LA DEMOCRAZIA TEDESCA

nel pensiero di Max Weber

    Di Max Weber abbiamo, in italiano, lo scritto "Parlamento e Governo nella nuova Germania" tradotto da Enrico Ruta nei primi mesi del '19. Certo, a quest'epoca, era pressoché impossibile procurarsi una larga raccolta di scritti politici del Weber, dispersi per i quotidiani o in vecchie pubblicazioni accademiche: mentre adesso invece gli eredi curano le edizioni complete. Gran merito dunque è stato quello del Ruta. Ma precisamente lo scritto tradotto era scritto d'occasione più di tanti altri: e parte di esso, per esempio quella che concerne la nuova costituzione federale del Reich quale la si poteva discutere e progettare nei primi mesi del '18 è sorpassata. Nel "Parlamento e Governo" il Weber poi si impiglia spesso, per necessità, in discussioni di diritto costituzionale tedesco, che hanno un interesse limitato, e che sono per lui le ultime deduzioni di tutta una elaborazione niente affatto giuridica: perché il Weber non fu un giurista, mai. E' da rimpiangere che il Ruta non ci abbia dato anche la traduzione dell'altro scritto "Diritto elettorale e Democrazia in Germania", ch'egli conosceva fin dal '19, e che a mio avviso rende quella elaborazione assai più efficacemente che non faccia lo scritto tradotto. Ma speriamo che il Ruta vorrà ancora prendere a cuore il Weber, e presentarne almeno "L'Etica protestante e lo spirito del Capitalismo" al pubblico, non diciamo italiano che è troppa grazia, ma "laterziano". Queste note informative, se possono avere un significato, hanno appunto e semplicemente questo: di invitare chi può - e il Ruta lo può meglio di ogni altro - a studiare e diffondere un autore in cui io ho trovato una guida incomparabile per raccappezzarmi, non solo nei fenomeni politici e sociali tedeschi, ma in quelli italiani.

    Alcuni cenni bibliografici sono aggiunti in ultimo.

Le deficienze degli Junker

    Nella prolusione accademica tenuta a Friburgo nel 1895, Weber era comparso come il più forte teorico della Machtpolitik bismarckiana rispetto alle nazionalità allogene incluse nell’Impero: e specialmente rispetto ai Polacchi della Catmarle. I fatti, da lui studiati sul terreno, gli avevano fatto voltare decisamente le spalle al volgar marxismo, che non riusciva a spiegare questo fenomeno, uniforme per tutta la provincia di Posen. Due razze - tedesca e polacca - sono in presenza: da gran tempo tutt'e due nelle identiche condizioni di vita. La conseguenza non è affatto, come il volgarmarxismo si immagina, che tutt'e due abbiano acquistato uguali capacità di adattamento: ogni crisi dell'agricoltura della Ostmark portava a bene per i polacchi: ogni sostituzione della produzione cerealicola con la produzione di barbabietole era parallela con la cacciata di una famiglia tedesca da parte di una famiglia polacca. Di fronte alla sconfitta della nazionalità tedesca, lo colpì la assoluta incapacità degli Junker della Ostmark nel difendere i propri possedimenti e i propri connazionali. Le proprietà fondiarie della Ostmark erano i punti di appoggio della classe dominante di Prussia, i punti di collegamento sociale della alta burocrazia prussiana: la tragedia della nuova Germania consisteva appunto qui, che dopo il governo trionfale dell'ultimo Junker - Bismarck - tutto lo sviluppo agrario della Ostmark rivelava la incapacità dello Junkerismo a fare una politica di forza, una Machtpolitik, degna della tradizione bismarckiana. Alla pietra di paragone della lotta contro i polacchi, il volgarmarxismo e lo junkerismo erano battuti contemporaneamente.





    Da questa analisi di un problema concreto, in cui lo Junkerismo aveva fatto fallimento, Max Weber passò ben presto ad una posizione di critica verso il prussianesimo tradizionale. Certo, lo spirito fridericiano appartiene alle più belle fioriture del germanismo. Ogni riga di Scharnhorst, di Gheisenau, di Boyen, di Moltke ce lo fa respirare: c'è uno stile di vita e di comando: quello stesso stile che ci si rivela d'un colpo a Berlino, quando voltate felicemente le spalle ai baracconi guglielmini del Duomo e del monumento a Guglielmo primo, ci troviamo sul Campo di Maggio dello Junkerismo prussiano, fra il palazzo del Kromprinz e la Hauptwache, fra le statue dei generali che Shandouw e Rauch modellarono senza fumi teutonici, e il monumento equestre di Federico; e ci viene in mente quello che abbiamo letto in Treitschke, quanta passione, quanto orgoglio mettessero le famiglie di Junker della Marca per avere - almeno! - un antenato scolpito nel bassorilievo del monumento, come "fedele servo del loro signore": si certo, tutto questo ha sapore di razza, sa di legnate applicate dai prevosti sulla schiena alle reclute, ma sa anche di ordini terribili eseguiti fino alla morte: gli ultimi occidentali "a cavallo dietro lo sculdascio, giunti son qui; con la selvaggia fara". Ma il Reich è enorme e ricco, pieno di alti forni e di fabbriche di prodotti chimici, pieno di case a fette, con tutti i balconi sul prospetto e nude sui fianchi che aspettano l'altro numero della serie edilizia: come fa, come può cavarsela la "selvaggia fara" delle Marche prussiane a reggere un impero cosi nuovo, cosi impreveduto? Come fa a trasformarsi in una aristocrazia di significato e di tratto, non più provinciale, ma mondiale?

    Non può. Dopo la caduta di Bismarck, fu ben chiaro che lo Junkerismo non era una aristocrazia di sufficiente larghezza intellettuale e di tradizione politica adeguata. Lo Junkerismo non dava neppure ai settanta milioni di tedeschi un esemplare di forme sociali eleganti. I figli degli Junker che volevano dedicarsi all'amministrazione, portavano negli alti strato della società il tipo dello studente di "Corpo". Ora la cosiddetta "libertà accademica" tedesca, tanto vantata da professori italiani che hanno studiato in Germania con tutta la sua tecnica della "Mentur", con il Trinkswang, o obbligo di bere in comune a tempo obbligato, con il concetto della "capacità a dare soddisfazione", costituisce una propedeutica da sottufficiali, e crea un complesso di convenzioni sociali degne delle furerie, non dei salotti: chi passa per quella trafila - e tutti gli alti funzionari dell'Impero vi sono passati, sono stati Korpstudenten, e ora sono Alten Herren, vecchi signori, e continuano a bere ogni tanto la loro birra a comando - chi passa per quella trafila ha la correttezza del furiere che porge le carte al capitano per la firma del croupier che cambia un biglietto da mille al giocatore - del funzionario prussiano dinanzi al suo superiore: non avrà mai la cortesia dell'uomo da salotto. Le forme sociali di correttezza del funzionarismo prussiano sono la caricatura dello spirito fridericiano. Un grande e ricco popolo come il tedesco non può accettare come esemplari di forme sociali eleganti le belle maniere delle furerie. Eppure, un gran popolo ha bisogno di una aristocrazia che gli insegni precisamente le belle maniere: il "bon ton"; e se non l'ha, peggio per lui, resterà un popolo di plebei, avrà una ricca borghesia e una piccola borghesia di plebei, non saprà mai comportarsi come una nazione di signori.

    Questo era precisamente il caso della Germania dell'epoca guglielmina. Accanto alle convenzioni cafonesche dello Junkerismo, plebe. Lo Junkerismo di fronte all'Impero ormai avviato alla grande produzione faceva un doppio fallimento: come semenzaio di governanti era sterile non meno che come semenzaio di viveurs. Bisognava cercare la classe politica da un'altra parte e bisognava rinunciare ai partiti politici che sorreggevano ancora coi vecchi nomi ceti impari alla forza e alla grandezza della Germania.





    In conseguenza di questo duplice fallimento dello Junkerismo, da lui chiaramente veduto fin dal 1895; Max Weber aderisce alla democrazia. Precisamente perché Machtpolitiker, precisamente vuole che i tedeschi siano un popolo di signori, un Herrenvolk, perché vuole un energica snazionalizzazione dei polacchi della Ostmarck, Max Weber diventa democratico. La stato di autorità del regime guglielmino, quello che i pubblicisti tedeschi chiamano Obrigkeits-Staat, di struttura burocratica e junkeriana, celebrato dai letterati come urdentsch, e echtpreussich, come la quintessenza del germanesimo e del prussianesimo, si dimostra incapace, non solo alla Machtpolitik, ma a qualunque politica. C'è un contrasto deleterio fra il pecorismo che l'Obrigkeits-staat tira su nell'interno del paese, e la Will zur Macht, la volontà di comandare nel mondo "Una nazione che produce solo buoni funzionari, capacissimi uomini di affari, diligenti scienziati e... fedeli servi del loro signore, e che del resto lascia amministrare, senza controllo, una sia pure eccellente burocrazia, quella nazione non sarà mai un popolo di dominatori: e farebbe meglio di badare ai propri affari quotidiani invece di avere la vanità di affaccendarsi per le sorti del mondo".

II Commentatore di Wilson.

    Qui si possano fare due osservazioni.

    La democrazia di Max Weber si presenta come qualche cosa di ben differente di quella dei Socialmaggioritari di ieri e di oggi, della Vossiscke Zeitung e del Berliner Tageblatt, del pacifista von Gerlach, del Salon Cassirer ecc.: difatti oggi tutta questa gente non se la fa troppo bene con gli scritti di Weber. La democrazia di Weber vuole la lotta politica nell'interno dello Stato e la Weltpolitik fuori è guerriera. L'unico vero commentario alla azione guerriera di Wilson, sono gli scritti di Weber. L'unico uomo, in Europa, che ha dato il suo giusto valore al Wilsonismo è Weber. Weber è un wilsoniano che parla chiaro, che ha abolito tutto il formulario puritano, che ha coscienza della bellicosità della democrazia, che la proclama. Fu certo una grande sventura per la Germania l'eliminazione dal Cancellierato di Max di Baden. Dietro Max di Baden stava Max Weber, suo consigliere nei giorni fugaci delle botte e risposte scambiate con Wilson. Forse Max Weber era l'unico uomo che potesse mostrare ai tedeschi come si fa ad essere dei bei vinti. Lo spettacolo di brontolamento sornione, di suppliche ricostruttrici, di ragionamenti solidaristici che sta dando la Germania ufficiale dall'armistizio in poi, dimostra quanto avesse ragione Weber: questo non è un Herrenvolk, un popolo di dominatori. Qui, oggi, si fa sentire tutta l'insufficienza dello Obrigkeits-staat guglielmino: sono i relitti dello junkerismo e del funzionarismo che vanno in giro per le Conferenze europee a pietire - e non pagano. Questa è la democrazia tedesca secondo il cuore dei propagandisti dell'Intesa: ce la siamo meritata cosi: brutta, piagnucolosa e malapagatrice. Molto probabilmente, del resto, le democrazie continentali, nella ipotesi della loro sconfitta, si sarebbero mostrate ugualmente brutte, piagnucolose e malpagatrici Lo dimostra il fatto che ancora oggi non vogliono capacitarsi della assoluta attualità di questo giudizio dato da Weber nel 1919:

    "Noi abbiamo resa compiuta, la dominazione anglosassone sul mondo. La Signoria mondiale dell'America era cosi inesorabilmente inevitabile, come la vittoria di Roma su Cartagine".

L'apologia dell'americanismo.

    Però, questo riconoscimento spontaneo e quasi orgoglioso del predominio anglosassone ha le sue radici in altri studi del Weber, e in altri suoi pensamenti.

    Due uomini della Germania contemporanea hanno avuto una singolare avventura.

    Uno - vivente - è il conte Ermanno Keyserling. Keyserling, di professione filosofo, di condizione proprietario fondiario in Lettonia, si pose un giorno questa domanda: "Come posso progredire, verso la perfezione (Vollendung)? Come posso acquietare questa mia nostalgia verso la realizzazione di me stesso (Selbstverwklichung)?". Per poter rispondervi adeguatamente, Keyserling lasciò il suo castello di Rayküll, e fece il giro del mondo: mezzo sussidiario di indagine filosofica consentito solo ai milionari.





    Questo viaggio filosofico attorno al mondo in cerca della perfezione, finisce con l'apoteosi della democrazia americana. Keyserling trova che lo sforzo razionale verso il progresso materiale entro il sistema della coltura occidentale, ha questo effetto: molti individui, sempre di più per ogni generazione, sono posti nelle condizioni spirituali privilegiate di un bramino. La barbaria americana è solo transitoria: la concezione di Calvino, condotta alle sue estreme conseguenze, è una propedeutica alla perfezione umana assai più efficace dell'Induismo, del Buddismo, del Confucianesimo. Keyserling si reimbarca a NewYork per la Germania, e a Rayküll si mette a scrivere, nel '14, il suo seducentissimo "Reisetagebuch eines Philosophen", che pubblicò a guerra finita, e che, nel '21, giunse, fortunatissimo, alla quinta edizione: e camminerà ancora.

    Vediamo ora l'altra avventura, toccata all'altro uomo della Germania contemporanea.

    Questi è appunto Max Weber. Egli non si era mai occupato della "Vollendung", della perfezione e delle vie per immergervisi: bensì si era occupato della storia agraria romana, delle condizioni dei lavoratori della terra nella Germania al di là dell'Elba, del contratto a termine, della questione del fidecommesso in Prussia. Filosofo non era: nella sua esistenza filosofica non c'era né una fede profetica da annunciare alle genti, né un sistema da offrire all'umanità. Weber dichiarava espressamente di occuparsi di "altri" problemi, diversi da quelli filosofici: di non conoscere l'ultimo significato della vita, e di non preoccuparsene. Era dunque molto lontano da Hermann Keyserling.

    E le domande ch'egli si poneva, erano molto lontane dal genere keyserlinghiano. Perché esiste il capitalismo in Occidente? E perché solo in Occidente?

    I saggi "L'etica protestante e lo spirito del Capitalismo", "Le sette protestanti e lo spirito del Capitalismo" non sono, come pur fu affermato, dei tentativi di risposta, all'infuori di ogni esame delle condizioni economiche dell'Occidente. Max Weber volle soltanto - egli stesso lo dice - dimostrare che il razionalismo economico dipende anche dalla capacità e dalla disposizione degli uomini a una determinata metodica di vita economica razionale. Dove esistono ostacoli di natura psicologica, anche lo sviluppo di una metodica di vita economico-razionale è paralizzato. Fin dal 1905, Weber credette di poter indicare nella dottrina calvinistica della predestinazione, sviluppata poi dalle sette inglesi, la grande propedeutica alla nazionalizzazione della produzione e la scoperta copernicana del mondo morale, per cui il credente aveva bisogno del successo materiale in questo mondo per poter credere alla sua salvazione nell'altro: quindi era superata l'antinomia ricchezza-salute eterna, era alzato il disco che impediva al cristiano di correre, perfetto e sicuro come una locomotiva, verso l'accumulazione capitalistica. Non mi trattengo a far citazioni, a riassumere le polemiche specie col Troeltech e col Sombart, insomma a riassumere: importante è il risultato raggiunto dal democratico Weber, il quale, nel '17, respinto dagli avvenimenti nel suo studio di Heidelberg, riprese la vecchia domanda e intraprese anch'egli un viaggio. Mentre il Keyserling stendeva il suo diario, Max Weber lavorava agli altri suoi saggi sulla etica economica delle religioni: Confucianesimo, Induismo e Buddismo, antico Giudaesimo. Qui il campo si è alquanto allargato perché Weber discute i rapporti delle religioni non solo verso il razionalismo economico, ma verso tutto l'ordinamento sociale: e questo per dare qualche appiglio di più a chi legge, e instradarlo a capire meglio gli ostacoli di natura psicologica che in Oriente hanno ostruito la via a ogni metodica economico-razionale di vita. Insomma, è la controprova dei primi due saggi. Nel Confucianesimo, l'ostacolo è dato da questo: manca la esperienza di una ineguale qualificazione religiosa degli uomini, e perciò manca ogni concetto di differenziazione fra chi possiede uno stato di grazia e chi ne è privo, e perciò manca la necessità di confermare lo stato di grazia col successo personale. Nell'Induismo, l'ostacolo è questo: il geniale annodamento della legittimità delle caste con la dottrina della Kharma e quindi con la specifica teologia braminica: prodotto di un razionalismo etico che prolunga a tutta una serie di reincarnazioni quell'ansia di immaginarsi e confermarsi in stati di grazia che la teologia calvinistica potenzia ed esaspera nel breve, rapido corso di una sola vita, di una sola incarnazione. Nell'Antico Giudaismo, l'ostacolo è questo: la distinzione dell'etica economica valevole per il popolo eletto da quella valevole per i Gentili. Inoltre: la prosperità con cui Dio "benedice" il pio ebreo, non è in funzione della sua attività economico-razionale; ma in funzione di altri meriti non economici, anzi negativi di ogni razionalità economica.





    Ma ahimé! I saggi sull'etica economica delle religioni sono di tanto inferiori a quelli sulle sette protestanti, di quanto l'autore è intimamente ostile alle teologie asiatiche e vicino col cuore a Calvino. L'America è, in fondo, per Max Weber il paese in cui l'opera di Calvino si perfeziona, si spoglia della rudezza biblica e fa riconoscere la spiritualità del successo: in cui ogni uomo si prende volentieri sulle spalle la sua croce, non attende dagli altri né compassione né aiuti, ma quando, a battaglia vinta, egli dà, egli soccorre, il suo soccorso è perfetto, è la più alta, perché più disinteressata, azione di solidarietà umana. Weber ricorda spesso il suo soggiorno nella North-Carolina, presso i suoi parenti americanizzati, in mezzo al fervore delle sette protestanti: per quanto ingenue, per quanto rozze possano essere le immaginazioni dei Christian Scientists e delle sette del New-Thougt, dei Battisti che accolgono i loro iniziati con le cerimonie notturne sulle rive del torrente che discende dalle Blue Ridge Mountains, è certo che agli occhi di Weber hanno un merito immenso, unico, in confronto dell'ideale spirituale nello sforzo temporale, e nella forma più semplicistica, la sola accessibile alle masse: per esse, per la prima volta nel mondo, il lavoro è veramente sacro. Weber ama che agli uomini si predichi: "Chi scopre Gesù nel proprio cuore, quello diventa, ricco, diventa sano, diventa potente": Weber vede in ciò l'unico espediente per raggiungere la possibilità di riunire l’aspirazione al successo mondano con l'aspirazione ideale. Nietzsche, certo, è filosoficamente più persuasivo si esprime con maggiore finezza e con maggiore eleganza: ma le sette americane perseguono, sotto aspetto e con formulari cristiani, la formazione dello stesso ideale umano: e certo gli uomini più lieti, più sereni, più forti sono quelli formati dalle sette americane: esse sole riescono a dare alla vita moderna quel contenuto spirituale che le è mancato finora. La civilizzazione occidentale è nata ieri, è cento anni appena che essa prospera in America: qui soltanto, fra i guerrieri educati dalle sette protestanti, si comprende tutta la profondità del mito indiano, che il gradino prima della incarnazione braminica sia quello del guerriero, dello Kvattria: senza lotta non c'è conoscenza, senza lotta non si diventa maturi alla divina pace della saggezza.

    Solo le sette protestanti in cui viva un fervore di fede - e sia pure intolleranza, pregiudizio, esclusività - hanno oggi il potere di infondere uno spirito guerriero alle democrazie, di cacciare i vecchi ceti che non sanno neppure dare alle masse degli esemplari di forme sociali eleganti, di sostituirli con nuove aristocrazie, con nuove convenzioni sociali, come si formano nei Clubs di New-York, largamente imitabili, diffondibili fino all'ultima "farm" del territorio, e atte a dare all'uomo, al povero uomo che ha bisogno anche di questo, un senso di dignità personale, di onore gentilomesco, di bel gesto, che gli giova a tenersi sicuro per il paradiso di là, e a considerarsi come un rappresentante di un popolo dominatore di quà.

Così, partito in cerca della soluzione di una domanda strettamente national ekonomisch, Max Weber finiva per raggiungere anche lui il porto del KeyserIing: l'apoteosi della democrazia americana. Questo risultato è evidente in tutti i suoi scritti di guerra, nel suo epistolario - egli fu, io credo, uno dei pochissimi tedeschi che considerarono la guerra perduta con l'inizio della lotta sottomarina voluto da Tirpitz e C., come fu uno dei pochissimi europei che chiaramente indorarono tutta la preparazione spirituale guerriera dell'America - e perfino nell'ultimo suo discorso accademico, "Wissenschaft als Beruf" in cui egli annunciava agli esterrefatti uditori di Heidelberg l'inevitabile americanizzazione dell'ordinamento universitario germanico.

    La democrazia tedesca era cosi tenuta a battesimo da un singolare filosofo e da un singolare economista, che le auguravano di "americanizzarsi" il più possibile per poter reggere. L'augurio non è stato finora esaudito, la democrazia tedesca sente molto di "Krahwinkel", è orribilmente figlia del borgo delle cornacchie europeo; ma finora siamo al principio della favola.

    Niente democrazia evangelica.

    Ma la democrazia, nel pensiero specialmente di Max Weber, non è affatto cristiana. Weber non è cristiano. Essere cristiano, per lui, voleva dire accettare la predica della Montagna: egli non la accettava. Weber non cercò certamente di tirar su la democrazia tedesca con delle seminagioni intensive di edizioni bibliche economiche, con discussioni di Circoli religiosi, con propagandismo di sette teosofico buddistiche, col pacifismo da salotto, con le iniziative evangeliche delle signore svizzere.





    No no: bisogna lasciar fuori il Vangelo, bisogna lasciarlo da parte quando si ragiona di politica - oppure, fare sul serio, come il Vangelo vuole. La Predica della Montagna pare semplice ed è formidabile. Quando uno dei soliti comitati di dame svizzere lo interpellò per averne uno scritto in favore della pace, la risposta di Max Weber fu questa. "Care signore, ricordatevi in nome di chi parlate. Chi, come voi, tira anche un solo pfennig di vendita, che altri debbono pagare; chi, come voi possiede qualche cosa o consuma qualche cosa, cui si attacca il sudore di gente straniera, estorto in una lotta senza misericordia che la fraseologia borghese chiama "pacifiche attività del lavoro" " o concorde collaborazione umana": ebbene, colui non può parlare in nome del Vangelo. La terribile parola di Gesù si applica anche a lui. Si applica anche a voi, signore. Voi non la ascoltate: e sta bene. Ma allora, fateci almeno il piacere di non venire a parlarci di pacifismo in nome di Gesù: contro Gesù voi vi siete pur messe, e da tempo".

    Tutto il lavoro di imbottitura e di tornitura della dottrina evangelica, tutta la levigatura con la carta vetrata praticata da secoli sulla predica della Montagna, sono inutili per Max Weber. Tomaso d'Aquino, in cui culmina l'arte di conciliare la parola di Cristo con la politica di questo mondo, è saltato a piè pari. In questo, e per un momento del suo pensiero, Max Weber è un settario medioevale, che guarda il Vangelo e la Chiesa con gli stessi occhi di un seguace di Giovanni Huss, di un taborita. Ma poi procede fino in fondo, constata l'impossibilità pratica di attuare il precetto di Gesù e nega il Vangelo ed è superiormente religioso in questo, che egli arriva alla negazione dopo una tormentosa esperienza, e ne ha coscienza.

    Il Vangelo sta in contrasto, non solo con la guerra, ma con tutte le legalità del monde sociale, se questa vuol essere un mondo della coltura terrena, della coltura dell'" al-di-qua": cioè un mondo della bellezza, della dignità, dell'onore e della grandezza della creatura umana. Ah, voi trovate che quel "farmer" americano, alto, biondo, dalle mascelle quadrate, volitivo ed energico, è un nobile esemplare della natura umana? Voi vi sorprendete un momento ad ammirarlo, per la forza compressa dei suoi movimenti, per la orgogliosa dignità della sua vita? Abbiate il coraggio di andare fino in fondo: voi dovrete arrivare ad ammirare anche il concetto del Machtstaat che vuole dire la sua parola nella storia del mondo, che impone le sofferenze della guerra a milioni di individui, che manda alla morte gli eserciti in nome dell'"onore". D'accordo nel criticar le modalità della politica di questo Machtstaat, di questa grande potenza. D'accordo nel trovarla bestialmente guidata. Ma non nominate il Vangelo. Non paragonatela neppure alla Svizzera, non dite che avrebbe potuto starsene tranquilla come la Danimarca. Voi non comprendete cosa vuol dire questo: 70 milioni di uomini, meglio, di occidentali, riuniti coattivamente in una sola macchina statale. Lasciate che i più forti li vincano se cosi è la loro Kharma, il loro destino: non li turbate. Prendete le armi per piegarli, ma non fate loro la predica.

Cristo e Calvino.

    Questo atteggiamento di Max Weber durante la guerra ci fa credere ch'egli abbia riso molto quando suggeriva all'altro Max, quello di Baden, i radiotelegrammi wilsoniani. Ma non per questo lo stimiamo meno. Se l'intervento americano voleva dire la sconfitta per il suo popolo, voleva anche dire il trionfo del suo pensiero. Wilson gettava via il Vangelo: intervenendo, Wilson giustificava il popolo tedesco d'avere rotto la guerra: vincendo, Wilson lo giustificava d'averla perduta. Queste cose vide Weber, con pochi altri europei, in mezzo ai belati di tutti i letterati europei e ne fu certo orgoglioso. La sua posizione verso l'America è quella d'un americano che non beve le banalità wilsoniane d'un americano che sa pensare. Naturalmente. un americano di questo genere bisognava cercarlo a Heidelberg.

    In America, i frutti straordinari della dottrina di Calvino, gli uomini contenti e attivi, orgogliosi e guerrieri: la civilizzazione democratica più rigogliosa del mondo, hanno ancora bisogno dell'involucro cristiano, parlano ancora con le formule pietiste: sia pure. Ma in realtà, la scoperta di Calvino ha creato la più cruda negazione della Predica della Montagna, il puritanesimo in tutti i suoi trionfi nega il cristianesimo conservandone l'involucro tradizionale, ogni volta che un settario americano fonda una banca, costituisce un club o parte per la guerra wilisoniana, egli nega il suo cristianesimo, si sottrae all'influenza deleteria del discorso della Montagna, è con Calvino: Weber è puritano senza essere cristiano: la sua democrazia è stata allevata dal puritanesimo, è stata arricchita dalla dottrina della predestinazione e della grazia, ha goduto i frutti di tutto il travaglio teologico che per lunghi secoli cercò di conciliare da Predica della Montagna con la necessità della potenza, della ricchezza, della vita: adesso basta, adesso fa a meno del cristianesimo. Fa a meno dello stesso puritanesimo in quanto è rito, in quanto è cerimonia, in quanto è formale accettazione del vangelo, in quanto fa ancora finta di doversi reggere con le dande del cristianesimo. Lo accetta invece, il puritanesimo, in quanto dà il segreto della Yoga del successo, dà il training della vita attiva, da l’allenamento a lavorare con tranquilla coscienza ed a guadagnare con orgoglio del proprio trionfo mondano: lo accetta in quanto insegua la metodica per finirla una volta con il disprezzo ascetico della ricchezza, con il tormento cristiano che amareggia e avvelena il lavoro e il successo mondano. Degli uomini lieti e forti del Nord America, egli vorrebbe poter prendere la metodica della vita pratico-economica, e lasciar loro la teodicea: in Morgan e Jay Goulds vorrebbe prendere l'esempio del training, della concentrazione mentale applicata agli affari, e lasciare le convenzioni pietistiche: in Wilson vorrebbe accettare e glorificare l'energia lungimirante dell'uomo che conduce in guerra il più grande impero del mondo, e lasciare le scorie, i detriti, la spazzatura dell'illuminato, del settario americano.





    Liberare la civilizzazione occidentale, americana dalle scorie cristiane, dagli atteggiamenti puerili di attaccamento e di rispetto alle sette degli avi. Assumere e attuare la metodica della vita pratico-economica che ha reso possibile la democrazia americana, ma assumerla e attuarla "con gli occhi chiari", da europei, gente vecchia, che sa che il cristianesimo è svuotato da Calvino, e sa che Calvino stesso è superato dal suo trionfo, andato tanto oltre le previsioni, anzi tanto oltre gli intenti: questo il programma di Weber. Ogni uomo abbia il diritto e il coraggio dell'errore, dell'illusione, del pregiudizio, anzi della limitatezza: sia un perfetto e compiuto settario, se cosi vuole; un perfetto e compiuto bestione da soma. Ma lotta, ma sia guerriero, ma sia orgoglioso del suo successo, ma resista a quello che per lui è il male: e allora, da questa energica e perfetta mediocrità sorgerà senza fallo la categoria degli eletti - Keyserling direbbe dei bramini attivi - per cui non si tratta più di agire per il contraccolpo di dogmi cristiani, di esercizi metodistici, di riti pietistici, ma di agire, di reggere, di governare per solidarietà umana, senza il conforto in nessuna fede ultraterrena, con la perfetta conoscenza che Gesù è fallito e che Calvino è invecchiato e stantio: questa è la democrazia di Weber, di un grado più alto di quella americana, più conseguente, più consapevole, più coraggiosa.

La ribellione degli Junker e dei letterati.

    Naturalmente, data questa sua concezione della democrazia moderna, Weber doveva prendere posizione polemica contro i letterati, che specie nel 1917-18 si occupavano di riforme costituzionali dell'Impero. La crisi della guerra aveva prodotto molte di quelle che il Pareto chiamerebbe derivazioni verbali, termini dubbi, indeterminati, che non hanno corrispondenza nel concreto: erano le espressioni della rivolta del Michele tedesco contro lo sviluppo capitalistico dell'Impero e contro la guerra. Questo è anzi il più interessante fenomeno che si sia prodotto in Germania durante la guerra, e di cui ora appena cominciamo a renderci conto e possiamo capire, specialmente guidati appunto dalle polemiche del Weber. Un grande paese in cui lo spirito capitalistico, l'etica protestante hanno perfettamente preso piede, contribuendo ad uno sviluppo materiale inaudito, affronta di lieto animo la grande prova di forza, che ne è la conseguenza, e che è inesorabilmente imposta dalla posizione di Machtstaat, di grande potenza. Dopo tre anni di lotta, incomincia la stanchezza. Dove si manifesta. Nelle declamazioni contro il capitalismo, contro lo spirito capitalista, declamazioni fatte non dai professionisti dell'agitazione proletaria, ma dai gruppi di intellettuali più vicini alla Corte, alla Oberhaus prussiana, ai circoli accademici, allo Junkerismo, alla Chiesa Evangelica, alla Chiesa cattolica. Nel 1917, sui giornali di destra, che contemporaneamente spingevano alla guerra sottomarina e alle annessioni, cominciò una musica di parole, in cui le principali battute erano queste: "Gemeinwirtschaft", "Solidarita swirtschafts", "Genossenscafswirtschafts ": progetti nebulosi di valersi delle organizzazioni industriali coattive create per la guerra, per produrre un cambiamento nella "Wirtschaftgesinnung" nella concezione industriale; bisognava lasciare la vecchia etica economica, e farla rinascere più pura, più "organica". I circoli accademici, romantici da calamaio, cercavano di legittimare l'aspettazione della prebenda della gente laureata, sostenendo la necessità del voto plurimo per i dottori patentati: la Corte e la Camera dei Signori facevano propaganda per la ricostruzione parlamentare sulla base degli... Stati Generali (Standestaat), volevano un "raggruppamento organico della Società secondo le professioni naturali", o secondo " naturali gruppi economici professionali": volevano una ricostruzione della società "gerarchica", fondata "sugli interessi concatenantisi di categoria in categoria", ed erano pronti a concedere alle classi lavoratrici... il Parlamento del Lavoro. La Camera dei Signori, in particolare occupandosi della riforma elettorale, premetteva sempre d'aver di mira qualche cosa di più elevato che la tirannia delle cifre, che bisognava creare qualche cosa di " organico", di "gerarchico": e in pratica poi, tutti i progetti presi in considerazione cercavano di soddisfare a questa domanda: "qual è la legge elettorale che può darci un Landtag composto di tanti conservatori, di tanti del Centro, di tanti nazionali-liberali? ". Questa aritmetica elettorale, in cui eccelleva il Reale Ufficio prussiano di statistica, pareva molto più elevata, "organica" e "gerarchica" della tirannia delle cifre. Lo Junkerismo si illudeva di rinforzarsi facendo votare, nel terzo anno di guerra, una legge per la costituzione di nuovi fidecommessi nobiliari, creduti utili per la ricostruzione della società gerarchica.





    I pubblicisti del Centro ripubblicavano, come preziosi documenti del pensiero politico tedesco, gli scritti di Giuseppe Görres, di Adam Müller, di Gentz; anticaglie cattoliche di un secolo fa, ma che hanno l'incomparabile merito di parlare dello stato come di un tutto organico e di progettare una costituzione con gli stati generali del clero, della nobiltà, della borghesia: maldestre ripetizioni di quanto è detto con rigore di espressione da Tomaso d'Aquino.

    Perfino Rathenau - che Dio mi perdoni! - era preso da questa musica di parole, e scriveva parecchi dei suoi libri più inconcludenti, a base di economia nuova"!

    Ebbene: tutto questo movimento cosi vario non fu altro che la ribellione tumultuosa dei ceti dirigenti tedeschi contro cinquant'anni di sviluppo capitalistico, contro la necessità della lotta politica, contro il suffragio universale genuino che è il mezzo con cui quella lotta si esplica, contro la guerra, sostenuta dalla grande armatura industriale della Germania e perduta di fronte all'America. Perduta appunto perché i ceti politicamente dirigenti della Germania cominciarono a pentirsi di aver lasciato ricoprire di fabbriche il loro paese, cominciarono a brontolare contro lo spirito capitalistico che ossessionava la vita moderna; cominciarono a rimpiangere la poltroneria riposata della Marca piena dei ricordi gloriosi di Federico e del Grande Elettore, - e senza fabbriche, e senza suffragio universale: e i ricordi gloriosi impongono meno sforzo, meno tensione, meno "resistenza al male" delle grandi fabbriche e del suffragio universale. Il vero "colpo di pugnale" nel dorso alle armate tedesche non lo diedero i partiti socialisti: lo diede, un anno prima la coalizione di tutte le poltroneria attorno alla Casa dei Signori prussiana, lo diedero i vecchi ceti dirigenti dell'Impero, paurosi dinanzi alla ferrea industrializzazione portata dalla guerra; dinanzi all'energia di lucro capitalistico prorompente dai ceti nuovi, borghesi; dinanzi alla necessità del suffragio universale e della parlamentarizzazione applicati integralmente al governo dei Reich e della Prussia. Dinanzi alla prospettiva di una democrazia guerriera, ultra-americana, in cui l'iniziativa e le metodiche capitaliste potessero andare fino in fondo, e la lotta politica potesse svilupparsi completamente - dinanzi a questa prospettiva i ceti dirigenti tedeschi si spaventarono, gridarono pietà, cercarono rifugio nella musica delle parole su accennate: vollero, nell'interno del Reich, mantenere sull'altare i casalinghi Dei (lascito dell'elettorato di Brandeburgo) - promettendo all'estero la vittoria completa e schiacciante: ma i casalinghi Dei brandeburghesi non servono a niente di fronte alle necessità della guerra moderna, e - per citare ancora le parole di Weber - la Germania, "nazione di buoni funzionari, capacissimi uomini di affari, diligenti scienziati e... fedeli servi del loro signore", perdette la guerra, che i popoli dominatori, gli anglosassoni, vinsero.

La necessità della lotta di classe e della lotta politica.

    Naturalmente, tutti i "riformatori organici", tutti i romantici da calamaio si stringevano attorno allo "Obrigkeitsstaat", allo stato di autorità: essi volevano che le grandi corporazioni di industriali, di commercianti, di agricoltori, di salariati si formassero sotto l'egida dello Stato, con reclutamento coattivo: soltanto cosi poteva sperarsi la "ricostruzione gerarchica" della società. La riunione dei rappresentanti delle grandi corporazioni nazionali avrebbe costituito la rappresentanza degli interassi, fatta dai "tecnici", dai "pratici" dalla "gente fattiva" in sostituzione dei "chiaccheroni", degli "avvocati", dei "politicanti". Questo si chiedeva nel 1917-18, alla Camera dei Signori Prussiana e dalla stampa di destra tedesca. Non sono dunque, certe richieste italiane 1922, novità.

    La replica di Max Weber era tutta fondata sulla necessità assoluta, per la Germania, di una educazione non coattiva imposta dall'Obrigkeitsstaat, ma coraggiosamente conquistata con la lotta politica.

    La Germania - egli osservava - ha già delle corporazioni, dei consorzi stabiliti dalla legge, e a cui tutti i membri di una determinata categoria di produttori, supposta omogenea, sono obbligati a partecipare, e a farsi rappresentare elettivamente: le Camere di Commercio, di Industria, di Agricoltura: ecc. Precisamente da questi enti amministrativi si vede ciò che una organizzazione coattiva di categoria non può dare. Come va propriamente che quelle corporazioni di categorie imposte dal nostro diritto pubblico - come le camere di commercio già tanto combattute da Eugen Richter, e tutte le formazioni similari - non servono niente affatto da alveo ad una possente corrente di interessi economici, mentre invece vi servono benissimo le leghe degli interessati? E che, d'altra parte, esse rimangono cosi incapaci, di fronte ai partiti, d'assumere in sé la vita politica?. Questa è la conseguenza che i partiti da una parte le leghe di interessati dall'altra stanno sul terreno del libero, volontaristico reclutamento dei loro aderenti: e quelle formazioni statalmente riconosciute stanno invece sul terreno del reclutamento coattivo. E quelli sono, in seguito alla loro struttura, le organizzazioni appropriate di tutta la nostra vita economica che vivifica e dà importanza ai partiti e alle organizzazioni padronali e sindacali: è l'ultima manifestazione di quella etica capitalistica che ha strappato il produttore ai vincoli della corporazione coatta e lo ha lanciato su una traiettoria, che non si può certo arrestare con gli empiastri della collaborazione di classe, colla rappresentanza degli interessi, col parlamento del lavoro elargito... dai proprietari fondiari, e roba simile. Suffragio universale e libertà sindacale, queste sono le conseguenze che non si possono eludere dell'etica capitalistica che pulsa in ogni azienda ben impiantata, e in ogni operaio che faccia il suo mestiere. Su questa strada, è vero, si trova Stinnes, ma si trova anche Legien che dalla casa della Confederazione Generale del Lavoro tedesca arresta il colpo di stato kappista. Se si sceglie l'altra - quella degli empiastri uso collaborazione di classe, ecc. - vuol dire che si ha paura di fronte allo sforzo che è richiesto dallo sviluppo capitalistico, e si ripiega sul pseudocapitalismo delle forniture di stato, dei ricatti protezionistici, ecc. tutta roba da avventurieri sud-americani.





    Questo, dico, pensava Max Weber nel' 18. Vero è che egli non aveva presente l'esempio dell'Italia: dove pare che il genio latino voglia meravigliosamente conciliare suffragio universale e parlamento del lavoro, sviluppo capitalistico e collaborazione di classe; dove pare che l’etica economica dei nostri industriali - alienissimi, come è noto, dai trivellamenti: e dai carrozzoni -, combinata con l'alta coscienza politica dei partiti politici, debba produrre una fioritura di iniziative sufficientissima ad assicurare agiatezza al più povero e più popolato paese del continente.

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    Non credo che oggi coloro che in Italia possono e vogliono polemizzare a difesa del suffragio universale e della proporzionale, dispongano di una elaborazione teorica dei due strumenti di lotta politica quale il Weber 1a preparò per la democrazia tedesca in scritti accademici, conferenze, articoli di giornale.

    Anche questo giova a spiegare come e perché la Prussia - ricordarsi le declamazioni di cinque o sei anni fa! - sia oggi uno dei paesi del mondo in cui è ancora possibile scrivere ciò che si vuole, votare per chi si vuole, ecc.

    La democrazia tedesca - Prezzolini ha ragione - ha avuto qualcheduno che studiava.

GIOVANNI ANSALDO.

    Gli scritti del Weber cui mi riferisco in queste note sono:
 .    Gesammelte Aufsatze zur Religions soziologie.Tubingen, Mohr, 1920-21.
      Tre volumi.
 .    Gesammelte Politische Schriffen, Münich, Treimasken, 1921.
 .    Wassenschaft als Beruf, Münich, Tuncker e Humblot, 1921.
Su Weber sono da consultarsi fra l'altro:
Jasper Karl, Max Weber, Tubingen, Mohr, 1921. E' un discorso commemorativo che porta anche una esauriente bibliografia Weberiana, a cura della vedova.
Due ottimi articoli riassuntivi del Prof. v. Schulze Gävernitz: e M. W. als Nationalökonem, pubblicata sulla Frankfurter Z.. del 7 luglio 1920; e M. W. als Politiker, pubblicato sulla stessa Frankfurter il 14 novembre 1922.