PENSIERO FASCISTA.UMBERTO F. BANCHELLI: Le memorie di un fascista - 1919-1922. Edizione della Sassaiola Fiorentina, Firenze, 1922. Al ritratto dell'autore che orna il volume poco resterebbe da aggiungere per averne completa la biografia; parendo a noi che lo sfoggio audace di medaglie militari definisca i confini della sua spiritualità assai meglio che un elenco di testi o la descrizione dello stile. L'istintivo richiamo, per rozze somiglianze, al capo primitivo di tribù, armato di fisica esultanza corrugata e di piacevoli talismani, non si smentisce nella narrazione vivacemente burocratica, inesperta e palese. Il documento interessa in modo singolare se appena si guardano le cose ad una certa lontananza, sì che prendano il loro rilievo quasi Umberto Banchelli fosse un nuovo vassallo del nuovo re, illetterato e bellicoso come Teodorico, feroce come Alboino. Ma egli terrebbe più della rozzezza di Paolo Diacono, che della felice erudizione di Cassiodoro; derivando il suo rispetto per Prezzolini e per Soffici dall'indulgenza costante nei due amici verso la spensieratezza avventurosa, e talvolta persino verso i nuovi barbari. Chissà che il nostro caro Ardengo non offra volentieri la sua allegra malleveria alle invettive del B. contro le dottrine "dell'ebreo germanico Carlo Marx, ovvero di Mordeca, poiché era questo il suo vero nome che si era tolto per essere dalle folle ignoranti dei suoi tempi acclamato e creduto". In verità solo il pervertimento del senso dei valori nei momenti più notturni può spiegarci le metafore marinesche dell'umile cronaca dove per la battaglia elettorale di Firenze si attribuisce al fascio il compito di "impedire che otto secoli di arte italiana e di sacrifici cittadini potessero esser lordati dall'effigie del russo asiatico ebreizzato Lenin". Del resto l'ambizione letteraria del rozzo cronista chiama candidamente a riscontro la fiorentina età di "guelfi e ghibellini" per la ripresa sassaiola. Le seduzioni estetiche del falso primitismo sono in arte un trucco conosciuto (non è vero, Soffici?). Ora in politica ci cade anche Fernando Agnoletti, che dunque visse indarno i suoi anni nella libera Inghilterra. Ma non giova sprecare metafore di troppo lusso per fatti che sono tanto banali e cotidiani. Nel fascista non si trova poi se non di rado il rispetto del barbaro per la sapienza che gli è negata, e certe religiose venerazioni crescono male nel cuore monotono dal goffo guerriero di mestiere. La cronaca dei giornali parla con più precisione della contraffatta baldanza di generali e deputati "minorenni". Anche in queste memorie le idee si direbbero (volendo indulgere al linguaggio e agli affetti gastronomici rimessi in uso da codesti incolti) poco digerite. La venerazione e la profezia dell'Italia cattolica, il plauso alla monarchia assoluta, la paura degli ebrei e della plutocrazia, le proteste contro Mussolini che non vuole le industrie di Stato descrivono conclusivamente il candore di certe albe spirituali. Si vorrebbe raccogliere di delicati fioretti tutto un florilegio. "Ormai tutto questo dilagare di partiti ha fatto conoscere quanto occorra por fine ai partiti stessi e ridurli numericamente magari ad uno solo" "E distruggere fino al possibile i dialetti e non permettere la stampa in dialetto che fa alimentare lo spirito di campanile" "Non vi può essere che una potenza cattolica, non vi può essere che Roma, che un dì si possa decidere a scacciare i turchi dall'Europa e ridare al tempio di Santa Sofia il significato cristiano per cui esso sorse" "Guai a colui che ardisse toccare le sacrosante conquiste economiche proletarie! Se dovrà sorgere la vera e reale monarchia essa dovrà essere per mezzo del suo Re responsabile il padre austero del proletariato". Il discorso potrebbe farsi più severo se di queste innocenze si chiedesse ragione ai tutori legittimi e responsabili. Allora la critica moralistica del B. alla democrazia si dovrebbe definire la giusta ribellione insolente dello scolaro maleducato al maestro insufficiente. Invero perché non considerare con profonda pietà, questi ragazzi spostati che dai padri democratici e dagli eventi avventurosi poco poterono apprendere fuor della corruzione dei costumi! Anche il fascismo come tutte le infanzie, ha per noi le sue penose giustificazioni, come quello cui meglio si adatterebbe il confessore o il predicante che il maestro di politica. Crebbero svagati trovatelli né alcun insegnò loro qual duro noviziato attenda l'artiere delle sociali contingenze. Nel gioco della guerra, si riconobbero una precocità viziosa. Oggi la sicumera del barbaro cela soltanto la paura, né lo spirito aperto assiste la generosità, anzi la spavalderia alternandosi con l'obbedienza mostra l'esaurimento dei nervi, la povertà di inibizione, la decadenza della razza. Il futurismo sarebbe stato dunque l'annuncio ebbro e sconsolato di questa fondamentale aridezza interiore. Si tratta di sostituire al bastone tedesco il pugnale fascista (pag. 176), di affidare altrui l'esercizio della propria libertà. Di tali rinunce resta parimenti infirmata l'analisi. In politica l'antidemocrazia segna un ritorno nostalgico verso lo stato paterno; in critica i procedimenti sono metafore come negli alchimisti. Volta per volta servirebbe, in luogo della pietra filosofale, a spiegar tutto la plutocrazia non conosciuta o l'ebreismo fantoccio di nuvole che mille venti ingrandiscono, o l'arrivismo di chi tiene i primi posti o il commercio e l'industria addirittura. Il libro di B. è pieno di deplorazioni per la mancanza di fascisti galantuomini, e di domande maligne sulla sorte toccata alle finanze del fascio. Nelle crude lotte intestine vi appare legge d'accusa di ladro contro l'avversario politico. La nostra memoria non è tanto vigile da rimettere in corso certi pettegolezzi, ma il giudizio sarà ben pronto a cogliere il significato storico di siffatti caduti costumi. Nessuno si nasconde le naturali preoccupazioni per la rinuncia alle più elementari dignità, ché l'immaturo spirito del fascismo sta proprio nel non saper destare neanche il rispetto per il mestiere. Il ricorrere ai miti invece che all'esperienza, il considerare antipomorficamente le realtà complesse della contingenza, indica senza il pudore dell'infingimento il suo semplicismo. Con la stereotipia di una disciplina si vorrebbero riparare le deficienze, ma non si osa far nascere l'ordine del libero disordine. Lo spirito d'avventura non riesce a scoprire la tradizione e i lai sulle degenerazioni morali non intendono che fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico. Insomma il progettismo, l'odio per l'industria e il commercio, le sfrenate ambizioni, la nessuna esperienza economica indicano nel fascismo, aggravate, le stesse malattie dell'Italia immatura. Ogni noviziato fu escluso: i guerrieri sono per atavismo presuntuosi e megalomani. Le responsabilità di governo ormai raggiunte non impediranno nella discontinuità degli uomini e dei pensieri la minaccia pretoriana sempre rinascente dell'interregno. Riconosciuta vilmente l'urgenza del tutore come salvarsi dalla turba infinita dei candidati? P. G.
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