Discussioni sindacali

I DISOCCUPATI IN INGHILTERRA

    1. Ogni settimana i giornali riportano la cifra dei disoccupati in Inghilterra. Come mai non aggiungono anche il numero di quelli registrati negli altri paesi? Mistero. Intanto noi sappiamo per filo e per segno che nelle isole britanniche i senza lavoro crescono di continuo: se non in confronto al mese precedente, almeno rispetto ad un anno prima. Peccato l'esame non si estenda anche a due e tre anni or sono, e non ci dica che la folla presente con tra 1,2 ed 1,4 milioni di disoccupati rappresenta un miglioramento formidabile sul biennio anteriore, quando da 1,8 a 2 milioni di operai pesavano sopra il fondo dell'assicurazione.

    Dalle nude cifre si possono ricavare molteplici elaborazioni e commenti, superando spesso con un salto acrobatico impressionante tutte le difficoltà che rendono riguardoso lo statistico, consapevole del rischio. A iosa parecchi ripetono che questa massa pesa sullo Stato, pagata lautamente col sacrificio di tutti: e per questo milione e più di individui, che potrebbero essere utili invece di fare i disoccupati di professione, ben lieti di stare in ozio, il bilancio soffre.

    Eppure chi osserva attentamente il problema si accorge subito che la spesa sostenuta dallo Stato è appena un quarto del complesso; il resto lo forniscono in quote quasi uguali gli imprenditori e gli operai stessi durante il periodo in cui sono occupati. Si tratta di una assicurazione insomma, e vi contribuisce con larghezza ciascuno dei gruppi che poi ricava un vantaggio dal sistema, che venne diffuso sopra ceti sempre più vasti, dal 1911 in poi. Gli undici milioni e mezzo di assicurati sottostanno al contributo, che può sempre giovare anche ad essi nell'evenienza che ciascuno depreca con piena sincerità. Per giunta quanti ricordano che nella cifra sono compresi, con la propria quota, anche gli operai nei rami dove si lavora ad orario o turno ridotto?





    E chi si prospetta alla mente lo sforzo tenace svolto dai 17,2 milioni circa di persone che il censimento del 1921 trovò occupate nella sola Inghilterra propriamente detta e nel Galles? In un mondo impoverito da cinque anni di guerra e da quasi altrettanti di contese senza tregua, nella parte inferiore dell'isola britannica risulta intenta al lavoro una massa di quasi un milione più densa che dieci anni prima. La minoranza, un quindicesimo appena, si dedica ai lavori agricoli, dove è più facile lottare per la vendita ai soli compratori interni: il massimo numero opera nelle imprese manifatturiere, che debbono esportare ancora in concorrenza con tutti gli altri paesi, e possono reggere solo dimostrando una superiorità evidente. I costi, per la continua tensione, si riducono e la quantità dei prodotti cresce di anno in anno - anche se irregolarmente - dopo la crisi del 1921.

    2. Ma quanto di più progredirebbe quel paese - in decadenza inguaribile, anzi incancrenito senza rimedio - se quell'ultimo nono della popolazione attiva volesse lavorare, insistono i commentatori. E ci assicurano che questo 1,4 milione di individui, ormai abituati all'ozio, preferiscono il sussidio all'occupazione. - Eppure due recenti inchieste, una svolta sopra 10.903 casi da parte del Ministero del Lavoro inglese, ed un'altra condotta a termine da un gruppo di studiosi in otto località scelte tra le più rappresentative dei diversi ambienti, hanno offerto materia di esame. Ne conviene la lettura, ampia e documentata, preferibile certo alle impressioni generiche offerte dai giornali, dove si rappresenta piuttosto il lato patologico invece di quello sano del fenomeno. Ed allora alla denuncia vibrante, al quos ego contro gli operai ed i loro sindacati tirannici, si unirebbe pure con pari energia il rimprovero per gli imprenditori che non si curano abbastanza di riuscire efficaci.





    3. Come si forma quell'esercito di disoccupati? Non è costituito da una massa di individui sempre identici, anzi variano con periodicità. Il sussidio può durare anche ventisei settimane, ma durante tale periodo ciascuno deve dimostrare di aver cercata una occupazione, con seria e tenace volontà di sistemarsi. Non viene ammesso inoltre quando abbia abbandonato il suo posto di propria iniziativa, oppure per sciopero o serrata cui partecipò: perde il sussidio allorquando l'imprenditore non confermi le sue dichiarazioni, oppure ove non voglia accettare un lavoro offertogli, in località magari diversa ed in ramo non analogo o per un grado inferiore a quello prima tenuto.

    La grande massa dei disoccupati ammessi al sussidio è formata dai giovani dai venti anni ai trenta, oppure dagli adulti sui sessanta e più. Ciascuno dei due gruppi presenta una densità, rispetto al complesso dei privi di lavoro, maggiore assai di quella che possiede in confronto alla popolazione tutta. Non vi è dubbio inoltre che qui l'ordinamento della legge assicuratrice, ed il fatto che si dà un aiuto non indifferente ai giovani di diciotto anni, contribuisce ad acuire la disoccupazione. Infatti in alcuni rami dove i salari sono elevati, e crescono a gradi, l'imprenditore trova comodo raccogliere i giovanetti appena lasciano la scuola: li sottopone al periodo di tirocinio ed usufruisce del loro lavoro, ma quando dovrebbe farli salire a compenso più alto, col licenziamento se ne libera per sostituirli con dei nuovi fanciulli. Né i licenziati intuiscono tutto il danno cui sono esposti, sedotti dal sussidio che salta, per chi compì i 18 anni, da sette scellini e mezzo a diciotto per settimana. Intanto però essi perdono il tirocinio continuo e soddisfacente.





    Anzi quelli che all'uscire dalla scuola partirono per la guerra, si trovano ancora del tutto privi del necessario tirocinio. Hanno raggiunto i 25-30 anni, ma non ebbero mai una istruzione tecnica efficace né occupazione regolare; sicché ora soffrono per la disoccupazione, con frequenza ancora più alta dei più giovani. In questo gruppo inoltre, al pari di quello dai 30 ai 45 anni, non mancano i minorati di guerra, resi meno efficaci sia da postumi di ferite che di malattie: le Direzioni delle officine, sotto lo stimolo di abbassare i costi, li dimettono tra i primi.

    All'estremo opposto ecco gli uomini maturi, dai 55 in poi. Non li aiuta ancora la pensione di vecchiaia, che non dissuade dal lavoro nemmeno alcuni individui di oltre sessanta anni (il censimento ne trovò un trecentomila): d'altra parte gli imprenditori non esitano più nel dimetterli, appunto per l'esistenza dell'assicurazione cui debbono contribuire. Anche delle persone che passarono tutta la loro vita nell'industria - ed in periodo normale continuerebbero a rimanervi - vengono licenziate in questi anni di depressione; e quanto più lungo diventa il periodo di tempo in cui restano fuori, tanto peggio si prospetta la loro posizione. Rappresentano gli elementi non desiderabili, e si sforzano di rimanere al lavoro anche abbassandosi ad umiliazioni che cinque anni or sono non avrebbero tollerate: non dichiarano le malattie, se temporanee, e persistono nel lavoro pur di non correre il pericolo di perdere il loro incarico.

    Né gli imprenditori rinunciano ad un altro vantaggio, sorto dopo l'introduzione della legge assicuratrice: nei rami stagionali, al chiudersi del periodo attivo, licenziano certi operai che prima tenevano durante tutto l'anno, anche col rischio di non trovarli più disponibili al momento della ripresa. Questi intanto si trovano costretti ad accettare il sussidio così a passare in rami diversi, dove magari perdono certe qualità tecniche che erano necessarie per rientrare nell'industria temporaneamente lasciata.





    Colpa delle Leghe, con le loro norme rigide, con salari distinti di categoria, pretesi senza remissione? Lo possono sostenere gli scrittori della Morning Post, dei giornali "mangiatori di fuoco". Non quanti imparano invece dalle due inchieste che vi sono dei giovani che accettano del lavoro con i salari fissati per le categorie dei fanciulli: che adulti specializzati si adattano a degli abbassamenti di grado dolorosi, ed all'occupazione in località lontana dal loro centro, pur di riprendere un salario invece del sussidio; che infine nelle industrie esportatrici si rinunciò dagli operai alla applicazione delle regole sindacali, pur di restare. Ostacolo quasi insormontabile e talora a qualunque movimento: l'incertezza di un alloggio nel nuovo centro. Tuttavia, appena nasce la speranza di una posizione non temporanea, si parte alla ricerca. Sorregge nel decidersi anche in considerazione sociale: quanti hanno una occupazione guardano dall'alto in basso chi vive col sussidio. E questi hanno il quotidiano tormento di dover dimostrare inutili gli sforzi ripetuti per trovare un posto, e l'obbligo di presentarsi due o quattro volte per settimana nell'ufficio di collocamento.

    Non mancano i pigri per natura e gli "artisti" della frode: estrema minoranza, combattuta in tutti i modi dal personale degli uffici: non più del 40% sulla massa, vien calcolato. E se mai, capita più di frequente di trovare casi dubbi tra le donne maritate: ricevono il sussidio alcune di esse che non hanno più una seria intenzione di riprendere il lavoro: di rimando la Direzione delle fabbriche non le desidera, per l'incertezza di ottenerne un lavoro regolare. Di solito esse non si adattano più alle ore straordinarie; sono svogliate, e si presentano ad intervalli all'opificio, quando il loro marito è occupato. Preferiscono il sussidio per lavorare intanto in casa, ed accettano volentieri delle occupazioni occasionali, che diano loro diritto di riprendere presto il sussidio per un nuovo periodo. Formano però un gruppo non molto numeroso; e quando debbono dimostrare che sono libere durante la giornata intera lavorativa, in generale non vi riescono e perdono l'iscrizione.





    4. Chi vuol legare insomma in Inghilterra il gran numero dei disoccupati alla condotta delle Leghe, con la loro insistenza per mantenere inalterati i salari troppo alti in un periodo a redditi ridotti, arriva con la sua condanna al di là del segno. I Sindacati operai non riuscirono a questo intento: e viceversa il desiderio di mantenere elevato il tenor di vita, per spendere con larghezza in modo spesso futile, trascurando invece l'efficacia produttiva, costituisce una tendenza comune, diffusissima in tutte le categorie della popolazione. Del resto la media di aumento nel salario settimanale alla fine del 1924, in confronto all'agosto del 1914, risulta tra il 70 ed il 75 mentre il costo della vita nello stesso periodo rincarò dell'81, lasciando i salari reali più bassi che undici anni prima. Ed il reddito nazionale non è passato in Inghilterra da 2,4 a 4 miliardi di sterline, con una salita del 74 %, nella stessa e precisa misura dimostrata dai salari nel loro sviluppo massimo?

    Però il 1,4 milione di disoccupati è un fatto, e tristissimo. Rappresenta una falange assai più grandiosa di quella che affligge gli altri paesi: non si può far nulla per alleviarla? Certo, non con l'opera però soltanto delle Leghe, che fossero disposte cedere qualche privilegio: anzi, nemmeno l'Inghilterra da sola può giungervi, senza la ripresa economica mondiale, la rinascita nella domanda da parte di molti mercati d'Europa e d'Asia. Impoveriti dalla guerra, uscirono ancor peggio dalle condizioni di pace: dei territori, prima in rapporto di complementarietà tra di loro, rimasero divisi; e vi serpeggia ora spirito di disordine. Si aggiunga il nazionalismo economico che ha spinto parecchi dei nuovissimi Stati a serrarsi entro muraglie doganali insormontabili, con nuova distruzione di ricchezza a danno proprio, ed altrui. Per di più, mentre l'Inghilterra ha ricorso in misura minima all'inflazione, in molti altri paesi ne ricevettero un beneficio indiretto - a scapito delle classi a reddito fisso - le imprese più grandiose, che videro così in gran parte svanire il peso dei debiti contratti con i loro obligazionisti. E per giunta qui i bilanci pubblici trovarono ben più leggero l'onere degli interessi sul debito pubblico; non gode di ugual tregua il contribuente britannico. Ormai, per ben più gravosi danni di altro genere, tutti hanno sentito la convenienza di non abbandonarsi più alle illusioni della moneta creata con facilità; e si ritorna ad intuire persino il vantaggio reciproco degli scambi internazionali. Anche in Inghilterra la ripresa economica si delinea, e la valanga dei disoccupati ricomincia a rimpicciolire: lentamente, con stento, si assottiglia, ed ancor più si ridurrà se nella via accennata dagli accordi di Locarno cammineranno finalmente concordi gli Stati d'Europa.

VINCENZO PORRI.