OPERAI E INDUSTRIA MODERNA

    Nella introduzione al suo celebre libro sulla "Grande Intrapresa", Gherardo Schulze Gaevernitz si domanda: Quale importanza ha per lo sviluppo della potenza economica d'una nazione il tenore di vita più alto o più basso delle masse?

    Diverse risposte sono state date nel corso della storia a questa domanda; nel progresso economico, nello sviluppo della grande industria si è voluto vedere ora l'elevamento, ora la depressione delle classi salariate.

Si chiedono alti prezzi e bassi salari.

    Una tesi reazionaria è difesa con chiaro e singolare cinismo dagli scrittori della fine del Seicento e del principio del Settecento. Guglielmo Petty in Political Arithmetic (Londra, 1691) afferma che un raccolto abbondante è una disgrazia per il popolo se il Governo non pensa a tener alti i prezzi con imposte sui mezzi di sussistenza; secondo Petty gli operai non pensano più che al mangiare e al bere: soddisfatti nei loro bisogni diventano indolenti. Egli propone pure di inasprire la giornata di lavoro. È curioso notare però come Petty, e con lui sir Guglielmo Temple, ritenesse che tali disposizioni fossero specialmente necessarie per le opposizioni: egli insisteva perché si applicassero in Irlanda! Anche De Witt domandava alte imposte, bassi salari e severità per i poveri per stimolare lo spirito d'invenzione, la laboriosità, la frugalità: è la tesi della prepotente oligarchia olandese.





     Giovanni Houghton in A collection of Letters for the Impovement of Husbandry and Trade (1727) sviluppa la tesi in tutti i particolari. Nulla induce a lavorare tanto quanto il caro prezzo dei viveri, nulla rende più prontamente gli operai servi obbedienti. I ricchi commercianti infatti, la nobiltà terriera, ecc., non lavorano più. I lavoranti in calze e merletti, conquistati alti salari, passano il lunedì, il martedì, qualche volta persino il mercoledì e il giovedì, nelle bettole. L'artigiano che in tre giorni guadagna quanto gli basta per vivere tutta la settimana, non lavorerà più negli altri quattro giorni. Houghton conclude annunciando il nazionalismo economico: il Monarca introduca i premi all'esportazione: con l'eccedenza di produzione ottenuta per la diligenza dei servi si conquistino i mercati stranieri.

    Anche dopo Houghton, per tutto il Settecento, si trovano intervenzionisti arrabbiati che chiedono allo Stato di imporre basse mercedi. Essi fanno l'elogio dell'operaio francese, che produce più dell'inglese benché non mangi carne e non beva vino.

Gli amici degli operai.

    La tesi reazionaria è presentata da spiriti oligarchici con mentalità protezionista e intervenzionista; la tesi opposta si appella al liberismo e alla democrazia. Talvolta però questi scrittori non si sottraggono all'influenza di Roussean e di Mirabeau, si appassionano alla loro tesi e non curano abbastanza di documentarsi scrupolosamente, con un materiale di osservazioni dirette. Gioisia Child (New Discourse of Trade, 1693) osserva che numerosi marinai inglesi passano in Olanda attratti dalle più alte mercedi. Per Vanderlint (1734) e per Postlewhait (1751), l'alto salario stimola l'operaio a una maggiore produzione: essi poi attribuiscono la depressione dell'industria alla miseria delle grande massa dei consumatori. Foster, autore dell'Enquiry into the causes of the present high prices of provision (London, 1767), ha letto Rousseau: l'esperienza psicologica gl'insegna che un uomo il quale quanto più lavori tanto più sia aggravato di imposte finirà per lavorare il meno possibile. La politica reazionaria porta o alla sollevazione o a un generale istupidimento.





    La tesi liberista si trova coi più brillanti argomenti in Giosia Tucker (1774). I paesi ad alti salari sono all'avanguardia nelle produzioni più eccellenti: l'Olanda deve agli alti salari la sua eccellenza nella produzione delle navi; la Scozia, che ha bassi salari, produce il legno, dato in gran parte dalla natura con minimo concorso di opera umana.

    Pagare due scellini e sei pence un operaio abile è più utile che pagare sei pence un operaio incapace. I bassi salari sono il contrassegno di paesi incivili.

La prova delle prove.

    Sviluppando l'osservazione sull'aumento del consumo del Postlervhait, Messance, ricevitore delle tasse, pubblica una statistica (1766) fondata sui dati della tessitura della lana, della seta e del lino, dalla quale risulta che gli anni di caro prezzo dei cereali sono anni di scarsa produzione industriale.

    Appoggiandosi alle osservazioni di Messance, Adamo Smith porta l'argomento più decisivo contro la tesi reazionaria: negli anni cari gli operai saranno forse più docili e tranquilli, ma gli uomini ben nutriti lavorano meglio dei mal nutriti, i sani meglio di coloro che vanno soggetti a frequenti malattie.

Ricardo.

    Contro la tesi di Smith sta il punto di vista di Ricardo. Per lui il salario tende ad adeguarsi al minimo necessario per la sussistenza, determinato dalle mere leggi fisiologiche. La prosperità economica di una nazione dipende dal profitto industriale e perciò dalle basse mercedi. Il capitale deve impiegarsi nei paesi a basse mercedi; nei paesi ad alti salari soltanto nelle imprese che richiedono pochissimo lavoro. Ecco una tesi di attualità per chi sollecita il capitalismo americano a cercare impiego in Italia.





    La teoria di Ricardo forma il fondo della economia catastrofica di Marx ed è accettata integralmente dal socialismo di stato reazionario tedesco (Lavergue-Peguilhen-Wagener-Glasser). Anche gli scrittori cattolici vi si ispirano (Jörg, Ketteler). I reazionari tedeschi s'inducono da questa premessa a chiedere il ritorno all'antico diritto industriale delle corporazioni con la determinazione delle mercedi da parte dello Stato.

    Ossia dall'individualismo di Ricardo si deducono addirittura conseguenze nazionaliste e paternalistiche. Bisogna dunque procedere più cautamente nelle deduzioni e non accettare senza critica le premesse di Ricardo.

Assurdità dello schiavismo.

    La critica a Ricardo è stata condotta a fondo dalla scuola storica e dalla scuola di Manchester. Mac Culloc (Principes of Political Economy, London, 1830, 2ª ed.), Senior (Political Economy, London, 1863, 5ª ed.), Rau e Roscher distinguono tra alte mercedi ed effettivo costo della mano d'opera: in Francia i salari erano più bassi e il costo della mano d'opera è più cara che in Inghilterra. Ciò per la maggiore attività e l'aumentata efficacia del lavoro meglio retribuito.

     Senior e Macaulay si fecero anche difensori di una riduzione delle ore di lavoro. È celebre la dichiarazione di Macaulay contro la lunga giornata di lavoro di alcune fabbriche tedesche che corrispondeva a cattivi risultati della leva negli stessi distretti: "Se noi dovremo mai cedere il primo posto tra i popoli commercianti lo cederemo non ad una razza di nani degenerati, ma a qualche popolo più forte di noi nel corpo e nell'intelletto".

    Tutti gli argomenti che la scienza può opporre alla teoria di Ricardo si trovano in Brentano. Egli ha dato la dimostrazione più brillante del fatto che l'elevamento del tenore di vita degli operai sia come aumento dei salari, sia come diminuzione delle ore di lavoro, è economicamente utile perché si traduce in una maggiore efficacia del lavoro.





    La tesi di Smith e di Brentano è confortata da tutta la storia della grande industria a partire dal secolo scorso. I pratici inglesi e americani la riaffermano. Brassey nel suo lavoro Work and Wages raccoglie le esperienze di suo padre, il più grande costruttore di ferrovie del mondo, dimostrando che gli alti salari dell'Inghilterra non sono un danno economico. Lowthian Bell, industriale del ferro, in Manifacture of Iron and Steel, fa rilevare che mentre i salari settimanali negli alti forni inglesi sono notevolmente più alti che sul continente, ogni tonnellata di ghisa si paga nel Cleveland una somma di salari minore che in Germania. Lo stesso è documentato da Schoenhof per la ghisa americana e dall'Atkinson per l'industria del cotone nel Massachussets. Ford porta in questo senso anche la parola dell'esperienza della industria meccanica.

Confronti.

    Quale valutazione storica si può dare delle due opposte tesi, dell'intervenzionismo schiavista e del liberismo democratizzante? Schulze Gaevernitz le espone con obiettività scientifica e con la sua larga erudizione economica. Sembrerebbe che non sia questione di due diverse opinioni, di due opposti partiti, ma di risultati oggettivi dell'esperienza volti in due contraddittorie direzioni.

    Applicando alla controversia il metodo del materialismo storico diremo che si tratta di due ideologie corrispondenti a due diversi stadi nella storia dell'industria e del progresso tecnico.





    La convinzione che lo sviluppo economico sia in stretta relazione con il progresso tecnico e con il progresso sociale, deriva dall'esperienza della grande industria moderna, che ha portato una rivoluzione negli uomini e nelle abitudini. Sono nati nuovi tipi di lavoratori e di intraprenditori, si è formato un mercato mondiale unico in cui ogni residuo schiavista è destinato a scomparire. Il lavoratore non può più essere trattato come un servo. Dove la grande industria trionfa, in America ed in Inghilterra, non è più lecito discutere su questi risultati.

    Invece dove il capitalismo è alle prime armi, la legge di Ricardo è una legge di ferro, questo ci dice l'esperienza dell'Europa continentale, del Settecento e dell'Ottocento. La Germania dell'Impero è alla mercé degli industriali del ferro, del cotone e del lino, che reclamano diminuzione dei prezzi del cottimo e accusano gli alti salari della difficoltà di esportazione. Le industrie artificiali e parassitarie seguono la loro logica imponendo lo schiavismo.

Conclusione.

    In questa legge del progresso sociale, inesorabilmente connesso con il progresso tecnico ed economico, alcuni economisti hanno cercato l'argomento decisivo contro il pessimismo, in favore del collaborazionismo e della pace sociale. Anche Schultze Gaevernitz ha ceduto qua e là al fascino dell'ottimismo di Brentano.

    Noi desideriamo tenere rigorosamente distinti i risultati dell'indagine scientifica dagli argomenti specifici dell'azione pratica. Non ci proponiamo di studiare la storia dell'industria per derivarne le tenere consolazioni dell'idillio politico. Perciò inseriamo le conclusioni della presente indagine nell'edificio scientifico della lotta di classe. Concluderemo che l'industria moderna porta al miglioramento delle condizioni degli operai non per un'astratta legge scientifica, e solo in parte per esigenze tecniche; la realtà più profonda è che la grande industria non si può sviluppare senza determinare un contemporaneo sviluppo delle forze del proletariato, e della sua capacità di difesa e di conquista. Questa è la chiave di tutta la storia europea futura e su questa verità ci è sembrato utile che i nostri lettori meditassero.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE.