I MIEI CONTI CON L'IDEALISMO ATTUALE
Anche a costo di rinunciare a certi valori quasi necessari di stile e di ironia ho voluto in questa lettera all’amico Lombardo Radice trattare fatti personali come documenti di una generazione e come cronaca di una formazione spirituale. Pubblico la prima parte della lettera, dove in un certo senso si segna pure la genesi della Rivoluzione Liberale. Tutto il discorso (compresa la seconda parte: Fascismo e problema scolastico) sarà pubblicato nel secondo numero di Educazione nazionale, dove io mi auguro che Lombardo Radice esponga il suo pensiero. Per un doveroso riguardo non posso pubblicare la lettera del Lombardo che ha provocato questi miei chiarimenti perché egli mi ha scritto sotto il vincolo della riservatezza. Caro Lombardo - Radice, Ella mi accusa di non aver detto esplicitamente mai quello che affermo di aver pensato da un pezzo sull'idealismo attuale. Ella mi accusa di non aver riconosciuto il valore morale di Gentile. Ella si riferisce a un mio discorso tenuto a Gorizia il 4 dicembre su Croce e Gentile, chiamandolo discorso contro Gentile e definendolo volgare. Mi permetta di protestare contro questo suo metodo polemico. Che cosa sa Ella del mio discorso goriziano? Chi l'ha informato? Quando io pubblicherò quel saggio Ella vedrà quanto sarebbe stato opportuno da parte sua un maggior spirito di critica prima di accettare chiacchere e leggerezze di chi nulla ha inteso probabilmente del mio pensiero. Io facevo a Gorizia un corso di divulgazione sulla cultura contemporanea: pensi se la mia onestà di studioso mi poteva consentire cose volgari o insinuazioni o attacchi personali! Parlai del G. nel modo più sereno mettendone in luce i pregi, senza nascondermi naturalmente i limiti della sua scuola e del suo temperamento e la minor importanza in sede scientifica delle sue dottrine rispetta a quelle del Croce. Tentai di mettermi da un punto di vista storico, di guardare le cose a un secolo di distanza e in tal modo naturalmente l’originalità del Gentile mi appariva quasi per intero velata ed assorbita dalla persona filosofica di Bertrando Spaventa. Le assicuro che queste visioni sono sommamente chiarificatrici; è un esercizio che raccomando ai gentiliani! Di Gentile uomo parlai in quel discorso così: "... I fremiti di religiosità dipendono piuttosto dal non aver risolto, né in concreta scienza, né in precisa espressione, certi residui sentimentali e certe preoccupazioni personali che sono poi, a calcoli fatti, la parte più bella e simpatica di Gentile, una delle figure moralmente più suggestive e intransigenti, sino al settarismo". In quanto al rispetto a Lei dovuto (che, sempre secondo le sue acritiche informazioni, io mi sarei dimenticato) le riferirò una parentesi a Lei dedicata: "Lombardo Radice, non filosofo, ma superiore ad ogni discussione per la nobiltà reale e non soltanto programmatica del suo apostolato". In quanto al settarismo di Gentile, alla sua indulgenza verso scolari non degni ricordo un mio colloquio col Gentile stesso a Roma nel luglio scorso (dunque il mio atteggiamento è anteriore ed estraneo alla "rivoluzione fascista" che mi ha semplicemente offerta una conferma dei miei dubbi e delle mie critiche) in cui io gli esposi francamente se pur con la delicatezza e la timidezza che non volevo e non potevo soffocare il mio rammarico per parecchi fatti scolastici e tra l'altro per il caso Carlini: "Appunto perché io apprezzo gli studi del Carlini" gli dicevo, "e specialmente il saggio su Locke, appunto perché ricordo l'attività sua e del De Ruggero e del Fazio-Allmayer al tempo della Voce penso che essi non abbiano alcun bisogno di entrare per vie non chiare e legali nell'università; potranno essere utili in qualunque campo lavorino. E gli ricordavo come, al settarismo degli altri la miglior risposta fosse la legalità, che de1 resto il vero merito finisce con l'essere riconosciuto e che appunto anche senza giudici di concorso idealisti Gentile e Lombardo Radice avevano ottenuta la cattedra universitaria. Il Gentile mi rispose con la simpatica grettezza di un pastore protestante. Di deplorazioni mie sullo stesso argomento possono far prova il Salvemini col quale ebbi un colloquio a Firenze nel luglio scorso e il Prezzolini con cui si discusse a Torino nell'agosto della povertà spirituale dei nuovi idealisti tra i quali è facile trovare degli impenitenti dogmatici, raro scoprire delle coscienze. Eravamo d'accordo nel lamentare che la scuola gentiliana non avesse creato dei caratteri, che la nuova gioventù si preoccupasse più di cose pratiche che di inquietudini intime. Nello stesso senso ebbi ad esprimermi in colloquio col Casotti a Pisa. Eccole documentato come il mio atteggiamento verso il gentilismo sia stato da molti mesi tutt'altro che tenero. Ella può vedere come conferma delle mie nascenti diffidenze per l'attualismo la collezione della Rivoluzione Liberale. Per essa sin dal dicembre 1921 mentre cercai di ottenere l'adesione del Croce non richiesi in nessun modo la collaborazione del Gentile: se Ella rilegge tutti i numeri passati trova considerato col massimo rispetto e devozione l’insegnamento del Croce e del Salvemini e dell'Unità, ma del Gentile quasi mai cenno. Torraca e Murri Le possono riferire cosa pensassi del Gentile nel marzo scorso, quali aspre discussioni ebbi con loro a Roma in quel tempo sul tema Croce-Gentile. Non intendo minimamente fargliene un rimprovero, ma Ella ha letto certo troppo sbadatamente La Rivoluzione Liberale se non ha scorto le obbiezioni al Gentile e al gentilismo che mossi io nel n. 4 (5 marzo) 27 (20 settembre) 31 (25 ottobre) e che furono riprese e colte dal mio amico Sapegno nei n. 29 e 32. Mi permetta di dichiarare dopo ciò che il ritenere io abbia mutato pensiero dopo il colpo di mano fascista, riguardo al Gentile è un atto palese di mala fede o di leggerezza. Ma sono stato io mai gentiliano? In due sensi ho diritto di negarlo con una semplice dichiarazione personale che nessuno mi conosca potrà mettere in dubbio. 1) non ho mai chiesto alle idee da me professate di servirmi come pratico ufficio di collocamento: ho preferito non essere riconosciuto neanche nei miei sforzi; nascondere i miei sacrifici; soffrire in silenzio e senza amarezza ciò che avrei forse avuto il diritto di non soffrire. 2) non ho mai chiesto a nessun sistema di salvarmi dal dubbio tragico del pensiero di offrirmi soluzioni comode anche se fittizie di darmi le penne del pavone e la pace della pigrizia. Adesso documenterò il mio gentilismo o antigentilismo in un terzo senso. Mi è simpatica l'antifilosofia di Salvemini perché non credo che i giovani se non vogliono finire a scrivere la storiografia o la pedagogia di Casotti(!) debbano prendere troppa confidenza con la metafisica. C'è in proposito un pensiero di Platone e di Aristotile e un articolo del Croce che mi paiono probanti anche dopo gli exploits teoretici di certi enfants prodiges gentiliani. Ho sempre accettato dal Croce la risoluzione della Filosofia nella Storia, e la sua limitazione al momento metodologico. Ho intesa l'identità gentiliana di pedagogia e filosofia come negazione della pedagogia e sua risoluzione nella concreta esperienza (arte). Dei suoi Nuovi saggi di propaganda pedagogica io accetto volentieri la prefazione ma ritengo inutile il libro perché mi basta la sua opera per la scuola in Sicilia. Ella ha ragione di anteporre in questo caso l'azione ai libri-programma; ma ha poi il torto di scrivere dei cattivi libri, di raccogliere articoli che dovevano rimanere parole sparse di incitamento, tentativi di collegare e promuovere. Come opera di pensiero i suoi Nuovi Saggi non riescono a ricordare in nulla gli antichi bellissimi Saggi. Quando io fondai "Energie Nove" avevo 17 anni e nessuna pretesa di fare della filosofia. Le difese che feci in quel tempo del Croce contro la disonestà dei suoi avversari si riferivano all'uomo di cultura. A poco a poco mi attrasse sempre più la politica e la seconda serie delle "Energie nove" cercò di chiarire concetti e problemi che rimanevano oscuri nell'insegnamento dell'"Unità". Santino Caramella, che io rivelai nelle "Energie nove" e che rimarrà sempre uno dei miei amici più diletti, rimase quasi solo a occuparsi nella rivista di problemi filosofici. Ma egli era allora crociano e fu soltanto per influenza dell'"Educazione nazionale" che attraverso l'esperienza pedagogica si accostò poi al gentilismo, rimanendo tuttavia anche nonostante l'infinita e intemperante produzione assai lontano dalla sicumera degli altri scolari, e ad ogni modo attivo, non pigro, inesauribile nel tentare campi nuovi. Nel 1920 io interruppi le "Energie nove" perché sentivo bisogno di maggior raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana, al movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla Rivoluzione russa che era venuto compiendo in quel tempo. La filosofia m'interessava ma non volli mai dedicarmi a studi tecnici. Sentendo l'oppressione delle filosofie dominanti avevo cercato di liberarmi con risalire ai greci, poi a proposito dell’ottocento avevo avuto modo di discutere le interpretazioni "gentiliane". Carabba ha una mia prefazione che gli consegnai a mezzo di Giovanni Papini nell'ottobre del '20 in cui io rilevo tutti gli errori del Gentile nello studio sul Bertini. Tuttavia in quei tempi si può scorgere una certa indulgenza e quasi adesione mia alle dottrine gentiliane che io chiamavo però sin da allora più volentieri spaventiane: è chiaro e giusto che io non mi potessi sottrarre all'influenza formidabile della logica hegeliana. Ma in estetica tentavo di capire qualcosa per altre vie, sempre professando un gran rispetto al Croce, anche quando ne dissentivo (e si può vedere come esempio la mia opera di due anni quale critico drammatico e letterario nell'"Ordine Nuovo") e in etica volevo veder chiaro attraverso l'esperienza politica e meditavo "La rivoluzione liberale". Ella l'ha tenuta a battesimo poiché il primo articolo in cui io esponevo le mie idee nuove apparvero appunta col titolo "La rivoluzione italiana" nella Sua "Educazione nazionale". Ella comprende come ciò mi dovesse portare sempre più lontano dal Gentile non per il suo nazionalismo, ma perché nella sua incapacità di dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale. Il 10 febbraio 1921 io scrissi nell'Ordine nuovo un articolo di presentazione di Giovanni Gentile, che doveva fare la sera al pubblico torinese una conferenza. Quest'articolo potrebbe, riletto oggi, sembrarmi anche abbastanza compromettente, se non si considerasse che si trattava di una presentazione ossia di uno scritto di grossa propaganda. Avevamo occupato in quei giorni dopo una grande (!) battaglia elettorale la Società di cultura torinese e come primo risultato vi avevamo chiamato a parlare il Croce, il Salvemini, il Prezzolini, il Gentile: era giusto che non risparmiassimo anche un poco di réclame. E del resto ognuno può vedere che scrivendo io avevo preso la via più accorta e invece di parlare di Gentile parlavo genericamente del nuovo movimento filosofico cominciato con Spaventa e Croce, e tra Croce, Gentile o Spaventa non facevo i conti per una ragionevole generosità suggerita dall'occasione. Da allora in poi non mi sono mai nascosto né ho nascosto le mie idee fondamentali sulla derivazione spaventiana dell'hegelismo del Gentile, sull'incapacità del pensiero gentiliano a spiegare i problemi di estetica e di morale, sulla poca fecondità e sulla frettolosa leggerezza degli ultimi studi storici da lui dedicati alla scolastica, al rinascimento, agli ultimi neoplatonici e positivisti, alla cultura piemontese. Citerò tra tutti gli altri cenni un mio articolo sul Cattaneo, pubblicato nell’Ordine nuovo del 17 agosto e rifatto poi nel Mondo in cui riferendomi al Gentile scrivevo: "Oh, inesauribile ingenuità di chi volle ricordare per il Cattaneo le comtiane categorie sociologiche! certi errori di psicologia sono più compromettenti delle angustie concettuali". E chiarivo in quel saggio la mia posizione di metodologia filosofica così: "Se la filosofia è storia, perché la filosofia? E' la domanda con cui gli immanentisti hanno liquidata la trascendenza: se il mondo è Dio, perché Dio? Perché il sistema quando crediamo solo più al problema? Se la filosofia s'identifica con la storia non c'è più filosofia fuor dallo svolgimento e della risoluzione dei problemi dell'esperienza attuale. Solo questa osservazione dà ragione della varietà dei sistemi filosofici attraverso i tempi; ed escludendo la dommaticità metafisica riduce il sistema al suo valore d'esperienza. Sostenere questa posizione senza ricadere nello scetticismo o in una nuova metafisica d'identità: ecco a parer nostro, il problema che la nuova speculazione si deve affacciare". Concludendo resta provato che mentre ho avuto sempre diffidenza verso il settarismo dei gentiliani non ho mai riconosciuto in G. che un discepolo di Spaventa che ha i suoi meriti verso la cultura, principalissimo quello di aver contribuito a diffondere e a semplificare la logica hegeliana e di avere cominciata la battaglia contro lo schematismo pedagogico senza per altro riuscire ad evitare un nuovo schematismo. Per le qualità dell'uomo professo ancor oggi ammirazione sebbene non mi nasconda che certi abiti professorali minaccino continuamente l'etica e la biografia. Insomma ammiro l'intolleranza e odio il settarismo.
PIERO GOBETTI
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