Il liberismo di Cavour

    Nel Regno Sardo la tariffa protezionista del 1818 informata a criteri proibitivi rimase in vigore - salvo qualche temperamento nel periodo intermedio - sino al 1846, quando l'influenza del genio di Cavour ebbe effetto prevalente anche nella politica economica che nel 1851 ha il maggior trionfo con la esenzione dei dazi doganali sulle materie prime e del dazio sul grano che era allora di L. 9 all'ettolitro.

    Cavour, fedele alla grande scuola di Manchester, instaurò coraggiosamente la politica liberista malgrado il protezionismo dominante in Europa e negli Stati Uniti in quel tempo.

    La politica doganale liberista del conte di Cavour ha dato la floridezza al Piemonte fra il 1851 ed il 1859, preparandolo a sostenere i fortunati cimenti della guerra.

    Egli, sorretto dall'esperienza vivificata dal suo genio precorritore, seppe dimostrare le verità della sentenza che quando si devono stabilire nuove imposte occorre procurare a chi ha da pagarle qualche sollievo col diminuire quella tassa che era stabilita a beneficio dei produttori. E poiché dopo gli eventi del 1849 il Governo delle antiche Provincie per far fronte ai pesi della guerra passata dovette gravare la mano ai contribuenti ed imporre nuove tasse Egli, assumendo il potere nel 1871 ebbe il coraggio di proporre, di effettuare una grande riforma daziaria, di ridurre, cioè, quasi della metà i dazi sulla maggior parte degli oggetti manufatti, di ridurli di due terzi per alcuni oggetti, e di toglierli recisamente per gli oggetti di prima necessità, come pel grano. In virtù di queste riforme daziarie i contribuenti potettero sopportare con pazienza le nuove e molteplici imposte che il Governo subalpino dovette allora applicare.





    Le riduzioni nei dazi doganali, se sono sempre opportune quando vengono fatte con giudizio, sono una necessità quando una fatalità costringe i Governi a gravare la mano sopra i contribuenti.

    Ed ecco come Egli alla Camera dei deputati il 27 maggio 1861, dieci anni dopo la grande rivoluzione economica, constatava la felice riuscita dei suoi provvedimenti doganali:

    "Si è detto da un onorevole preopinante che la nuova riduzione delle tariffe daziarie era tale da rendere impossibile la concorrenza con le fabbriche inglesi. Mi permetta l'onorevole preopinante di osservargli (non per muovere un rimprovero) che non si è mai operata una riduzione in nessun paese del mondo, non da noi solo, ma non in Francia, non nell'Inghilterra, non negli Stati Uniti, senza che i produttori siano venuti o presso i ministri od a fronte del Parlamento a dichiarare che, se quella tale riduzione si faceva, tutte le fabbriche si sarebbero chiuse.

    "Io posso qui invocare la propria mia esperienza: quando si fece la riforma del 1851, molti onorevoli e benemeriti industriali, dei quali alcuni sono firmati alla petizione che vi fu distribuita questa mattina e nella quale dichiarano che se la riduzione venisse approvata dal Parlamento tutte le fabbriche si chiuderebbero, molti vennero a me per cercare di convincermi e come mi trovarono un po' duro ad essere smosso (si ride), passarono quasi alle minacce. E mi ricordo che uno di quei signori, che non nominerò, mi disse. "Ebbene, l'anno venturo ci vedrà in piazza Castello con sei o sette mila operai a domandare del pane (Movimenti). Io espressi un vivissimo dolore di questa eventualità; ma siccome credeva fermamente che s'ingannasse, non m'arrestai!

    "Si fece la tariffa. Otto mesi dopo mi annunciano quello stesso industriale ed immaginai a tutta prima che fosse seguito dai sei o sette mila operai; ma era solo (risa). Ei s'avanza e mi dice (scusate la parola un po' volgare), mi dice: "Io era un gran minchione, lei aveva tutte le ragioni; fatta la riforma, mi sono detto due cose; o chiudere la fabbrica o migliorarla; presi il secondo partito, andai in Inghilterra e vidi che ella aveva ragione, che noi eravamo indietro ancora di venti e più anni; mutai tutti i miei meccanismi e tutto procede bene".





    "Alcuni anni dopo, passando nel paese dove questa fabbrica è stabilita, ebbi il piacere di vedere una fabbrica che, a parer mio, può essere annoverata fra le prime di questo paese".

    La riforma innovatrice resistette sino al 1864-66, epoca in cui, sotto la pressione dei bisogni per le spese della guerra, si introdussero nuovamente nella tariffa i dazi di confine.

    Pur tuttavia l'Italia nel 1870 aveva l'esportazione superiore all'importazione.

    Nei tre quadrienni dal 1871 al 1885 le esportazioni agricole superano le importazioni, con tendenza all'aumento progressivo delle prime sulle seconde. Nel quinquennio successivo, dal 1886 al 1890, si ha il fenomeno opposto. Se pure ebbe influenza in questo mutamento la cessata esportazione dei vini per la Francia dopo la rottura del trattato di commercio, certamente la causale va ricercata nell'inasprimento delle dogane con la tariffa del 1887.

MARIO VIANA.