Illuminismo italiano

L'Economista Bandini

Vicende della Maremma.

    La Maremma Senese, stando agli antichi scrittori, era stata feconda ed assai abitata, ed anche ai tempi delle fazioni di Mario e Silla, sebbene fosse assai decaduta dall'antica prosperità, se ne traevano grani, legname da costruzione per flotte e altri prodotti. Decadde ancor più sotto gli imperatori, non tanto però da privarla di molte ricchezze e di una notevole popolazione. Molto soffrí per le incursioni barbariche, sebbene si riavesse alquanto durante la dominazione longobarda. Fiorì nuovamente sotto la Repubblica, nel qual tempo era consacrata la libertà di esportare i grani, ma più tardi le civili discordie e lo sterminio della popolazione, operato dagli Spagnoli a tempo dell'assedio di Siena, la ridussero in una condizione desolante.

    Cosimo I se ne preoccupò, fece eseguire opportuni lavori, e la popolazione, che si era ridotta a 7000 abitanti, aveva alla sua morte raggiunto il numero di 22.000. Però non solo non fece abbastanza, ma agli antichi abusi ne aggiunse dei nuovi, come dimostrò il Bandini, e peggio ancora fu sotto il suo successore Francesco. Ferdinando tentò qualche cosa a favore della Maremma, ma non tolse le leggi assurde e la proibizione di estrarre il frumento. Durante il regno di Cosimo II, delle due reggenti e di Ferdinando II, le cose andarono di male in peggio.

    Come risulta da notevoli scritti citati dal Gorani nel suo elogio del Bandini, "dal regno delle reggenti la decadenza della Maremma fu tale che la sola pianura Grossetana, la quale nel 1620 seminava 1300 moggia di grano, nel 1759 appena giungeva a seminarne 250". Trascurati e rovinati i ripari, cresceva la insalubrità del clima. Leggi e regolamenti, improvvide e innumerevoli gabelle fiscali avevano scemata la popolazione e rovinata l'agricoltura.





Proposte del Bandini.

    Tali erano le condizioni della Maremma quando il Bandini l'aveva visitata. Vediamo ora che cosa egli proponesse di fare a vantaggio di quella disgraziata provincia. Seguirò l'ordine del discorso, onde se ne scorga meglio il concetto fondamentale, e per darne al lettore la più chiara idea che mi sia possibile.

    Egli incominciava col dire "che vi sono alcune infermità che altrimenti non si curano che con un poco d'aria aperta" e che questo rimedio egli avrebbe proposto "da tentarsi nel corpo languido della Maremma: deve lasciarvisi oprar la natura, dove regolarsi con poche leggi, e queste semplici a portata di pastori e di agricoltori; bisogna dilatare il cuore con qualche respiro di libertà per ristorarla da quelle impressioni maligne che cagionano una vita stentata, priva di ogni ricreazione, e nella continua orrenda vista di terre desolate e incolte".

    Invocando "quest'aria di libertà", egli non si dissimula che avrà contro i pregiudizi e gli interessi urtati: "Eppure talmente confido nella forza di quel vero che io maneggio, che io non darei per sospetta nel giudizio di questa causa, se non quella condizione di persone che si pascono, dirò così, di carni morte, cioè chi si arricchisce in un processo, in una cattura, nella rovina di una famiglia o di un intero castello, chi fabbrica nella rovina del pubblico le sue fortune. Anzi quantunque io preveda purtroppo che questi tali saranno capaci colle loro astuzie d'impedire che queste verità arrivino alle orecchie dei supremi ministri, nude e schiette quanto bisognerebbe per l'interesse del sovrano e de' suoi vassalli, mi assicuro però che niuno intraprenderà mai di contrastarle distesamente ed a faccia scoperta".

    Non sogna di tornare la Maremma all'antica prosperità. Gli basterebbe tornare alle condizioni di un secolo indietro, quando 200 mila scudi entravano in Toscana per questa porta, quando Siena e le montagne del Casentino e di Pistoia vi mandavano migliaia di lavoratori, e ci si poteva tornare senza che ciò costasse un danaro al principe o ai contribuenti.





Eccesso delle imposte.

    Biasimava quei ministri che, senza preoccuparsi di restituire alla Maremma la perduta vigoria, ad altro non pensavano che a mantenere le gabelle e ad aggiungere nuovi balzelli, e affermava che costoro meritavano dal principe la stessa gratitudine che dovrebbe avere un privato cavaliere a un suo fattore di campagna, "il quale si gloriasse di avergli anche nelle raccolte meschine mantenute le rendite senza diminuzione col risparmio delle spese che vi volevano per ingrassare i terreni, per fare le fosse, per sostenere le viti, e col guadagno fatto in vendere i bovi, gli alberi da frutto e finalmente i tegoli, le travi dei casamenti. Eppure io credo che il sovrano in eleggere a questi onorevoli incarichi uomini di particolare e specchiata intelligenza non pensasse di avvilirli, di abbassarli ad una semplice e servile esazione; ma confidasse che saprebbero avere in vista anche i tempi avvenire e farebbono spiccare il loro talento in mantenere copiosa la vendemmia senza succhiar troppo le viti; saprebbono diramare l'albero, ma in insieme ne risparmierebbero il tronco, né si dimenticherebbono mai che le cariche pubbliche non sono fatte per caricare il pubblico, ma per caricarsi de' pensieri, per assistere ai vantaggi del pubblico".

    E notava le opposizioni degli interessati, che rovinerebbero la provincia piuttosto che rimetterci qualche cosa, e come i popoli dovessero spendere molte lire per fare arrivare in mano del principe pochi soldi. Se la terra è ridotta a poche misere case, vi s'ha a mantenere il tribunale perché i nobili e i notari non abbiano un pane, un impiego di meno. Le antiche tasse si hanno a pagare, sebbene la popolazione viva di pane e di acqua; il sale è inutile a chi non ha companatico, ma perché non ne scapiti la gabella si obblighino quei meschini a comprarne quela porzione che loro bisognerebbe se fossero ricchi.





    "Così si stilla, si suda per reggere la carica, ma non già i popoli né l'interesse del principato; e poi co' gravamenti, colle carature si tira avanti e si arricchisce di zappe di ferramenti, delle spoglie di quei miserabili qualche forestiero infingardo, per non dire facinoroso, che, sotto pretesto di promuovere la giustizia, tenga mano alle giustizie, voglio dire un birro vagabondo capitatovi a sorte per soverchiare colla mano armata gli innocenti, non per zelo di castigare i colpevoli.

    "Certamente che chiunque passeggiando la Maremma vedesse quei fertilissimi campi ridotti in tal maniera selvaggi che neppure gli armenti vi pascolano, quelle vigne abbandonate, quegli ulivi inselvatichiti per non trovare chi il loro frutto raccolga, tante abitazioni e intere castella diroccate, non saprebbe persuadersi come non fossero effetti questi o di qualche nemica incursione o di qualche pestilenza straordinaria. Eppure se è vero ciò che affermano, cioè che v'abbian cagionata desolazione maggiore gli ultimi quattro lustri che non avevano fatto quasi due secoli antecedenti, non v'hanno colpa né le guerre, né gli influssi maligni del cielo, non le esecuzioni militari, ma piuttosto le civili e le criminali, non i disordini, ma i troppo ordini, l'essere troppi a regolarla e niuno a procurar di conoscerla, non che di proteggerla.".





    Ho voluto riferire con qualche ampiezza questa prima parte del discorso del Bandini, citando spesso le sue parole, perché apparisse chiaro quanto viva sia la pittura dei mali che descrive, quanto schietto il civile coraggio con cui affronta l'opposizione degli ignoranti e dei tristi, quanto profondo il suo sentimento della libertà e l'odio degli improvvidi balzelli e delle inconsulte angustie fiscali.

Anomalie economiche.

    Invece di promuovere il traffico, si volevano osservate le leggi tendenti ad avvilire il prezzo delle vettovaglie? Quando in un anno sterile il frutto minore non potrebbe compensarsi che col maggior prezzo, se si serrano le tratte e si vuol mantenere il prezzo ordinario, non c'è forza umana che possa impedire che il traffico vada fallito.

    Se il prezzo è più alto non per la mancanza dei generi, ma per lo spaccio in altre provincie, viene in paese del denaro e gli agricoltori guadagnando di più coltivano anche i terreni più sterili; altrimenti ci si restringerà per necessità a coltivare i soli terreni eccezionalmente fertili e si andrà incontro alla vera e propria carestia.

    Si riconosce che in nessuna industria non si può vendere a scapito, e in Maremma si fa una eccezione per l'agricoltura; e si crede di giovare agli artieri e ai poveri della città. Ma se in tal modo la proprietà andrà in rovina, non solo si andrà incontro alla carestia vera, ma verranno meno gli avventori alle industrie. Pretendere di rimediare alla scarsezza di denaro coll'avvilire al possibile i prezzi dei grani, acciocché gli artieri e i poveri arrivino a sostentarsi, mentre al contrario gioverebbe tenerli in stima per reggere un po' di commercio almeno con essi, è un errore derivante dalla ignoranza delle cagioni che danno moto al denaro.





Circolazione del denaro.

    "Succede dell'oro nel commercio, come di una fiaccola in mano di un fanciullo, che pare che faccia un cerchio continuato di fuoco, se venga raggirata con velocità. Così una piccola somma d'oro, se si raggiri velocemente da una mano in un'altra, abbaglia l'occhio e par che moltiplichi se medesima. Perché un solo scudo che passerà da una in altre mani cento volte in un mese, mantenendo ugualmente il commercio, che con diversi scudi che non facessero in questo tempo altro che un solo passaggio nella seconda mano, farà figura di cento scudi, provvedendo ciascheduna di queste cento persone, che lo spesero, nel loro bisogno per l'intiero valore di uno scudo. Posto tal principio, ne segue che può apparire arricchito un paese senza che vi sia venuta nuova moneta, ma solamente coll'essersi messa in maggior moto quella che già vi era, di modo che mai non stagnandosi, passi per le mani di ciascheduno in quelle quantità che gli bisogna spendere secondo il proprio grado".

    Da questo brano apparisce come il Bandini avesse chiaro il concetto dell'ufficio della moneta e della sua circolazione. Il sapiente meccanismo che oggi collega in Inghilterra i banchieri e le Banche alla Claring-House e alla Banca d'Inghilterra, è l'ultima espressione della verità esposta dal nostro autore.

    Il quale altresì notava che la vera ricchezza non consiste tanto nell'oro e nell'argento, quanto nella facoltà di poter ottenere tutto ciò che ci può venire in mente di desiderare. La moneta agevola gli scambi, ma si potrebbe esser ricchi anche senza moneta e molte permutazioni si fanno senza questa, come avviene nelle fiere di Amsterdam, di Londra, di Lione. La fiducia nell'adempimento della promessa a suo tempo rende inutile la presenza del danaro e il commercio prospera senza bisogno di uno sborso attuale.





    Inoltre il prezzo fisso che si dice avere una moneta non può esistere che di fronte a un'altra moneta, non di fronte ai prodotti, il cui prezzo varia secondo l'abbondanza e la penuria ed il consumo. I poveri non desiderano il denaro che come mezzo per procurarsi le cose necessarie alla vita. E se questo bisogno dei poveri fa la richezza dei grandi, ciò deriva da che i prodotti vengono richiesti e quelli hanno interesse a far coltivare i terreni? Il prezzo più ordinario è quello che compensa le spese e le fatiche della produzione; ma non sempre le stagioni sono ugualmente felici e il consumo viene alterato dal commercio con altre provincie. Il Bandini insomma, accennava con chiarezza la dottrina della offerta e della domanda: e vedeva altresì che l'offerta o la domanda fuori del mercato possono influire sul prezzo corrente in un determinato mercato.

Libertà di esportazione.

    L'autore viene alla conseguenza che l'avere i granai pieni quando lo spaccio è impedito, è un danno, perché avvilito il prezzo non si ripigliano le spese, e la coltura dei terreni viene abbandonata; e conclude alla "necessità che ha la Maremma della libertà delle tratte indispensabile, vale a dire di una legge perpetua che assicuri la facoltà a' Maremmani di poter vendere i loro grani, i loro bestiami e qualunque frutto di quella campagna a' forestieri".

    Con esempi storici conforta la sua dottrina e dice arditamente: "Il volere aggravarsi lo stomaco di quell'alimento che ci sopravanza, negando di permutarlo con altra cosa che ci bisogni, è un volere affiggere noi medesimi, perché l'altro stenti di fame". E poi: "E però siccome viene minacciato di eterna punizione, come prevaricatore delle leggi della Provvidenza, quello del superfluo essendo troppo tenace alle miserie degli infelici non soccorre liberalmente; così non può mai esser felice quella provincia che lasci marcire oziosamente le vettovaglie che le sopravanzano, e piuttosto che sovvenire con esse anche con profitto proprio all'altrui necessità, lasci avvilire ciò che è destinato per alimento dell'uomo fino a pascerne, come fra noi più volte è accaduto, i giumenti; e deve ragionevolmente temere che la Provvidenza stessa, vendicandosi di sì gran torto, presto non riduca gli uomini a dovere avvilirsi alle ghiande, all'erbe, ai pascoli dei giumenti".





    Il nostro autore combatté il pregiudizio che colpiva d'infamia i mercanti di grano, osservando che quando il grano sopravanza, quel traffico è onesto, utile e lodevole. Il che pur troppo ci troviamo a dover ripetere ancora. E citava gli olandesi di cui diceva: "Questi non provano mai la carestia, perché mostrano di non temerla, e dalle loro provincie, che non producono che l'ottava parte del grano che vi si consuma, v'è facoltà di strarne quanto si vuole senza che possa temersi che motivo né necessità alcuna possa fare giammai alterare questa buona legge, dalla quale riconoscono la loro abbondanza continua. Per questo vi concorrono somme immense di grano, i mercatanti tutti ne fanno un continuo traffico, ve lo portano, ve lo depositano, perché sanno che avranno sempre la libertà d'estrarlo".

    Lo scopo del Baldini era quello di ricercare i rimedi ai mali della Maremma, mali che abbiamo brevemente accennati e che egli descrive a fondo. Ma siccome cercando quei rimedi l'alta sua mente lo condusse a osservare i benefici che sarebbero derivati dalla libertà economica, e siccome questo forma la sua massima gloria, ho voluto indugiarmi su quella parte che ha un'importanza generale piuttosto che sulla parte, per così dire, transitoria del libro.

CARLO FONTANELLI.
Sallustio Antonio Bandini di Siena (1677-1760), fu uno dei primi difensori della libertà economica.