Il caso Missiroli
visto da un meridionalista

    Il recente passaggio di Mario Missiroli e la giustificazione che egli ne ha data sull'Epoca ci suggeriscono alcune considerazioni che vanno ben oltre il fatto personale della "conversione" e tuttavia non pretendono asfissiarsi nell'aria rarefatta in cui si agitano le idee madri del sistema storico e filosofico missiroliano. Quella non ci sorprende, anche se ci addolora; queste sono fuori discussione per quel che noi vogliamo constatare. E ci consenta il benevolo lettore di aver anche noi l'"idea fissa"; di dare ancora noi un giro al torchio del nostro "meridionalismo".

    Nell'opera del Missiroli, accanto alle acute pagine di filosofia e di ricostruzione storica, ve ne sono alcune di intonazione politica ampia e profonda, che aprono al lettore orizzonti nuovi e prospettano i problemi e i doveri più urgenti e severi. Altre infine ve ne sono, tutte pervase da un fremito di umana passione e illuminate da una nobile visione di plebi redente, quelle cioè in cui egli esamina la situazione sociale della Valle Padana. Ovunque senti fremere un'alta coscienza che vede ogni questione dal punto di vista dell'interesse, della salvezza o della grandezza nazionale.

    Ma oltre a ciò, in noi del Sud, lo studio degli scritti, la meditazione sul pensiero di Missiroli e sulla sua azione, lasciano un senso di vuoto, di delusione, di tristezza.





    Non vi è tra tante pagine e tante idee e problemi dibattuti un accenno al Mezzogiorno, alla nostra questione: il nome del Sud, talvolta ricordato, ci faceva aspettare che lo scrittore vi si fermasse e dicesse il suo parere... Mai! Eppure - pensavamo tra noi - eppure il problema meridionale, che tanti nobili spiriti ha appassionato e ha occupato esso solo tutta la vita e tutta l'attività di pensiero e di azione di un'anima austera e nobilmente disperata come quella di G. Fortunato, avrebbe potuto e dovuto attrarre l'attenzione di uno spirito ascetico, gravato dal pessimismo più vario e complesso, come quello di M. Missiroli, quasi per un'affinità elettiva tra realtà quasi fatalmente infelici ed anime desolate! Il nostro problema, inquadrato nella sua visione politica, gli avrebbe evitato errori e precipitose speranze, come anche gli avrebbe potuto protestare e giustificare con maggiore ed esauriente pienezza, l'ultima recente rinunzia ad ogni sogno di modernità italiana.

    Comunque ciò si spieghi e stia e valga, veniamo al nostro assunto che è quello di dimostrare, attraverso e seguendo passo passo la missiroliana metempsicosi delle funzioni politiche da un partito all'altro, che il fallimento coi socialisti prima e la trasmigrazione nel fascismo dopo della tesi collaborazionista, hanno uno stretto particolare rapporto con la questione meridionale, rapporto che per il suaccennato difetto del pensiero missiroliano non è stato né è calcolato e non ha determinato quindi, né determina alcuna reazione o modificazione sulla tesi stessa, come avrebbe dovuto.

    Nel nuovo atto di fede, Missiroli ripete le promesse del suo vecchio sogno collaborazionista e lo dichiara attuato dal fascismo al potere:





    "Vent'anni di organizzazione operaia e di propaganda socialista, di ascensione materiale e morale delle classi lavoratrici; l'esperienza della guerra e le trasformazioni economiche del dopoguerra avevano talmente elevato alcuni ceti popolari, che questi non potevano più restare contenuti e chiusi nel vecchio sistema socialista, che, nell'assurda preoccupazione di voler mantenere, ad ogni costo, una unità sindacale, che aveva, oramai, unicamente un valore elettorale, non si accorgeva di opporsi alle improrogabili esigenze del dopoguerra. Queste preoccupazioni paralizzarono i socialisti, che rifiutarono il potere (per non dividere il partito, il partito fine a se stesso!) e condussero alla catastrofe la Confederazione del Lavoro (alla quale Mussolini aveva offerto una tavola di salvezza) ostinata - quale responsabilità! - a tenere stretti in un medesimo organismo classi e categorie divenute, ormai, diversissime. Ciò spiega l'intesa debole del socialismo riformista più ancora di quello massimalista e proprio in quelle zone (nella Valle Padana, ad es.) nelle quali esso era più forte, così forte, da parere assoluto dominatore. Il fenomeno che parve inesplicabile, è di una chiarezza lampante. In quelle zone il socialismo, avendo conseguito la massima efficienza, aveva, in pari tempo, esaurito la sua funzione storica: proprio in quelle zone, prima e meglio che altrove, si erano espressi o quei nuovi ceti medi, piccoli borghesi, che col socialismo non avevano più nulla in comune, tranne la fede di nascita. Il partito socialista, non seppe e non volle, o non poté, accompagnarli nella loro ulteriore ascensione. Ed essi passarono in massa al fascismo, che, come avvento di gente nuova e di classi nuove, li portò alla conquista dello Stato e ne interpretò la nuova posizione sociale. Abbiamo assistito al nascere di un nuovo patriottismo sul medesimo terreno degli spostamenti di classe, come dimostrò in modo definitivo Mussolini nel celebre articolo su il Fascismo e i rurali. Indubbiamente Mussolini coronava, con tale opera, vent'anni di azione socialista, in quanto interpretava, storicamente, e cioè, nelle loro conseguenze, vent'anni di trasformazioni politiche e sociali, dovute all'azione socialista ed alle ripercussioni della guerra".





    Una osservazione si può subito opporre ed è che, se la nuova piccola borghesia rurale era sorta per l'opera trentennale del socialismo nel Settentrione, non era accaduto altrettanto nel Sud in cui Missiroli dovrebbe sapere che la propaganda socialista non poteva svolgersi e non si svolse per l'ostilità governativa, ma anche perché paralizzata dai compromessi settentrionali socialistici col Governo e dalle esorbitanti pretese delle maestranze operaie impiegate nell'agricoltura e nelle industrie protette, vampiri dell'erario pubblico. Gli è che Missiroli per quanto riguarda i problemi sociali si è sempre ed esclusivamente occupato della bassa Valle Padana e inavvertitamente ha esteso a tutta l'Italia il fenomeno della formazione accelerata di tali nuovi medi ceti e ha elevato a chiave di volta di tutta la più recente storia italiana la loro volontà di tradurre, e il tradurre effettivo in potere politico la conquistata maturità economica.

    "Conquistata maturità economica", abbiamo sentito dire e ripetere; ma di tutt'altra cosa invece si tratta e che bisogna far capire a tutti!

    Non conquista, non maturità economica; certamente. E noi dimostreremo ciò (e sarà sufficiente) solo per la zona sopra citata in parentesi dal Missiroli a titolo di esempio: per la Valle Padana, cioè e ci serviremo delle sue stesse parole e degli stessi suoi giudizi. Una tal nuova classe avida, esosa, spregiudicata, ignorante, si è formata così:

    "I lavori pubblici escogitati a fine caritativo e di ordine pubblico, costituivano il fondo di guerra delle organizazioni nella lotta contro la proprietà terriera. Si venne creando negli anni precedenti alla guerra una economia artificiale che viveva di favori cooperativi e di appannaggi governativi, in cambio ed in funzione di servizi politici. Fu quello, il periodo aureo del riformismo, contrassegnato dall'alleanza tacita fra il cooperativismo socialista, la bonifica e le grandi imprese dell'industrialismo agricolo protetto" (Rivoluzione Liberale, N. 40, 1924.





    Nell'articolo "Siamo reazionari" (Una battaglia perduta, pag. 298): "Ma chi può chiudere gli occhi davanti alla strabiliante contraddizione di un partito che mentre raccoglie due milioni di voti, manda cento e venti deputati alla Camera, regola migliaia di organizzazioni, che si inseriscono - e come! - nel sistema capitalistico dell'odierno assetto sociale, domandano credito allo Stato e non pochi favori, trattano alla pari con l'alta finanza del Paese, con l'industria, con la burocrazia; si rifiuta di coordinare questa opera frammentaria, assumendo di fronte alla stessa classe lavoratrice, la responsabilità della propria azione?"

    È chiaro, adunque, che la nuova borghesia di ex proletari è diventata tale non per una forza autonoma di ascesa, non per virtù di luteranesimo sociale, ma per tutto il po' po' di salasso dello Stato e di protezione de parte del medesimo. È chiaro anche ed è logico Missiroli quando dice ai socialisti - buoni a tutto meno che alla rivoluzione - di smettere la commedia del continuo ricatto combinato cogli agrari contro lo Stato, e di agire direttamente, in proprio nome, senza la farsa della mediazione.

    Altro che conquista e maturità! Se Missiroli avesse conosciuto o meglio valutato l'attività che allora e poi svolse il Salvemini contro tutte le degenerazioni particolaristiche ed antisocialiste delle oligarchie proletarie del Nord e del loro partito, si sarebbe ben guardato dal presentarle agli italiani come l'unica salvezza dell'Italia tutta e dal suggerire loro un programma antipaternalista, antiplutocratico, antiprotezionista, antiburocratico, anticooperativistico, antiparassitario, ecc., e dall'esortare la vecchia borghesia a cedere e la nuova a succedere.





    Ma avrebbe visto la organica incapacità di questa ultima ad attuare il programma propostogli, solo che avesse tenuti presenti due fatti: 1°) il processo di formazione parassitaria dei nuovi medi ceti, da lui stesso descritto; 2°) la necessità per questi di continuare, dopo la salita al potere, l'alleanza colla vecchia borghesia (come i fatti oggi dimostrano), che l'aveva generata e viziata dei suoi stessi vizi, nell'opera di dissanguamento dello Stato, che, infine, si risolve nell'aggravamento della miseria e dell'abbandono del Mezzogiorno.

    Anche a prescindere, come fa, il Missiroli, dalle gravissime eccezionali ripercussioni di tale alleanza nell'economia rurale del Sud, il danno che ne ricade su tutta la nazione è facilmente immaginabile, dalle parole con le quali il Missiroli stesso descrive la vecchia borghesia, allora ostile alla collaborazione coi socialisti:

    "A quali ceti borghesi si riferiscono, questi sedicenti rappresentanti della borghesia che si rifiutano di dividere il potere col proletariato? Sono, per avventura, i portavoce di quel capitalismo protetto che vive di favori governativi, di corruzione politica e parlamentare e dissangua l'Erario? Si può sapere se, per avventura, sono contro la collaborazione i filibustieri della siderurgia, i ladri dello zucchero, i pirati del mare, i pescicani terrieri, cui lo Stato e gli enti pubblici regalarono i miliardi per bonificare le loro terre, divenute oggetto di scandalose speculazioni di borsa? Si può sapere se sono queste categorie borghesi quelle che si oppongono alla collaborazione? Non sappiamo, ecc., ecc.

    "Questa falsa borghesia ha avvelenato tutta quanta l'economia nazionale che si svolge su un piano che non è di produzione, ma di generale impoverimento; ed ha (ed è qui il suo maggior delitto) rovinato la mentalità della borghesia vera, della borghesia autentica, laboriosa, produttiva e paziente, fatta di professionisti, di piccoli industriali, di commercianti, di agricoltori.





    Eh via! Dunque: si abbia il coraggio di arrivare all'ultima conclusione e si dica che la nuova borghesia valeva l'antica, se non era peggiore, e che quindi conveniva sia all'una che all'altra il connubio ai danni dei terzi.

    Eppure tale lotta era favorevole alla nazione, come aveva tentato di dimostrare il nostro, quando sosteneva che "sarà proprio questa indisciplina delle maestranze che liquiderà quelle industrie parassitarie, che possono vincere solo in virtù di quei trust, che vanno della fabbrica alla banca, veri cancri dalla nazione, che avvelenano le fonti vive e vitali della produzione, impoverendo il proletariato, media e piccola borghesia. E così via. Il paradosso è tentatore... Esattissima intuizione! Ma anche illusoria speranza!".

    Tuttavia se Missiroli, avesse svolto e dimostrato e sostenuto il paradosso con più coerenza e più lungamente, noi lo avremmo tra i liberisti benemeriti della questione meridionale. Ma pur troppo! Altri paradossi e altre contraddizioni pullulanti in germe nelle sue elucubrazioni filosofiche lo hanno tentato e gli han giocato il non infrequente brutto tiro di metterlo anche questa volta contro se stesso.

    Egli teorizzando il fascismo come l'ascesa al potere di quei ceti medi su ricordati e non potendone non constatare ed approvare l'alleanza inevitabile colla vecchia borghesia, ci ha posto in modo ancor più chiaro i termini della rivoluzione liberale degli operai del Nord e delle masse del Sud che deve risolvere il problema della nostra unità.

Homo meridionalis.