POSTILLE.

Misticismi pericolosi.

    Caro Gobetti

    non creda che intenda di mantenere aperta la discussione su quello che significa o non significa il fenomeno fascista. Oramai gli elementi concreti sono stati presentati quasi tutti, e dalle ultime lettere mi pare, che siamo giunti alle solite generalità., che sono come le salse della cucina francese. Ma anche tra queste generalità mi è parso di vedere aleggiare uno spirito che è troppo comune oggi nell'opinione pubblica e, secondo me, troppo pericoloso, perché non senta il bisogno di scriverle due parole alla buona, lasciando lei completamente libero di pubblicare o di non pubblicare.

    Lei non poteva definire meglio che "storicismo di un mistico" l'adesione del Prezzolini al fascismo – adesione sia pure riservata, molle, quale si addice alla mentalità poco volitiva del mistico. Ma il grave è che questo non è un caso particolare, ma un fenomeno generale in un largo strato di nostri intellettuali – quelli che dovrebbero guidare, si dice. E' un fenomeno, le cui origini – ed è cosa da meditare – le ritroviamo quasi contemporanee a quelle della guerra; nella filosofia a base d'intuizione e di atti puri, che, essendo, malgrado le apparenze, una filosofia eminentemente disgregatrice ed anarchica, va a finire, per naturale conseguenza, all'ossequio o al culto del fatto compiuto, che nella pratica del gran pubblico – che dovrebb'essere educato al senso civico dagli intellettuali – si risolve nella filosofia spicciola del dottor Pangloss.

    Dice un altro mistico dello stesso genere, il Soffici (nel n. del 28 dicembre):

    "L'idea politica emerge dal fatto: il quale è un prodotto - lo concedo - d'idee, ma non di una sola idea. D'idee commiste a sentimenti, a interessi, ecc.

    Ora il Fascismo è uno di questi fatti grandiosi e spontanei. L'idea che lei vi cerca senza trovarla è implicita in esso, nel suo successo".

    Questo vale oggi per Mussolini, come poteva valere ieri per Bombacci, come deve valere per Lenin, come potrà valere domani per...?





    Ai suoi tempi, il principe di Metternich, che era un uomo intinto di filosofia, pregiava molto i filosofi di queste tendenze, et pour cause. Simili tendenze, del resto, sono comuni e caratteristiche delle epoche di collasso e di reazione. Appunto, giorni fa ho finito di leggere un libro del Lanzillo, Le rivoluzioni del dopoguerra, libro non privo di interesse. Questo libro, che è poi una raccolta di articoli scritti nel turbinoso periodo del dopo guerra, è preceduto da una prefazione, in cui il Lanzillo cerca di trarre le linee generali dei fenomeni, che sono esaminati nel libro. A un certo punto egli dice, a modo di conclusione: "Tutta la vita sociale precedente è priva di dialettica. O meglio, v'è la dissoluzione dei grandi principi dialettici che una volta dominavano... Nelle grandi linee può dirsi che in tutta Europa si attraversa una fase di reazione. Il movimento operaio, e precisamente la grandiosa tendenza, che pareva spingere i popoli verso il sindacalismo, è arrestata; dominatrici sono ristrette classi plutocratiche e governano il mondo con il più cinico disprezzo delle altre classi. Le sanzioni della forza hanno le sanzioni più estreme"

    Il Lanzillo, come si vede, dimostra una larga comprensione degli avvenimenti; ma anche lui, quando poi ci ripensa sopra, finisce per rientrare nello spirito comune del tempo, e per dire, in sostanza: – Non c'è che fare, lasciamo fare al destino! Ecco:

    "Questa reazione è necessaria al riassetto economico del mondo. Per quanto grave debba essere il giudizio morale che si voglia dare del contegno della banda di plutocrati internazionali che dominano il mondo contemporaneo... è certo che solo una reazione brutale e spesso inumana può restituire l'equilibrio al mondo attuale. La necessità del male si rivela oggidì in tutta la sua potenza".

    Il male – la reazione brutale, disordinata ecc. – è visto non solo come un fenomeno integrante della vita sociale in un dato momento storico, ma come una forza poco meno che integrale, strapotente, alla quale non resta che inchinarsi, lasciarla fare, perché poi, chi sa quando e chi sa come, da quel medesimo evolvere del male spunterà fuori il bene, il futuro riassetto della società. Il male lo si mette sugli altari, come una specie di Moloch, lo si adora e gli si chiede la grazia, quando sarà comodo, di sorridere un poco alla misera umanità, che pende dalle sue labbra e imputridisce nella propria miseria.

    Queste idee sono moto vicine alle teorie russe della " non resistenza al male", che ebbero voga anche lì in un periodo di reazione e che andarono a finire nella predicazione e nella propaganda – Dio sa quanta efficace! – di Rasputin. Il riconoscimento del male intanto è efficace e necessario, in quanto è attivo, anzi un pungolo all'attività, in quanto provoca la reazione, la resistenza, la lotta contro di esso, e in quanto, per effetto di questa immediata reazione, e solo per essa, fa sprigionare nuove scintille di bene. L'acquiescenza al fatto compiuto, l'aspettare che l'avvenimento si compia, per dire: Prosit e sedersi è prima di tutto una ingenuità filosofica – perché quel fatto, per affermarci, ha dovuto negare un fatto precedente, e quindi dovrà essere fatalmente negato a sua volta da un altro fatto che gli sorge di contro un minuto dopo che esso si è affermato –, e poi, e soprattutto, è un consiglio che tende ad addormentare ed a snervare l'anima di un popolo. Non è consiglio da terra di liberi, ma da terra di morti.

    Mi creda, caro Gobetti, suo

    Aff.mo

MARIO VINCIGUERRA.

Voce del tempo.

    E' successa una rivoluzione nel campo dell'estetica. S'è scoperto che l'artista, per essere tale, deve tuffarsi completamente nella vita del suo tempo, per ritrarne tutte le vibrazioni; ogni vera opera d'arte sorge dal suo tempo e ne risolve i problemi vivi. Questi postulati creano un nuovo "metodo, più intuitivo, se non più solido e profondo, di quello del De Sanctis e del Croce; il quale è senz'altro rivoluzionario e tende a capovolgere molti degli apprezzamenti fin qui ripetuti con molto ossequio. La critica cosi operata riuscirebbe nel suo intento, cioè darebbe posto a ogni artista progressivamente nel tempo e farebbe conoscere la continuità dell'arte come soluzione del presente in atto". Cosi si esprime, commentando l'ultimo libro di Tilgher, F. Paolo Giordani. On trouve toujours un plus malin que soi.

    In vece di fare una critica di questa nuova teoria – scomodando magari in luogo del filosofo Croce, Flaubert artista – sarebbe interessante indagarne la ragion d'essere, e cioè la legittimità. Tilgher ha scritto pagine memorabili tra il 1919 e il 20: quella fu l'ora sua. Ha vissuto ardentemente l'irrequietezza di quei giorni in cui parevano maturare tutte le cose possibili e impossibili, sperate e insperate, sognate e aborrite; con quell'alta febbre ci si sentiva bene. Sembrava allora che le più diverse tendenze si potessero paragonare e confluissero. Lenin e Einstein sedevano in poltrona alle premières di Pirandello; perché con l'alba prossima sarebbero stati triumviri a capo di un ordine nuovo.





    Non mai come quando si è immersi nel caos punge il bisogno di creare un sistema. Sembra che la materia abbondi e aspetti soltanto d'esser organata; perché tutto è confuso e commisto, par che tutto si colleghi e si sintetizzi, e 1'aspetto informe sembra significare che molte forme e distinzioni sono abolite, che ci sono da scoprire tanti insospettati rapporti. Sotto l'aculeo del bisogno la spirito non è più libero; perciò non crede nelle sue libere attività; e immagina di acquistar forza se tutte sono unite e insieme tendono a uno scopo. Lo scopo e quella medesima materia calda e mutevole, che l'imprigiona e non gli lascia respiro. E' il tempo.

    E' logico, anzi necessario, conchiudere che son ombre quelli che credono a una loro vita non soggiogata da quest'incubo, e le loro parole son vuote; vivi non possono far a meno d'esprimere il tormento che li rode. Quando si dice che l'arte ha da esser temporale, si assume come criterio quello stesso bisogno intransigente che ci sta in cuore; un imbroglio psichico, elevandolo a norma, è dipanato e si ritorna in pace. E, se le cose son fatte a dovere, arricchendo il mondo di un'espressione compiuta, si è contribuito non alla scienza, ma all'arte.

U. M. di L.

Un consiglio inascoltato.

    "Passato il primo periodo di polemica, i sindacati fascisti dovranno agire sul terreno della lotta di classe, come è legge ineluttabile di vita di qualsiasi sindacato operaio. Ed allora la concezione antisindacale dell'attuale programma fascista dovrà cedere il campo ad una concezione che rispetti nel movimento operaio non un fatto transitorio ed insignificante, ma una realtà indistruttibile della vita nazionale. La quale realtà va accettata per quella che è, e non va negata con la pretesa antistorica di volerla assorbita in una concezione astratta e teorica di Nazione".

AGOSTINO LANZILLO.
(Da Le rivoluzioni del dopoguerra).