo analizzare, ha raggiunto il potere ed ha mostrato di volervisi affermare con ogni mezzo, le cooperative hanno visto cessare ogni possibilità di aiuto da parte del governo divenuto strumento di una determinata corrente politica ed esse affidate esclusivamente alle proprie forze, che per quanto più sopra dicemmo erano e sono insufficienti a prospera vita per l'errato indirizzo loro impresso, sono minacciate di estrema rovina; i sindacati si vedono disertati dagli organizzati corsi a rinforzare le file delle organizzazioni concorrenti dalle quali sperano più energica difesa perché le scorgono poste sotto il patronato del partito vincitore.

    E' vano forse supporre a) che gli sconfitti pieghino la testa senza un tentativo di opposizione alla sorte avversa, ch'essi però sono colpevoli di non aver saputo evitare mantenendosi estranei al gioco delle influenze politiche; b) che i vincitori sappiano far tesoro degli avvenimenti per evitare di dover seguire i primi nell'insuccesso. Ad ogni modo si può constatare come tanto nel campo sindacale quanto in quello cooperativo si vadano svolgendo due azioni analoghe dirette a salvare nei limiti del possibile i vecchi organismi riportandoli alle loro tipiche tradizionali funzioni, sacrificando gran parte della bardatura ideologica postbellica: sia nell'uno come nell'altro infatti si parla oggi attivamente dell'utilità di un movimento unitario. Nel primo tenderebbe anzitutto ad un raggruppamento dei sindacati ideologicamente legati al fascismo per non far venir meno il loro aiuto alle masse lavoratrici proprio quando il mercato di lavoro presenta le maggiori difficoltà; dovrebbe servire di poi per un tentativo di unificazione di tutti i sindacati italiani. Il punto di contatto fra organizzazioni affini sta nel riconoscimento del principio nazionale ammesso come limite imprescindibile e come presupposto necessario dell'attività e del pensiero di ogni cittadino e di ogni lavoratore, nella ricerca infine di un adattamento fra gli scopi di rigenerazione sociale che si vogliono perseguiti dalle organizzazioni proletarie e la realtà presente, nell'abbandono quindi di buona parte delle rivendicazioni estreme per limitarsi a quelle che non possano dar occasione a' sorgere di irreducibili attriti nell'ordinamento capitalistico della produzione che, accusato di incapacità a risolvere le incognite della situazione attuale, ha mostrato di essere dotato di una forza notevole che non potrebbe essere improvvisamente schiacciata senza che il danno ricadesse specialmente sugli autori diretti della sua rovina.

    Nel secondo il movimento unitario parte dalle seguenti premesse: constatato in forza della recente esperienza come le singole aziende cooperative debbano rispondere a rigorosi concetti economici, come la loro vita si debba svolgere su basi reali com'esse debbano anzitutto trovare in sé stesse forza sufficiente per affermarsi al valore reale dell'azienda, non agli intenti programmatici del consiglio o dei soci, poiché un ostinamento parassitario le avvia fatalmente al fallimento, si vorrebbe esercitare una selezione fra le aziende esistenti allo scopo di eliminare le incapaci di florida vita, di fondere le più modeste onde sostituirle con organismi di media potenza che dotati di sufficiente capacità possano contare su di un razionale giro d'affari, rinunciando ad una dannosa concorrenza che è tale poiché trae origine soltanto da rivalità di natura politica.





    Il programma in ambedue i casi è assai lusinghiero ma come tutti i programmi nascenti, almeno in apparenza, per ragioni opportunistiche e non dalla profonda e sincera convinzione di coloro che dovrebbero attuarli, è destinato probabilmente a non uscire dai limiti di una pura aspirazione dei suoi autori. Già si è venuta delineando nel campo fascista una energica opposizione all'idea di unificazione specialmente sostenuta dal Rigola, opposizione che non è neppure vinta dal fatto che detto programma si sia voluto avallare col nome di D'Annunzio. Ed è chiaro così debba essere. Quali ragioni infatti potrebbero spingere le Corporazioni Sindacali ad aderire al movimento unitario se le Corporazioni stesse, ripetendo l’errore della C. G. L. sono strettamente dipendenti dal Partito Fascista, del quale formano la miglior parte delle forze attive, e quindi spinte a far prevalere nell'azione pratica politiche considerazioni rispondenti all'interesse del partito stesso come tale?

    I fascisti vedrebbero una logica soluzione del problema nel passaggio in massa degli organizzati federali alle Corporazioni, posto che gli ultimi siano disposti ad accettare il principio nazionale, riconosciuto dal Rigola e che già forma uno dei capisaldi del programma proprio delle Corporazioni. Essi necessariamente ritengono che la pregiudiziale nazionale degli unitari sia solo dettata da opportunismo od allo scopo di evitare l’ostacolo creato dalle disposizioni sulla registrazione dei sindacati, registrazione negata a quelli di essi che non dichiarino di voler agire riconoscendo quale sfera della loro azione economica e sociale la Nazione.

    Altrettanto si può dire pel movimento cooperativo anche pel quale nasce spontaneo nei vincitori il dubbio che l'unità debba servire a salvare dallo sfacelo aziende pericolanti in modo da conservare un nucleo d'azione sul quale ricostruire più tardi, a bufera passata, la complessa organizzazione cooperativa a base politica socialista.

    Abbiamo esposta la questione nelle grandi sue linee quale è vista dagli estremi interessati, ma va considerata particolarmente l'esistenza di un altro importante elemento dato dai sindacati e dalle cooperative facenti capo al Partito Popolare. Durante i recenti avvenimenti politici il P. P. è rimasto spettatore neutrale ma solo sino ad un certo punto poiché la neutralità non gli ha impedito di prendere posto al governo di fianco ai fascisti. Ad ogni modo va considerata che: a) il passaggio degli organizzati bianchi alle Corporazioni è quasi nullo; b) che le cooperative bianche si sono quasi per tutto salvate dal movimento di violenta distruzione che ha colpito le rosse. In tali condizioni è da domandarsi quale convenienza esista pei popolari di abdicare alle posizioni raggiunte, che almeno apparentemente sono saldissime, e di inquadrare i propri organismi nel movimento unitario tanto più che questo pur presentando la possibilità di ricondurre sindacalismo e cooperazione in una sfera d'azione sanamente economica non potrebbe affatto sviluppare quell'azione sociale propria delle organizzazioni bianche che si distinguono dalle altre pel loro carattere a fondo confessionale.

    L'unità sindacale e la cooperativa si attuano spontaneamente quando i due movimenti siano scevri da influenze politiche ed abbiano abbandonato il pesante fardello delle ideologie palingenetiche. Queste variando pel fine e pel metodo da partito a partito portano i diversi organismi concorrenti su strade spesso divergenti creando reciproci ostacoli per un'azione che in ultima analisi dovrebbe esercitarsi in un senso solo. Mentre perdurano e si agitano tante passioni è naturale che ogni tentativo di unificazione, anche se fatto in buona fede, sia destinato ad essere infirmato dal dubbio degli avversari, dal sospetto di occulte manovre, di tacite intese. Parlare oggi di unificazione sindacale significa aver la pretesa di iniziare una nobile costruzione senza disporre del necessario materiale. Questo si va formando ma molto lentamente, come si va nelle masse diffondendo una retta conoscenza dei fenomeni economici che tanto le interessano. Si può quindi prevedere che l'esperimento iniziato nel 1919 dovrà giungere alle sue estreme conseguenze; se per la chiarificazione del problema forse è bene ciò sia, pure è doloroso dover constatare come gli operai saranno chiamati a duramente scontare l'errore della sua impostazione poiché la loro forza verrà meno quando più sarebbe necessaria.





    Quanto abbiamo detto sin qui spiega le ragioni per le quali ci sembra giustificato un certo scetticismo sulle sorti dei tentativi fatti per raggiungere l'unità di azione sindacale e nel campo della cooperazione di consumo in special modo. Aggiungeremo però che se in ambedue i campi vano sarebbe attendere rapidi progressi dell'idea unitaria in quanto questa presuppone una rigorosa disciplina economica mentre i residui della passata predicazione catastrofica su la precarietà dell'ordinamento sociale presente e sulla possibilità di rovesciarlo per virtù di movimenti rivoluzionari permeano ancora profondamente l'animo dei nostri lavoratori, dobbiamo riconoscere come nel secondo più che nel primo vi sia la possibilità di compiere azione proficua. Altre volte abbiamo detto come l'esistenza di aziende cooperative risponda a fondate ragioni che invano si vorrebbero negare col pretesto specioso ch'esse fanno parte di un complesso di organismi sorti artificiosamente a scopi elettorali e partigiani. E' evidente allora che tali aziende debbano essere salvate da rovina se di rovina sono minacciate per le vicende della lotta politica. La loro caduta avrebbe senza dubbio una dannosa influenza presso larghe schiere di lavoratori anche e sopra tutto nei riguardi dell'idea dell'utilità del risparmio, idea che è nostra convinzione la cooperazione sia capace di creare o meglio di sviluppare. Chi sappia quanta importanza assuma la diffusone di idea siffatta nelle nostre attuali condizioni economiche non può non deprecarne l'improvviso oscuramento.

    Ciò non significa sia in noi il desiderio di vedere continuato anche in misura ridotta l'aiuto dello Stato alle aziende cooperative. Esso deve assolutamente cessare poiché costituisce un privilegio creatore di forze apparenti e minate da malanni d'ogni sorta primo fra tutti l'inerzia.

    E' necessario al contrario che la cooperazione si salvi in virtù delle sue proprie forze spontanee e nei limiti dei suoi meriti intrinseci. A tal fine potrebbe la cessazione di un antagonismo nascente da ragioni di rivalità politica rivelarsi utile iniziativa qualora potesse, ripetiamo, aiutare la liquidazione di tante aziende pericolanti, la revisione di altre passive, la fusione delle minori numerosissime esistenti spesso in minuscole località.

    Si tratta di una azione di indole puramente tecnica che si esaurisce nell'ambito di ogni singola azienda che non ha quindi rapporti con categorie o gruppi organizzati estranei, rapporti tali da far nascere divergenze che possano essere influenzate da particolari scopi di natura extraeconomica.

    E' bene però ricordare che risultati pratici potranno essere raggiunti solo quando si sappiano senza esitazione sacrificare gli uomini in pro delle istituzioni se il nome di quelli dovesse dar appiglio al rincrudire delle lotte partigiane.

    La condizione, per quanto più sopra dicemmo, appare senza dubbio grave e l'immediato avvenire dirà se le cagioni di degenerazione della cooperazione italiana ne abbiano o meno disgraziatamente raggiunte ed intaccate le radici.

RICCARDO BAUER



PREMESSE

    Caro Bauer,

    La tua diagnosi della presente situazione sindacale è acuta e persino, vorrei dire, inconfutabile. Ma rinuncia al futuro. Non tiene conto di ciò che non si vede.

    Le tue critiche al movimento socialista presentano tutta la validità di una liquidazione dei vinti. Ma mi dici quali esigenze li portavano a combattere? Nel vinto devesi pur riconoscere la dignità del combattente, e la consacrazione che nasce dallo stesso offrirsi alla morte.

    Anch'io credo all'unità sindacale, in quanto penso al movimento operaio come a un esercito schierato per la battaglia. L'unità, quale io la penso, non nasce da accordi amministrativi o da un ordinamento burocratico, ma è l'unità aderente alla situazione, è un problema di tattica, di collegamento naturale tra le avanguardie e il grosso dell'esercito. Non sono messianico. Ma nel tuo liberismo c'è troppa economia e poca politica. Io non vedo l'individualismo e il liberismo fuori dalla valorizzazione delle iniziative e dal trionfo delle forze attraverso alla lotta politica.

    La vita economica è il presupposto e il materiale che riceve una forma dalla vita politica. Appunto perché l'una è autonoma rispetto all'altra un governo di tecnici, il riconoscimento pubblico dei sindacati ecc., rappresenterebbero le peggiori forme di reazionarismo e di illuminismo teocratico. Dopo tutto l'ideale è sempre il governo degli incompetenti (gli avvocati).

    Per me dunque lo stato deve rimanere estraneo in un modo ancor più assoluto al movimento sindacale: né si possono proporre ingenue pregiudiziali ideologiche, come il limite nazionale o la conoscenza dei fenomeni economici, perché la lotta si svolge sempre nei limiti della nazione anche quando la si nega, e la conoscenza dei fenomeni economici non manca mai alle masse, specialmente quando non hanno letto (come per fortuna non leggono) scritti di economia, essendo conoscenza di natura pratica e istintiva.

    Il più bell'esempio di unità sindacale spontanea si ebbe a Torino negli anni 1919-1920, quando tutta la massa seguiva le avanguardie comuniste, pur senza aderirvi formalmente, e il fronte unico era agli avamposti. Le iniziative non devono coincidere con la massima personalità e responsabilità nel superamento degli ostacoli?

    Ma ora, mio caro Bauer, tu potresti giustamente richiamarmi dalla storia alla cronaca, poiché di questa si discute. E se tu accettassi le premesse che io ho posto qui con la più indecorosa fretta, non avrei altro da aggiungere alla tue considerazioni. Per me il punto è sempre lo stesso: la lotta di classe. Come puoi parlare di movimento operaio senza partire di qui! La fine della lotta di classe ha sempre significato l'aprirsi di un periodo di decadenza, il fiorire del mecenatismo e la rinuncia all'eroico. Io sono troppo pessimista per avere qualche simpatia nella palingenesi del riformismo, e nei quieti idilli cortigiani dei governi di Lorenzo il Magnifico e di Caterina II. Non so dimenticare che a Lorenzo segue Carlo VIII, a Caterina Napoleone, ossia che alla pace e alla felicità della rinuncia tiene dietro la dominazione straniera.

    Si parli oggi dunque dell'unità sindacale tenendo conto delle naturali condizioni collaborazionistiche ormai imprescindibili. Ma vedendo il tramonto lasciateci lavorare per le luci dell'alba, anche se nulla ci dovesse riuscire oltre le consolazioni di un tardivo crepuscolo.

P. G.