VIAGGIO IN ITALIA

Il lago di Scanno.

    Scanno, 22 Settembre.

    Il laghetto di Scanno aveva per l'addietro certi pesciatelli bastardi, di sapore un pò fangoso: ma insomma, la gente di Scanno, di Villalago, di Frattura se ne contentava, e come!

    L'anno scorso, la stazione di Piscicoltura dipendente dal Ministero di Agricoltura, si accorse dell'esistenza di questo lago e di quei pesciatelli: e decise di fare felici gli abitanti dì Scanno, di Villalago e di Frattura. Fece dunque immettere nel lago, a due riprese, avanotti di anguilla e avanotti di trota.

    Gli avanotti di anguilla sono voracissimi, e mangiarono immediatamente gli avanotti di tutti gli altri pesci: poi si mangiarono fra loro, e anguille non se ne videro. Gli avanotti di trota, immersi dopo, scamparono allo sterminio, e crescevano bene: ma il lago di Scanno, ogni tanto, va soggetto a piene torrentizie, e l'acqua diventa torbida. Queste cose, la Stazione di Piscicoltura non le sapeva: perciò gli avanotti di trota, che non possono vivere nelle acque torbide, alla prima piena morirono: e il Lago di Scanno è ora senza pesci.

    La giovane donna che ci racconta questa sciagura del suo paese non aggiunge nessuna deplorazione. Sotto la tocque nera, segno di lutto, il suo viso ossuto è immobile, le labbra sottili serrate; solo gli ori dei pendagli si muovono un poco. La depopolazione del lago, per questa donna di Scanno, rientra evidentemente nelle funzioni normali del governo.

    Ma siccome s'avvede che un ragioniere milanese fissa con intenzione il suo collo nudo, sopra il pizzo bianco della gorgierina, gli pianta addosso gli occhi grigi e severi, poi si alza e se ne va.

    (Caro il mio finto italiano, il tuo concittadino Manzoni non fu mai italiano così vero, come quando scrisse i suoi due versi più belli:

    "Consacra delle spose il verecondo amor").

    Il ragioniere milanese, a proposito di quello che ha udito, si diffonde sui funesti effetti dell'ingerenza statale nel lago di Scanno, e ne deduce la necessità di un governo che restituisca "tanti servizi pubblici" all'iniziativa privata che "capisce" queste cose. Egli non sospetta nemmeno di essere un villanaccio zappaterra in confronto di quella terrazzana dell'inclito borgo murato di Scanno, da lui offesa.





Frattura.

    Frattura è un paese.

    Un paese vicino a Scanno, a destra del Sagittario. Di fronte c'è Villalago. Un paese come ce ne son tanti, in questa Italia, tanti, che molti italiani hanno perfino perduto la nozione della loro terribilità.

    Perché Frattura è terribile. Il suo monte non è soltanto arido, le sue lavine non sono soltanto bruciate dal sole. Questo è il trionfo delle pietre, è l'apoteosi della roccia adusta, è la cava di tutti i sassi del mondo: si cerca un po' di terriccio, non si trova, non c'è. Qui si ha sete di un po' di verde: tutta questa petraia prende alla gola. Le case di Frattura paiono detriti, ciottolame ammucchiato bizzarramente in vetta: oppure una fioritura, una scagliosità lebbrosa del monte. Ma superato il primo spavento, a guardarle di sotto, dalla riva del Sagittario, mentre il sole del tramonto ci batte - ancora! - e a pensar che son case, che dentro vi nascono uomini, ci sentiamo più ossuti e più asciutti, ci liberiamo da tutto il colaticcio verdognolo e ammuffito che ci si è ammucchiato in cuore nelle città del nord fasciate di nebbia, dinanzi alle cattedrali trasudanti umori dalle umide connessure sotto un cielo piovoso, sopra una terra grassa. Ci ritroviamo sempre figli di questi sassi, e ci voltiamo a cercare il sole crudele e caro. Eccolo al disopra del monte opposto, oltre le riquadrature pietrose che si profilano dalla vetta sul cielo. Anche lassù son case di uomini, le case di Villalago, affocate e bruciate anch'esse: più alte, più grandi, più tragiche della merlata oscura che corona le torri crematorie dei Parsi, sopra cui il fedele cerca e vede lo splendore della fiamma sacra.

Le energie meridionali.

    Opi, 26 settembre.

    Il Parco Nazionale degli Abruzzi diventa una ossessione, qui nell'alta valle del Sangro. Hanno pitturato le tre parole fatidiche su tutti i rocciosi della provinciale, l'hanno dipinte a lettere rosse sotto la rocca di Pescasseroli, hanno già scolpito una specie di lapide commemorativa sopra la fontana di Santa Venera, sempre a Pescasseroli.

    Il segretario di questo comune, a una precisa domanda in proposito, si fermò di botto, e alzandosi sulla punta dei piedi, disse scandendo le sillabe

    "Il Par-co na-zio-na-le di A-bruz-zo è la fau-na e la flo-ra".

    Precisa risposta, di cui posso citare i testimoni.

    L'on. Sipari, cugino di Benedetto Croce, fu meno sibillino. Egli ci spiegò che si tratta di un consorzio fra nove comuni abruzzesi, i nove comuni abruzzesi che sui monti dell'alto Sangro, abbiano ancora un po' di boschi al sole. Scopo: una condotta forestale qui in Pescasseroli per sorvegliare meglio questo residuo di boschi, e, se fosse possibile, per infrenare le battute di caccia grossa che (dopo la "magnanima" rinuncia del re alla riserva di caccia, e la conseguente non magnanima abolizione dei guardacaccia) minacciano di sterminare fin l'ultimo orso delle boscaglie del Marsicano e del Monte Amaro.

    Insomma, ora basta: andiamo a vederlo, questo Parco Nazionale.

    Con l'automobile si giunge a un certo punto della strada, in cui un ponticello sul Sangro conduce a una costruzione. Sopra il ponticello un festone porta ancora la scritta: "Ingresso al Parco Nazionale d'Abruzzo". La costruzione è una segheria a vapore. Il proprietario della segheria, Commendatore C., è un bel milanese, con una faccia e una dentatura da papparsene dieci, di parchi nazionali di Abruzzo. Il commendatore è concessionario per lo sfruttamento –razionale, razionale, s'intende! - del Parco e lo sfrutta di buona lena, a quel che si vede. Centinaia di tronchi di faggio sono qui, attorno alla Segheria: e dentro, non si sente altro che il lamento del legno sotto l'acciaio: buon acciaio lombardo su legno abruzzese.

     - Commendatore, e il Parco dov'è?

    Il commendatore, con un ampio gesto, segna i vicini contrafforti del Monte Amaro: faggete e abetaie.

     - Ci si potrebbe andare con la décauville, che ci serve per il trasporto del legname. Come pure avrei organizzato in loro onore una battuta di caccia: ci sono ancora gli orsi, sicuro: anzi, ne abbattei uno io pochi giorni fa.

    Il Commendatore ride, e poi si affretta a farci da guida fra gli impianti della sua segheria.

    Siamo venuti per vedere un Parco Nazionale, "la fauna e la flora", come dice il segretario di Pescasseroli, e invece ci si mostra con orgoglio il macello della flora e le spoglie della fauna.

    E il Parco?

    Ne chiediamo a un vecchio barbuto, coi calzerotti, che ci guarda con malizia.

     – Il Parco è là.

    Anche lui segna verso i monti.

     – Ma, dopo che hanno tagliati di questi faggi così grossi, ne crescono degli altri?

     – Eh, signore, questi alberi sono vecchi quanto lo munnu! Mai, mai i figli nostri ne vedranno di grassi uguali! Bisognerebbe aspettare che passassero tanti anni, come dal principio dello munnu!

     - Ma chi segna a questo commendatore i fusti da abbattere?

     - Li segna la guardia.





    E allora, se il commendatore dà uno scudo alla guardia, la guardia segnerà di più, e segnerà i più belli?

     - Eh, signorino, quante domande! Il lupo sta nellu boscu ! Quante domande, quante domande! Il lupo fa il suo mestiere!

    E il vecchio coi calzerotti ride anche lui, proprio come il commendatore. Ridono tutti: ride il parroco di Opi, rappresentante di uno dei comuni proprietari: ride il segretario della "fauna e della flora". Si capisce a colpo che i canzonati siamo noi, venuti per questo empiastro del Parco, mentre qui tutti quelli che ridono sono d'accordo, d'accordissimo per abbattere questi ultimi boschi di Abruzzo, e papparsi quei pochi quattrini. Il commendatore è cortesissimo ci offre vermouth e gallettine. Poi fa i1 brindisi. Con un bello accento ambrosiano, egli parla delle ricchezze, delle energie sterminate di queste terre di Abruzzo, che attendono solo la valorizzazione audace del capitale settentrionale; parla dei sacrifici della sua ditta, per impiantare qui stabilimenti meccanici, come questa segheria, destinata a sfruttare razionalmente le immense riserve del Parco Nazionale; infine leva il bicchiere all'avvenire dell'Abruzzo, che, continuando così, sarà splendido non solo dal lato agricolo, ma anche dal lato industriale: perché qui – conclude il commendatore con un gesto radicale – "gh'e tutt da fer", c'è tutto da fare.

    Gli abruzzesi applaudono, i settentrionali applaudono, e voialtri, povere estreme faggete d'Abruzzo, poveri malinconici orsi, "fauna e flora", siete bell'e fregati.

GIOVANNI ANSALDO.