LA RELIGIOSITÀ DELL'IRRELIGIONE
Presentiamo qui un saggio del nuovo libro di Giuseppe Prezzolini: Io credo, il libro in cui egli riassume il significato ideale della sua attività discutendone le premesse e le esigenze nella crisi del pensiero contemporaneo. Il lettore si avvedrà che questo è il primo libro in cui la figura di Prezzolini scrittore e pensatore può essere colta intera, nei suoi limiti e nel suo fascino vigoroso. Il libro può esser prenotato presso A. Pittavino e C., Pinerolo. Il problema urgente e centrale mi è sempre parso quello della Religione, per noi che non possiamo più credere alle Religioni. Io sento che l'insufficienza delle negazioni razionalistiche, non ci può fare abbracciare la soluzione diminutiva proposta da Gentile. Se vi è stato un progresso nella mente umana questo progresso deve manifestarsi anche nella civiltà. Non si può distruggere nel pensiero, senza volere distruggere anche nei fatti. I filosofi che sono così coraggiosi nelle teorie, si dimostrano conservatori di fronte alle realtà contemporanee. Noi vogliamo che la filosofia abbia delle conseguenze. Non possiamo rassegnarci a una filosofia, che non modifica il mondo. A me pare che tutto il mondo stia affermando le nuove religioni, che sono in fondo una sola: la religione dell'uomo. L'umanità si avvia a nuovi destini. Qualche cosa di profondo è sorto, quando cadde la credenza in un Dio esterno all'uomo. Il Cristianesimo – non soltanto nelle sue forme storiche, cattoliche o protestanti – ma nella sua etica stessa, è insufficiente allo spirito moderno. Noi non possiamo più dirci sinceramente cristiani, sebbene una parte dell'umanità non lo sia ancora e debba far molto cammino per giungervi. Il cristianesimo ci è insufficiente per ampiezza e per profondità. Che cosa resta più di cristiano a noi che non rigettiamo il peccato, non sentiamo il bisogno della Redenzione, non accettiamo il mito della Resurrezione? Il peccato lo accettiamo come parte necessaria della vita e della azione umana; la redenzione non spezza più per noi la storia umana in due parti; il divino non si inserisce più in un solo uomo e in un solo istante ma ci pare pervadere tutta la storia umana, tutte le figure umane, tutte le forza umane. Di fronte a questa convinzione più larga e profonda, noi sentiamo di non respirare più dentro il cristianesimo, che ci pare infantile. Per gli uomini che vennero prima di noi - e continuano ad essere nostri contemporanei anacronistici - Dio era al principio; per noi Dio è alla fine, per esprimerci grossolanamente, della storia umana. Essi si sentivano diminuiti, noi ci sentiamo in accrescimento. Noi non siamo irreligiosi, anzi siamo troppo religiosi, per le religioni attuali e le troviamo tutte insufficienti alla nostra completa celebrazione della vita e dell'uomo nella sua storia. La nostra critica parte da una necessità assolutamente differente da quella della vecchia critica antireligiosa, massonica, razionalista. Le religioni storiche non abbracciano per noi abbastanza mentre per i razionalisti abbracciavano troppo. Per loro v'era nelle religioni sovrabbondanza di divino, per noi vi è scarsità di divino. Il nostro è un punto di vista del quale la Religione cattolica ha ragione d'avere paura più che dell'altro. Naturalmente ciò significa non accettare i lamenti e le maledizioni, le profezie e le geremiadi dei turbati dalla crisi moderna, crisi di pensiero, o di azione, di filosofia o di guerra, di regimi politici o di sistemi economici. Là dove gli altri vedono soltanto rovine, noi però indoviniamo già il sorgere di un nuovo mondo, che, appunto perché tale, non si prepara in pochi giorni. Fedeli al concetto che la guerra è manifestazione d'umanità, noi possiamo comprendere la guerra come uno degli aspetti della lotta e nello stesso tempo lavorare per i tempi nei quali la guerra, in quanto manifestazione di lotta, sarà fatta tacere, per lasciar posto ad altre emulazioni umane. Il mondo non finisce: esso è appena cominciato. Pochi secoli di storia ci separano da stati inferiori dell'umanità e basta girare intorno lo sguardo per vedere che soltanto in poche isole, forse in pochi individui, v'è la pienezza di coscienza dei tempi raggiunti. Chi è che dice il nostro tempo manca di fede: costui per certo nulla capisce degli uomini e della vita contemporanea. Anzi da quando si è chiusa la guerra, si sono aperte le cateratte della fede: e non furono tante le epoche che seppero credere come questa. Basta volgere lo sguardo intorno a sé e si vedrà un fiorire e rifiorire di fedi, un credere facile, un asserire frequente, uno sperare folle, un attender messianico, un commuoversi rapido, un giurare in verba magisteri, un predire senza difficoltà, un intraprendere senza screpolatura di dubbi, un predicare senza risparmio, un condannare senza scrupoli, un mandare a morte senza discussioni, quali di radio possono avverarsi con eguale misura nella storia. In nessun tempo, dei moderni almeno, si è (data fede siffatta, come nel presente, a documenti falsi e a persone dotate di minore autorità e veracità. Torquemada può andare a rincantucciarsi poiché ha più concorrenti e seguaci che nei secoli della Inquisizione. Dicono che i tempi di licenza sono tempi scettici, ma se il nostro è licenzioso, scettico non è di certo. Non la fede è spenta, ma quella fede alla quale pensano i critici del tempo presente. Credono davvero essi che vi sia un mondo che possa reggere senza fede? Quando una società va avanti, la fede c'è di certo; quando si muore per una causa, come parlare d'una mancanza di fede? L'uomo non può attestare meglio la propria certezza che con l'offrire il suo massimo bene: la vita. Mentre tanta gente lavora, soffre, fa ora sentire dei "laudatores temporis acti" cantar l'elegia di tempi nei quali non hanno vissuto e che non conoscono che a traverso dei luoghi comuni e che vedono con l'ottimismo di chi contempla le cose compiute, che a lui nulla, son costate di dubbio e di pena. Finiamola con i profeti di sventura e con i calunniatori dell'ora presente, diciamo la parola che incuora coloro che sono al travaglio. Il guerriero che regge con le sue spalle la piramide di altri guerrieri, pronto a scalare le mura della città avversaria non può guardare in alto e giudicare se il suo compagno ha raggiunto l'altezza necessaria; il suo compito è di reggere, con la testa in basso e in silenzio; e guai a chi lo ferisca nel cuore col dubbio. Quando i piroscafi lasciano ancora le rive dei porti cittadini alla ricerca dei poli frigidi, e si tentano le più alte vette del mondo, e si resta per anni chiusi nei laboratori a studiare un'infinitesima porzione di vita, e si medita nella maniera più disinteressata sul mistero del mondo e si lavora con tranquillità il piccolo campo: allora è possibile che manchi la fede? La fede pare fuggire quando cerchiamo di rappresentarcela con precisione intellettuale e tutto ci pare allora incerto: ma noi agiamo con piena sicurezza e la nostra fede ci assiste nel modo più pieno. Coloro che negano la fede ai tempi presenti sono spesso l'esempio più parlante del contrario. Ora questa fede di cui è pieno il mondo d'oggi non è più una fede cristiana, anche se di simboli cristiani sembra contenta. La fede che animò le prime comunità cristiane dove andò? Il mondo d'oggi non è scettico, e non è più cristiano; non è più cristiano perché è più che cristiano, ma non ha ancora coscienza della sua nuova fede. Tocca a noi far sentire agli uomini che essi credono in altro. I pagani divinizzarono la Natura, i cristiani divinizzarono Dio; noi siamo della terza epoca del mondo, che ha per l'Uomo il senso del divino. |