LIBERALISMO E DEMOCRAZIA
Il Liberalismo.Il liberalismo ebbe sapienti teorici e politici insigni e il liberalismo italiano, in particolare, vanta, come Capo sempre presente e immortale un genio che, pur essendosi preparato su la dottrina e l'esperienza inglesi, creò una dottrina e una esperienza italiane, delle quali noi italiani possiamo andare superbi. Egli fu liberale per temperamento, prima che per ragionamento. Il liberale è un essere insofferente di ogni tirannide, avverso a cricche e a sette, rispettoso di sé e di altrui e devoto alla sua patria. Cittadino di uno Stato che vuole giusto e forte, vincolato e protetto a un tempo da leggi, che vuole poche, chiare e salde, egli ama di muoversi a suo agio, di scegliersi il domicilio, la professione e l'occupazione che più gli piacciono, di commerciare con chi gli aggrada. Intende di collaborare al governo della cosa pubblica mediante rappresentanti da lui liberamente scelti, e desidera di pensare con la propria testa e di esprimere apertamente il suo pensiero; di riunirsi e associarsi con le persone che più gli garbano. Il liberalismo è il sistema sociale che consente il massimo di movimenti, - e quindi concede il massimo di dignità di gioia e di ricchezza – agli individui e però alla società. Nel sistema sociale conosciuto sotto il nome di liberalismo vi è un continuo rinnovarsi delle classi dirigenti, che emergono dal popolo per incessante selezione attraverso sforzi ed errori, cadute e trionfi. Così potentemente opera la selezione, che il più umile figlio del popolo può diventare, e diventa, grande industriale, professore di università, ministro; e se si risale di una o due generazioni, si vede che i nove decimi degli uomini che i un determinato istante comandano vengono da genitori e nonni che obbedivano. Il Socialismo.Il preciso opposto del liberalismo è il socialismo e bisogna dirlo senza infingimenti. L'uno esalta, l'altro deprime ; l'uno spinge all'emulazione, l'altro predica l'invidia e il rancore, l'uno vuol far salire in alto i più degni ed i meglio capaci, l'altro vuol livellare abbassando. Il liberale, garantito un minimo d'istruzione e d'aiuto a tutti, lascia poi che ognuno scelga la sua strada e proceda con le sue forze, e il liberalismo quindi affina il senso di responsabilità. Il socialista, invece, vuole tutto minutamente regolare e disciplinare; di ogni produttore fa un omino da mettere sotto la sorveglianza di un burocrate, cosicché togliendo ai produttori lo stimolo a produrre, e moltiplicando i sorveglianti che non producono, genera l'uguaglianza nella miseria. Che il socialista sia il nemico inconciliabile del liberale, molti saranno disposti ad ammettere, qualora per socialista s'intenda il comunista, (1) ma più d'uno non si sentirà di condannare il socialista riformista. Da noi i socialisti riformisti hanno goduto e forse ancora godono molte simpatie, perché si riteneva che ci potessero salvare dalla rivoluzione, e perché si ritiene che qualche cosa del loro programma sia attuabile e giovi all'elevazione del popolo. Quanto alla rivoluzione disinganniamoci. Alla rivoluzione bolscevica i socialisti riformisti non avrebbero osato opporsi, poiché essi partecipano molto dalla natura del mollusco. Se la rivoluzione si fosse potuta condurre a termine i riformisti l'avrebbero approvata e sfruttata. E a rivoluzione fallita abbiamo visto il mollusco più letterato della compagnia salire sul pulpito e lo abbiamo udito raccontarci, con uno stile lambiccato, come ugualmente la tentata e mancata rivoluzione fosse una rivoluzione legalitaria. Quanto alle riforme, dobbiamo pure disingannarci. Ficchiamo lo sguardo dietro i panoramici programmi di rigenerazione sociale, che ci vengono periodicamente sciorinati davanti agli occhi, ed ecco quali melanconiche scoperte ci aspetteranno. 1.0 - Il primo immancabile effetto di una qualsivoglia riforma sociale è la creazione di un ufficio governativo, o per lo meno comunale. Gli uffici pubblici hanno questa specialità, che mentre vengono attuando la giustizia sociale sul nostro pianeta, procurano un pane e un companatico a nuovi impiegati. Così i compagni, o i loro figliuoli, o magari le loro figliuole hanno modo di mettersi in pianta stabile a servizio della collettività. Così gradatamente cresce il numero dei locali da appigionare, degli stipendi da pagare, dei mobili ed oggetti di cancelleria da comperare, e sempre più si gonfia quel terribile conto che s'intitola "burocrazia". Come tante pustole si propagano gli uffici sullo sventurato corpo della Nazione: uffici locali e uffici centrali, coronati da nuove direzioni generali, e, quando è possibile, da nuovi ministeri con annessi gabinetti e sottogabinetti. Che cosa non è capace di inventare il riformismo per alimentare la burocrazia, Dio solo lo sa. 2.0 - Aggiungete una numerosa burocrazia operaia: capi e sottocapi e segretari di leghe, sindacati, confederazioni, camere, circoli e circoletti: e in genere tutte le persone che recano scritto sul loro biglietto di visita la parola "organizzatore". Questa burocrazia odia il duro lavoro, ama invece viaggiare in lungo e in largo l'Italia, sedere sulle soffici poltrone dei ministeri, discutere a tu per tu coi ministri, concedere interviste ai giornalisti e ordire scioperi. Essa vuole vivere comodamente, e poiché nulla produce, il suo mantenimento, sotto qualunque forma pagato, e da chiunque anticipata, finisce col ricadere come un peso morto sulle spalle della nazione. 3.0 - Ma se i burocrati socialisti degli enti pubblici e delle organizzazioni di classe si limitassero a farsi pagare senza produrre, la loro presenza costituirebbe soltanto un mezzo malanno. Senonché essi hanno come compito specifico d'impedire e ritardare il lavoro altrui e di confiscare o falcidiare il risparmio altrui, e così facendo rendono il malanno completo. Essi mirano a ridurre progressivamente la durata del lavoro nei modi più assurdi - non pure nell'officina, ma sui campi, sui treni, sulle navi - essi costringono con i più futili pretesti i lavoratori a scioperare, essi gridano abbasso il capitalismo e vogliono imposte dissanguatrici e costringono gli uomini d'affari a recarsi tutti i momenti a Roma ed a perdere tempo e a dissipare energia nervosa. Sciami di ispettori, di assicuratori, di colonizzatori v'invadono la fabbrica o l'azienda rurale, e se li lasciate fare s'intromettono anche in casa, e scivolano fin tra le marmitte della cucina, obbligando la vostra signora o la vostra cuoca a riempire moduli e applicare marche da bollo, infastidendovi e angariandovi senza pietà. 4.0 - Il riformista vuole continuamente imbastire opere pubbliche per dar da vivere ai disoccupati. In altre parole egli richiede sempre nuovi milioni di lire per alimentare manovali che fanno i cosiddetti "movimenti di terra", o drizzano argini che verranno poi abbattuti, o sostituiscono paracarri prismatici a paracarri cilindrici e viceversa. Ma per far venire fuori i milioni di lire occorrenti alle opere pubbliche affrettate, bisogna sottrarli, mediante imposte, da impieghi più produttivi; sicché in ultima analisi si diminuisce il reddito nazionale e si crea nuova disoccupazione. 5.0 - Un'altra idea fissa del riformista, consiste nel voler incoraggiare le cooperative. Cominciata come un movimento di riscossa contro i troppi intermediari, la cooperazione è divenuta una bassa speculazione politica, mirante a estorcere privilegi tributari, e favori, e regali non facilmente riconoscibili dai profani, e non vi è manipolo di gente furba che non si stringa in cooperativa, e non si metta ad assaltare, con bandiera rossa o bianca o tricolore, il pubblico erario. Nessuno riuscirà mai a incontrare, sotto il nostro bel cielo, una cooperativa, che sia capace di vincere, con le sole sue forze, la concorrenza di un'impresa non cooperativa. Quando dunque si è ben esplorato il retroscena riformistico, e sono cadute le illusioni degli uomini di molta fede, si deve convenire che il riformismo è per 1'Italia un pericolo mortale, se pure a lunga scadenza. Il bolscevismo avrebbe schiacciato in brevissimo tempo la nazione, ma il riformismo, irradiato in tutte le direzioni, e spinto a tutte le sue applicazioni, ed esteso a tutto il paese, se lo succhierebbe sorso a sorso, lasciando al suo posto una vuota carcassa. La Democrazia.Sembrerà che io abbia divagato intrattenendomi sul socialismo, ed invece sono al centro della questione. Che cosa deve intendersi per democrazia. Se democrazia significa soltanto governo eletto dal popolo allora si che ogni liberale è democratico. Nei governi rappresentativi a largo suffragio si può dire che la parte più preparata o meno impreparata del popolo concorre alla scelta dei governanti: e non v'è liberale che si proponga di togliere il voto a quelli che l'hanno, o che si rifiuti di estenderlo gradatamente a quelli che lo meriteranno. (2) Ma vi è nel cuore del democratico un ossequio alla folla, un'ammirazione pel numero, un'aspirazione all'uguaglianza di fatto, oltre che di diritto, fra gli uomini; i quali sentimenti fanno si che in molti problemi il liberale e il democratico non potranno andare d'accordo. Il democratico è pacifista, umanitario, reazionario, riformatore. Egli ammetterà la guerra ma a patto che sia l'ultima guerra combattuta dall'umanità, e che giovi non al proprio paese, ma alla libertà, alla giustizia, alla democrazia. Egli ama la patria, ma è sempre pronto a denunziarne i segreti disegni di espansione e di conquista, a tutto profitto dell'espansione e della conquista altrui. Egli può anche essere religioso, ma amerebbe molto che la religione fosse un corpo di dottrine predicate da un prete laico, in nome del grande Architetto dell'Universo. Egli può rendere lealmente ossequio alla Monarchia, ma dentro dentro sente una nostalgia per la repubblica: forma ideale di Governo che, attraverso il magistero delle elezioni, riesce infallibilmente a scovare e porre a capo dello Stato il miglior cittadino della nazione, mentre la monarchia ereditaria urta contro la dichiarazione dei diritti dell'uomo. Egli è sinceramente amico dei derelitti e dei poveri, ma crede che il più sicuro modo di rialzarne le sorti consista nel far votare riforme sociali dal Parlamento, e di nominare nuovi impiegati che le attuino; egli plasma la società a colpi di leggi e regolamenti. Se poi abbandoniamo il candido e puro democratico il rispettabile campione della sana democrazia, e ci avviciniamo al politicante democratico, - che molti di noi, negli ultimi anni, ebbero campo di vedere all'opera - allora il giudizio peggiora. La democrazia dei politicanti io me la raffiguro come un corpo a due teste, che si volgono a due pubblici opposti. Le due fasce della democrazia sembrano indipendenti: l'una sorride alla Reggia, l'altra alla piazza; l'una difende le istituzioni l'altra grida ai nemici dello Stato: "Lo Stato è la casa di tutti". Le labbra di destra esclamano "l'esercito deve tutelar l'ordine", ma le labbra di sinistra mormorano: "il popolo è sovrano e deve poter disselciare le strade per tirare i ciottoli sui soldati immobili". Una bocca ammonisce,"salviamo il bilancio", l'altra sussurra: "sussidiamo le cooperative e sistemiamo i buoni elettori". La faccia numero uno guarda con compiacimento un cartellone su cui è scritto: "lavorare e risparmiare". Contemporaneamente la faccia numero due chiude gli occhi a saccheggi e invasioni, e, riapertili, ordina ai tesorieri dello Stato di pagare lo stipendio ai ferrovieri scioperanti. Il politicante democratico è sempre disposto ad adular la folla, è sempre pronto a conciliare e capitolare, e scendendo di scalino in scalino annulla le gerarchie, e inebriandosi del plauso delle moltitudini allontana la soluzione dei problemi scabrosi e prepara il fallimento dello Stato. Ecco dunque perché il liberale deve diffidare del politicante democratico e dei programmi suoi, imprecisi, equivoci, adattabili: perché il democratico gli tende continuamente il tranello di allearlo coi socialisti, ossia di snaturarlo ed annullarlo. Esempi di governi democratici.Se questa conclusione sembrasse a taluno esagerata, io lo pregherei di ripercorrere con me le vie degli ultimi anni e sono sicuro che mi darà ragione, poiché i fatti purtroppo lo confermano. Durante il periodo più vergognoso della sua storia 1'Italia ebbe a capo del governo un uomo, che si vantava di essere la quintessenza della democrazia (3). Chiamo vergognoso quel periodo in cui 1'Italia dopo avere, col valore delle sue armi, annientato un impero famoso nei secoli, si ripiegò su sé stessa, si mortificò e rinnegò la vittoria. E ben triste fu la mattina del quattro novembre 1919, quando le bandiere tricolori non poterono affacciarsi sui pubblici edifici, e drappelli delle milizie vittoriose non poterono schierarsi avanti all'altare della patria perché il capo del Governo aveva provveduto a impedirlo. Chiamo vergognoso quel periodo in cui gli araldi, e artefici della vittoria, anziché esser additati alla riconoscenza della nazione, venivano rincorsi e malmenati sulle piazze e sulle strade, e più erano degni di ammirazione, più avevano fregiato il petto di medaglie, più recavano palesi i segni delle sofferte ferite e mutilazioni più erano perseguitati dalla plebaglia, pugnalati nella schiena o spogliati e gettati nudi nei navigli. Il Governo democratico, per tutto rimedio, esortava gli ufficiali a vestire in borghese. Chiamo vergognoso quel periodo in cui i treni venivano perlustrati nelle stazioni e non partivano se prima ufficiali o carabinieri o guardie, o altri viaggiatori rei d'indossare una divisa non discendevano. Il doppio obbrobrio – di un servizio pubblico abbandonato a facinorosi, e di agenti dell'ordine e rappresentanti della forza armata dello Stato impunemente offesi – non solo era tollerato dal Governo democratico, ma aggravato dal segreto rimprovero che il Governo medesimo faceva pervenire ai pochi ferrovieri capaci di manifestare agli impudenti colleghi il proprio disgusto. L'autorità dello Stato non fu mai più vilipesa di allora, ma l'on. Nitti con roseo e sorridente volto badava a concedere interviste e far discorsi in Parlamento celebrando l'Italia come la terra classica e privilegiata della democrazia. "L'Italia è una grande democrazia" egli soleva ripetere; e dileggiava l'orticaria nazionalista e chiamava disertori non i disertori veri da lui amnistiati, ma gli animosi che occupavano Fiume; e si beava perché la democratica Italia fosse così palesemente avversa a quello che egli chiamava "militarismo". Succeduto a Nitti, Giolitti si ottenne per taluni versi un miglioramento. Così esoso fu lo sgoverno di Nitti da rendere tollerabile persino il ritorno di Giolitti. Ma anche il risuscitato nume democratico Giovanni Giolitti ebbe le sue gravissime colpe. L'occupazione delle fabbriche fu da lui tollerata e in quell'occasione si risentirono suonare, in Italia e all'estero, le campane a morte sulle sorti del nostro paese. Fu poi celebrata come soprana arte del Governo quella di Giolitti, che lasciò il pericoloso giuoco esaurirsi da sé. Ma se la sapienza di un capo di Governo deve consistere nel contemplare gli avvenimenti dall'alto senza guidarli e lasciando che le difficoltà si vincano per virtù e con il naturale corso degli eventi... ma allora, santo Dio! chi non si sentirà in grado di governare l'Italia? Risale a Giolitti un programma finanziario che è tutto un omaggio ai pregiudizi delle folle e all'odio di classe. La confisca dei sovraprodotti ha generato assurdi e seminato rovine che gridano vendetta. La nominatività dei titoli, si giudichi come si vuole, non si è potuta applicare se non ai titoli bancari e si è aspettato invano un regolamento periodicamente annunziato e smentito. E sì che si tratta di materia delicata in cui l'incertezza si traduce in perpetuo scoraggiamento agli investimenti industriali e in cui il credito dello Stato, attraverso le quotazioni dei suoi titoli, è pure colpito. Questo spettacolo pietoso di uomini di governo perplessi e tremanti, che non seppero applicare una legge approvata, nè muoverne la modificazione suscita disgusto. L'aumento delle imposte successorie fino alla confisca è un altro regalo che dobbiamo alla democrazia di Giolitti. E' stato scoperto che in taluni casi sull'eredità possono accumularsi tante imposte da raggiungere il 103,62 % del suo valore. Quale più efficace dimostrazione dell'ignoranza e faciloneria di ministri e deputati, quale più palese prova del caos che regna nel Parlamento e nella burocrazia? V. Conclusione.Ristabilire l'autorità dello Stato, semplificare le leggi e l'amministrazione, restaurare la pubblica finanza: ecco i tre compiti fondamentali, che tutti gli altri abbracciano. La mano ferma, l'occhio sicuro, l'animo che non trema davanti all'impopolarità non si possono attendere dai democratici, che abbiamo per troppo tempo tollerati. Se l'Italia non è più data per moribonda all'estero, se ancora essa presiede una civiltà, non lo deve certo ai governi democratici, che han consentito indifferentemente saccheggi di negozi e occupazione di fabbriche, invasioni di terra e confische di patrimoni. (4) Umberto Ricci.
Note.(1). - È semplicismo antistorico il condannare così in blocco e allegramente tutto un movimento d'idee e di popolo. Noi siamo anche più intransigenti del Ricci nel combattere il socialismo riformista benché non ci nascondiamo le ragioni storiche che lo giustificarono in un'Italia immatura in cui Umberto Ricci dovrebbe sapere che il riformismo - come io altrove dimostrai - è stato insegnato a Turati e a Treves dalla sinistra piemontese stessa a partire dal Berti e dal Gioberti. Ma il socialismo è qualcosa di più: è il simbolo in nome del quale combatte da anni innumerevoli il popolo per la sua redenzione; è la più attiva delle idee che abbiano operato nella realtà, come impulso all’autonomia, è uno dei più grandi fattori di liberazione e di liberalismo nel mondo moderno.
(2). - Considerare il voto politico come un diritto che include un dovere è l'idea più allegramente antiliberale e teocratica che si possa fantasticare. Il voto è una premessa, una pregiudiziale necessaria della personalità: è una condizione oggettiva da cui ogni considerazione di bene o di male viene esclusa. Non si tratta di diritto al voto: votando si compie una funzione che vorrei dire fisiologica (almeno nel senso in cui è anche un fatto fisiologico il pensare): si potrà discorrere poi dei risultati, ma in nessun modo mettere in discussione gli antecedenti necessari, come sarebbe ridicolo fantasticare di togliere il diritto al pensiero a chi pensa male. Votar male (pensar male) per il fatto stesso che si vota (si pensa) è già un bene. Il voto anche per chi non sia un fanatico dell'illuminismo è veramente l'atto fisico di nascita della persona politica.
(3). - Il nittismo e l'antinittismo degli italiani è stata una delle prove massime di incapacità politica. Sarebbe desolante non far sentire finalmente una parola equa e spregiudicata. Nitti non è un grande politico per due opposte ragioni: per sue deficienze di diplomatico e di pensatore e per certe sue qualità troppo superiori per diventare popolari in Italia. Non è un grande politico un uomo che cede così vilmente di fronte al fascismo. Tuttavia Nitti è, con tutti i suoi difetti, il politico più intelligente che abbia avuto l'Italia dopo Vittorio Veneto, e Giolitti e Mussolini quando non hanno fatto spropositi sono stati semplicemente suoi modesti discepoli. Gli è mancata la continuità del grande statista, ma non si è davvero fermato all’ideologia, anzi i problemi che ha visti ha impostato e avviato a soluzioni, non abbandonate neanche dopo che egli cadde. Gli è mancato uno stile (certe finezze morali, certe astuzie di elegante serenità, di disinteresse nella scelta degli uomini), ma chi vorrà parlare di stile politico in un paese in cui si ammette che gli statisti giuochino come i bambini ad imitare Napoleone!
Ha avuto il coraggio di prendere di fronte a D'Annunzio una posizione antipatica, che però ci ha salvato all'estero e alla quale solo devesi in sostanza se Fiume è rimasta italiana; è stato il primo a impostare la politica estera del dopoguerra e a riparare le malefatte di Orlando e di Sonnino; ha superato la crisi più difficile di politica interna che mai l'Italia abbia attraversato dopo il '49; è stato singolarmente cauto nella politica finanziaria. Gli potremmo rivolgere una critica decisiva: di aver aiutato la corruzione del movimento operaio, di aver impedito la rivoluzione (del resto egli lavorava col materiale che gli si offriva): ma chi dei conservatori appoggerebbe la nostra obbiezione? Essi dovrebbero anzi nutrire della gratitudine. Solo dal punto di vista della Rivoluzione liberale è possibile una critica aspra a Nitti: per gli altri, se appena riflettono, Nitti è un maestro di vita. (4). - Noi possiamo accettare volentieri vari argomenti che U. Ricci espone, ma siamo direttamente agli antipodi in quelli che egli tace. Basterà denunciare i due equivoci più pericolosi del suo discorso. Il suo liberalismo anzitutto è troppo astrattamente liberismo, è un principio economico, non un'attività politica, è corroso intimamente da residui di utilitarismo addirittura patriarcale. I riferimenti poi più determinatamente politici sono tutti tendenziosi: Umberto Ricci condivide rispetto al fascismo la illusione di certi liberisti e a temperare il suo puritano ottimismo non basta neanche l'evidente constatazione del ritmo riformista e della politica parassitaria che il nuovo governo sta proseguendo.
PIERO GOBETTI.
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