LORD GREYI lettori conoscono il nostro pensiero sulle responsabilità di guerra: ma le idee dell'amico Crespi, che in parte non condividiamo, ci sembrano tuttavia singolarmente interessanti. La pubblicazione delle Memorie di Lord Grey, in cui egli rende conto de' suoi venticinque anni di vita pubblica è indubbiamente l'evento più importante di quest'ultima quindicina inglese per quanti sono interessati nella grande questione delle responsabilità britanniche nella Grande Guerra; giacché, nella mente del loro autore, queste Memorie, col loro carattere puramente narrativo, devono di per sé costituire la miglior risposta ai critici della di lui condotta negli anni e nei giorni che precedettero la terribile crisi. Lord Grey - che quando l'11 dicembre 1916 lasciava il "Foreign Office", che aveva occupato per undici anni, non era ancora che Sir Edward Grey - è il ministro degli affari esteri britannici che tenne questa carica più a lungo d'ogni suo predecessore, inclusi Lord Granville e Lord Castlereagh; e che tenne questa carica negli anni forse più fortunosi non solo della storia britannica, ma anche, forse, di tutto il mondo moderno. È interessante e necessario perciò, alla luce di queste memorie e prima di venire alla parte di esse che più davvicino concerne la Grande Guerra, farci un'idea del carattere di quell'uomo, che amici ed avversari politici si accordano nell'ammirare e nel riconoscere intemerato ed immacolato. La prima circostanza che ci colpisce si è che questo Ministro degli Esteri non sembra esser stato dotato di alcuna particolar dote che in modo speciale lo rendesse adatto a questa funzione; egli non fu mai uomo che si sentisse a suo agio sul continente europeo; viaggiò pochissimo; fu quasi del tutto ignaro di lingue e letterature straniere; la politica e sopratutto la politica estera non fu mai la sua passione predominante. Egli è un tipico prodotto della "public school", di quelle grandi scuole aristocratiche, quali Eton e Harrow, in cui i figli delle grandi case sono educati, mediante gli sports, alla disciplina volontaria, alla cooperazione leale, alla reverenza verso le grandi tradizioni e all'anima sana nel corpo sano. Non solo; egli è un tipico prodotto della campagna inglese, un tipico country-gentleman, che ama la pesca, la caccia, i fiori; che riconosce i vari canti di tutti gli uccelli inglesi; che ha imparato a guardare alberi e foreste, torrenti e stagni, chiesette rurali e vecchi castelli dai magnifici parchi e dalle querce annose con l'anima di Grey e l'occhio di Wordsworth e di Tennyson; un uomo cresciuto e fiorito come crescono e fioriscono gli olmi e le quercie della sua bella residenza di Fallodon; un uomo cresciuto e fiorino in armonia con la natura, il cui radicalismo è scaturito dal desiderio che le sue gioie possano diventare quelle di tutti e dall'ideale di una vita civica capace di divenir degna del motto di Wordsworth: Joy in widetst commonalty spread.È solo quasi per caso che Grey divenne ministro degli Esteri; la sua posizione sociale e la sua tradizione domestica lo avrebbero certo, per dovere, portato alla vita pubblica; ma è assai dubbio se senza il contatto con Gladstone "l'anima più grande che egli abbia mai conosciuta" e senza quello con Lord Rosebery, nel cui Gabinetto fece il suo apprentisaggio come Sottosegretario per gli Esteri, egli sarebbe diventato il ministro degli Affari esteri sotto i cui auspici l'Inghilterra entrò nella quarta delle sue guerre per la vita o la morte. A bella prima può parere che questa sua giovinezza militi contro quel che si richiede da un ministro degli Esteri, in quanto diplomatico. In realtà è vero precisamente il contrario. Il compito d'un ministro degli Esteri non è quello del diplomatico di professione. Non è suo compito il conoscere direttamente e l'esplorare tutte le ramificazioni della politica internazionale; in questo caso ei rischierebbe di esser vittima di conoscenze imperfette e mal digerite e di seguire una politica personale e non nazionale. Il suo compito è, all'opposto, quello di utilizzare le informazioni de' suoi subordinati, e di determinare le linee generali della politica, seguendo, interpretando e guidando gli istinti, gli interessi e i desideri del Paese. V'è sempre il pericolo che il diplomatico di professione intenda tutti i paesi tranne il suo; laddove nessuna politica può alla lunga riuscire se non s'appoggia al Parlamento e alla nazione. Ecco perché il liberalismo è alla lunga anche la miglior scuola di politica mondiale e la miglior garanzia di succeso. Precisamente perché, consapevole delle proprie limitazioni, Grey ha saputo fare buon uso delle capacità dei suoi subordinati e dirigerle alla comprensione del punto di vista degli altri paesi: poiché, egli osserva, "quando gli uomini si vedono compresi, divengono essi stessi proclivi a cercar di capire". Inoltre, precisamente perché, in un certo senso, profondamente insulare, Grey era predisposto a considerar tutti gli altri paesi con la stessa imparzialità, e perché, country gentleman, era devoto alla pace, devozione che non è sincera che se nulla si persegue che va a detrimento di altri e che in lui fin dall'inizio tese a creare un'atmosfera di crescente fiducia reciproca tra tutti i Governi. Gladstoniano convinto, Grey non velò mai il suo pensiero, non disse mai che ciò che realmente pensava, al punto che alla Conferenza di Londra del 1912 anche per i Tedeschi la sua parola di gentleman aveva più valore d'ogni dichiarazione ufficiale di Governi. Nessuno può, come chi scrive, aver avvicinato Grey od averlo ascoltato in Parlamento o in comizi senza avere l'impressione diretta e irresistibile che in lui l'uomo dominava e ispirava il cittadino e il diplomatico e che la sua personalità è di quelle che elevano e purificano tutte coloro con cui esse vengono a contatto. E nessuno può leggere questi due volumi e chiedersi come essi possano essere stati scritti senza venire alla conclusione che la loro profonda e incessante serenità e naturalezza, nonché la loro profonda imparzialità non possono provenire che da un carattere a cui queste doti sono inerenti ed essenziali. È nella luce di questo carattere che occorre studiare e seguire la carriera politica di Sir Edward Grey. Ed una delle cose che non devono sfuggire alla nostra attenzione si è che fin dall'inizio Sir Edward Grey fu favorevole all'Entente cordiale anglo-francese e che, andato al potere nel 1905, si fu con sollievo che egli poté constatare non esservi in essa alcunché di ostile alla Germania e con fiducia e con zelo che egli si accinse all'impresa di creare una atmosfera di fiducia fra i due gruppi contrastanti di alleanze continentali e dimostrare alla Germania che non v'era nulla nell'amicizia con la Francia e la Russia che escludesse la Germania stessa da una simile amicizia con l'Inghilterra. La parola di Sir Edward Grey deve pur contar qualche cosa, quand'egli ci assicura che né nel pensiero del suo predecessore, né nel proprio l'Entente assunse mai il carattere di sforzo isolatore ed ostruttore della Germania; e che non era facile, ad es., inviare Lord Haldane a Berlino ed ottener qualche riduzione nella gara navale anglo-germanica o venir con la Germania ad accordi circa la ferrovia di Bagdad o l'avvenire delle colonie portoghesi senza creare serie apprensioni a Pietroburgo. E la parola di Sir Edward Grey concernente le conversazioni navali anglo-russe nella primavera del 1914 dovrebbe del pari ridurre alla loro vera proporzione molte critiche in cui in ciò si è voluto vedere un colpevole fatale intrigo. Che cosa indusse Sir Edward Grey ad accedere al desiderio francese che avessero luogo fra Russia ed Inghilterra conversazioni navali analoghe a quelle avvenute tra Russia e Francia? Gli è che in seguito alle serie apprensioni di cui abbiamo or ora parlato in Francia si sente il bisogno di assicurare la Russia e tenerla fedele. "Se la Francia avesse scoraggiato o respinto il desiderio russo di aver con l'Inghilterra conversazioni simili a quelle che s'erano avute tra Inghilterra e Francia, le conseguenze avrebbero potuto essere sgradevoli ed anche assai serie. Sarebbe sembrato alla Russia che la Francia stesse coltivando relazioni con l'Inghilterra da cui la Russia era esclusa". La situazione in Pietroburgo era tutt'altro che rassicurante: "Tutto dipendeva dallo Tzar; uomo d'onore coscienzioso ma non di tale abilità e comprendonio da essere al disopra di influssi altrui e di misrepresentazione". In altri termini, che cosa sarebbe successo se la Russia avesse ceduto all'attrazione tedesca? Sono sicuri i critici dell'atteggiamento di Sir Edward verso la Russia, che ciò non sarebbe avvenuto e tengono essi conto che nello stesso tempo Sir Edward Grey cercava disarmare le diffidenze germaniche ed invano? Che sarebbe avvenuto nell'estate del 1914 e nel 1915 se la Germania si fosse sentita sicura alle spalle? E se è vero che i due ambasciatori tedeschi, Metternich e Lichnowskv erano a poco a poco arrivati a leggere le reali intenzioni di Sir Edward, non è egli altrettanto vero che costoro non riuscirono ad avere alcuna influenza sul loro Governo e che questo, immerso fino alla gola nell'intrigo, naturalmente attribuiva agli altri Governi la stessa mentalità sua? Tutto questo vale anche circa le critiche mosse a Sir Edward Grey concernenti il famoso accordo anglo-russo rispetto alla Persia. Tale accordo, come i fatti dimostrarono, era ad un tempo il solo modo di salvare l'indipendenza (o ciò che di essa rimaneva) della Persia e di evitare che la Russia cascasse sotto l'afflusso della Germania imperiale. L'interesse dominante di queste Memorie è naturalmente al suo massimo quando veniamo alle settimane e ai giorni che precedettero lo scoppio della grande catastrofe. È un interesse accentuato dal fatto che molteplici lettere e molti atti di Sir Edward negli anni precedenti lo mostrano non solo non antitedesco, ma generoso verso la Germania, generoso di una generosità che era solo tenuta a freno dalla consapevolezza delle suscettibilità francesi e russe. È noto - e in Italia si sono resi veicoli di queste critiche il sen. Gaetano Mosca e Guido De Ruggiero - che molti rendono responsabile della guerra in una qualche misura Sir Edward Grey e l'Inghilterra, perché egli non avrebbe in tempo dichiarato alla Germania che l'Inghilterra si sarebbe schierata a lato della Francia.Ora Sir Edward afferma di avere ripetutamente, durante tutte le crisi precedenti, durante quella di Agadoi, durante quest'ultima settimana fatale, lasciato capire che nelle circostanze non era probabile che l'Inghilterra potesse restar neutrale e non schierarsi dal lato della Francia; di esser convinto che a Berlino si rendevano perfettamente conto delle direttive dell'opinione pubblica inglese per mezzo dell'ambasciatore e per altre vie; e che se gli avesse parlato più forte, da un lato con ogni probabilità i Tedeschi non gli avrebbero creduto, appunto perché sapevano che sia il Gabinetto, sia il Parlamento, sia il Paese, sia lo stesso partito conservatore erano - prima dell'invasione del Belgio, profondamente divisi; dall'altro, appunto col provocare immediate scissioni nel Gabinetto, nel Parlamento, nel Paese, poteva provocare conseguenze nazionali e internazionali incalcolabilmente disastrose. Alcune tra le personalità più in vista nel partito liberale e nel Gabinetto - Lord Morley, John Bruns, Lloyd George, Charles Trevelyan - erano convinte che il parlar più forte e più risolutamente avrebbe voluto dire appoggiare l'intransigenza francese o russa e precipitar la guerra e si rifiutavano assolutamente di credere all'eventualità dell'invasione belga. In queste circostanze Sir Grey s'affidò all'unico partito possibile: lavorar disperatamente al fine che tutti teneva uniti, pronto a dimettersi se la guerra scoppiasse e il Gabinetto declinasse di appoggiar la Francia come onore ed interesse inglese simultaneamente a lui pareva dettassero; e ciò senza promettere aiuto alcuno alla Francia. Sir Edward era ansioso che, se non si poteva evitar la guerra, ci si entrasse compatti per ragioni ovviamente giuste nell'occhio di tutti. Egli era ed è convinto che, anche a parte dall'invasione belga, il rimaner neutrali, l'assistere inerti alla soggiogazione germanica del continente avrebbe finito solo col lasciar da ultimo l'Inghilterra isolata di fronte alla Germania senza amici nel mondo intero. In un brano di singolare eloquenza egli immagina anzi che l'ombra di Bismarck rimproveri ai suoi successori di non aver saputo addormentare l'Inghilterra, astenendosi dal costruire la grande flotta tedesca e dall'invadere il Belgio, al punto da indurla ad assistere inerte al trionfo schiacciante della potenza germanica sul continente europeo, salvo svegliarsi un bel giorno dal letargo ed accorgersi che con tal trionfo anche Westminster era diventata un dipartimento di Potsdam. Gli ultrapacifisti inglesi lavoravano, senza saperlo e volerlo, a correggere gli errori dei successori del Cancelliere di Ferro! Sir Edward adunque né si astenne dal lasciar capire a Berlino il proprio pensiero, né poteva fare di più, prima che venisse l'invasione del Belgio a stabilire l'unanimità fra i partiti inglesi, senza cagionare, con lo scisma nel Gabinetto, un disorientamento fatale nel Parlamento e nel Paese che, più d'ogni altra cosa, avrebbe incoraggiato la Germania a far precipitare la guerra. Sir Edward è convinto che a Berlino - non tanto dal Kaiser e dal Governo quanto dallo Stato Maggiore, che era il vero sovrano, si venne a decidere la guerra e l'invasione del Belgio precisamente perché si pensava che, data la volontà di pace nei partiti inglesi, data la scissione in questi di fronte alla guerra, data la questione irlandese, l'Inghilterra non avrebbe potuto intervenire efficacemente in tempo. Come si vede, precisamente quella fu la mossa più risoluta che nell'opinione di alcuni avrebbe potuto arrestar la Germania sul fatale declivio; nell'opinione di altri poteva non solo non avrebbe voluto, ma non avrebbe potuto intervenire e, in ogni caso, non avrebbe un risultato perfettamente opposto. Sir Edward può legittimamente rivendicare il merito di aver fatto ogni sforzo per la pace e di aver evitato errori che, dato che la guerra scoppiasse nonostante ogni suo sforzo in contrario, potevano dividere il Paese e comprometterne irrimediabilmente l'avvenire. Un'altra rivelazione - di carattere non meno che di cose - di questi due volumi riguarda il tentativo di pace compiuto da Wilson nel 1916. Nel febbraio 1916 Wilson, per mezzo del colonnello House, si dichiarò pronto, ove Inghilterra e Francia dichiarassero il momento opportuno, a proporre una Conferenza per metter fine alla guerra e a far entrare gli Stati Uniti in guerra se gli Alleati aderissero e la Germania rifiutasse. Gli Stati Uniti avrebbero insistito sulla restaurazione della indipendenza belga, sulla restituzione dell'Alsazia-Lorena alla Francia e su uno sbocco della Russia sul mare: la perdita dell'Alsazia-Lorena da compensarsi alla Germania mediante concessioni territoriali extra-europee. Questo passo di Wilson metteva Grey nella necessità di consultarsi con gli altri alleati e creava per lui un grave dilemma: poteva l'Inghilterra, che non aveva ancora incominciato il suo grande sforzo guerresco e stava ancora organizzando i suoi eserciti, far pesare la propria autorità dal lato della pace nel mentre Francia e Russia erano già duramente provate e nel mentre si scatenava l'attacco tedesco su Verdun? D'altra parte il non parlarne affatto alla Francia, creava il pericolo che se le cose volgessero anche più decisamente in peggio, la Francia potesse rimproverare all'Inghilterra di non averle in tempo rivelata questa via di salvezza. Grey decise di comunicar la cosa a Briand, lasciando agli alleati di decidere. E Briand non credette nemmeno necessario prender la proposta in considerazione. Occorre dir per altro subito che, come Grey allora non sapeva e come egli non meno di noi tutti sa soltanto ora, la proposta di Wilson era già diventata antiquata prima del dicembre 1916, pel fatto che il Governo tedesco, venuto a sapere dell'idea di Wilson, mise innanzi tali idee e condizioni di pace, da persuadere il Presidente che anche il suo minimum sine qua non di una pace giusta non avrebbe potuto attuarsi senza vittoria decisiva. La guerra sottomarina e gli incidenti con gli Stati Uniti non possono aver fatto altro che accentuare in Wilson la convinzione così già formatasi che anche gli Stati Uniti non avrebbero potuto cooperare alla pace che scendendo in campo con tutte le loro risorse. L'idea della pace giusta senza vittoria non tramontava per opera di Grey e di Briand, ma per opera della stessa Germania, di cui Grey e i ministri alleati intesero fin dall'inizio lo spirito assai meglio di Wilson. Un altro punto importante di queste Memorie e che conferma tragicamente la verità delle paure in base alle quali Grey e la Francia fecero tante criticate concessioni alla Russia prima e durante la guerra, è quello che riguarda la spedizione dei Dardanelli, intrapresa per impedire che la Russia fosse tagliata fuori da ogni comunicazione con gli Alleati d'occidente e che per poco non riuscì. Nulla, secondo Grey, contribuì a pervertire il senso dei valori strategici quanto le operazioni dei Dardanelli. Se si fosse accettata la cooperazione greca e se, in seguito a vittoriose operazioni militari-navali greche e britanniche Costantinopoli fosse caduta in mani alleate, l'effetto in Russia sarebbe stato disastroso e non è facile veder limiti alla catastrofe che ne sarebbe seguita. "... Il fatto che divenne necessario concludere un trattato segreto con la Russia promettentele Costantinopoli in caso di vittoria nostra, dice da sé la gravità della situazione". E quel che Grey dice di questo trattato segreto vale di tutti gli altri conclusi nel mentre egli era al "Foreign Office"; egli paragona la loro accettazione all'accettazione dell'impiego dei gas asfissianti: non c'era scelta; erano atti di guerra necessari a impedire che chi poteva essere con l'Intesa non passasse dalla parte degli Imperi Centrali; la scelta era tra il pagare il prezzo richiesto da chi a tal prezzo soltanto era pronto a scendere in campo con l'Intesa e il veder costui andar ad aumentare le schiere del già formidabile e soverchiante nemico. Era assurdo, ad es., sperar di tener fuori dalla lotta la Turchia, che era già venduta alla Germania, e La Bulgaria, che era convinta che il Kaiser stava vincendo; o pensare che la Grecia potesse astenersi dal seguir l'esempio bulgaro solo in omaggio agli iniziali fini di guerra dell'Inghilterra e della Francia. "È patetico - osserva Grey commentando le critiche della sua politica balcanica fallita: la Turchia schierarsi con gli Imperi Centrali e la Bulgaria che ne segue l'esempio più tardi - il constatare la fede che molti hanno nella capacità delle parole a compensare gli effetti delle sconfitte militari!". Il fatto si è che i successi e gli insuccessi diplomatici dell'Intesa coi popoli e coi Governi balcanici non facevano che seguire e riflettere le vicende or favorevoli or contrarie della guerra combattuta. Non inferiore in peso ai più interessanti capitoli di quest'opera è l'ultimo, che ne è in ispirito l'epilogo e che riassume quella che per Lord Grey è la suprema lezione di cose che per tutti scaturisce dalla grande guerra. "Una lezione si è che noi non dobbiamo impegnarci ad osservare alcuna regola di guerra, che gli altri firmatari non s'impegnino a far rispettare, se occorre, con la forza, contro chi la violi. È irragionevole vincolarsi a rispettar norme che altri può violare con impunità". La principale lezione, per altro, si è che "fino a che durino le diffidenze e le paure che trovano espressione nella formazione di contrastanti sistemi d'alleanze, è presto o tardi inevitabile che chi teme che un dato equilibrio si sposti a suo svantaggio e si crede capace di ciò impedire reputandosi meglio armato degli altri, provochi o si lasci indurre a provocare una guerra "difensiva". Ciò che spiega perché Lord Grey è un entusiasta fautore della Lega delle Nazioni, perché solo per questa via si può impedire che l'Europa si divida di bel nuovo in due opposti campi armati. La lega è per Lord Grey assai più che un mero ozioso e inutile Areopago, quale piace far credere che sia ai Cippico, ai Coppola e a tanti altri parvenus del nostro policantismo. La Lega è il prodotto e l'espressione del fatto che l'Europa non basta più a se stessa né politicamente, né militarmente; che nessuna coalizione di Stati europei basta più a sopraffarne un'altra o ad evitar d'esser sopraffatta senza potersi appoggiare economicamente e politicamente al mondo transoceanico, che è ormai destinato ad esser sempre più arbitro delle contese europee; e che la scelta per l'Europa e per ogni suo Stato non è più tra la rassegnazione allo statu quo e una guerra liberatrice, ma tra la graduale pacifica consensuale alterazione in meglio dello statu quo e la catastrofe della comune civiltà. La Lega è insomma la espressione della necessità di scegliere tra la guerra e l'anarchia, che è rovina per tutti e la consultazione e cooperazione reciproca. Non è imposta dall'alto; emerge dall'intero processo storico mondiale, che dice alle nazioni tutte con le parole di Lord Grey: imparare, o perire. Ecco, in concisissimo riassunto, il contenuto di queste Memorie, che, se certo non ci rivelano una stella di prima grandezza nel mondo della diplomazia, ci rivelano però un uomo onesto, un idealista senza illusioni, che scrive non per difendersi, ma per dire in base a quale visione d'una situazione e a quali pensieri egli prese le sue decisioni e per mostrare che egli non agì che dopo aver pesati vantaggi e svantaggi d'ogni ragionevole alternativa e, dopo questo confronto e calcolo, agì risolutamente. Lord Grey ci appare essenzialmente come un uomo che preferisce che le decisioni siano imposte quasi dagli eventi più che cercate e che è più sicuro nel dir di no che nel dir di sì, nel veder ciò che non conviene più che non ciò che si deve o si dovrebbe fare. Vi sono alcuni detti di Lord Grey che sono in sé risposte a lezioni di critici e che ne fanno un esemplare di politica antimachiavellica. Ad es.: "la difficoltà non sta nel dire il vero, ma nel riuscire a farlo credere tale". Ovvero: "Che cos'è la diplomazia? O non v'è simil cosa o è qualcosa che esiste in ogni sorta di relazioni umane, in relazioni tra uomini d'affari, tra imprenditori e trade-unions, ecc. È chiamata diplomazia quando i Governi, che sono i Comitati esecutivi delle rispettive nazioni, trattano tra di loro, perché allora riveste certe forme. I rappresentanti dei Governi si chiamano Eccellenza, ecc., ma il giuoco a cui giuocano è essenzialmente lo stesso che se si chiamassero Tom, Jim od Harry. L'uomo onesto è onesto in diplomazia come in affari: il disonesto non sarà più onesto nella nuova che nella antica diplomazia...". Diremo che Sir Edward Grey non commise, date le informazioni che egli possedeva, errori? No; egli stesso francamente ammette più volte di esser stato reluttante a credere il peggio; ed è notevole in lui una eccessiva mancanza di curiosità circa le situazioni militari; ad es., avendo inaugurato le conversazioni militari e navali con la Francia e la Russia, non si curò punto di saperne i risultati. Si direbbe che egli agisse sempre in base al principio che una volta che un ministro degli Esteri è sicuro d'avere i migliori consiglieri militari a portata di mano ed ha affidato ad essi dati compiti, il suo dovere è di aver fiducia in essi fino a prova contraria e di non intrudersi nelle loro faccende. Incidentalmente la "passività" che in Grey sembra prevalere, di fronte alle situazioni, sulla "iniziativa" per dominarle, passività che lo mette in tanto contrasto con Churchill e Lloyd George e che pare e forse è in gran parte dovuta a temperamento e a tradizione domestica (Grey è di una storica famiglia Whig) si dimostra coincidente con quello che è un atteggiamento quasi costante dell'Inghilterra in politica estera e che riesce spesso sconcertante ai continentali. Anche ultimamente a Ginevra, ad esempio. la delegazione britannica apparve puramente critica, negativa, quasi ostruzionista in confronto, ad es., della francese. Ma per chi si sia avvezzo alla atmosfera storica e allo spirito liberale inglese, ciò è più apparenza che realtà. Gli è che gli uomini di Stato inglese preferiscono andare ai convegni internazionali con la mente aperta, più disposta a sentir gli altri e a modificare i suggerimenti altrui che a metterne innanzi di proprii: è preoccupata che si faccia poco e sicuramente, che molto, in apparenza, ma in modo vago e instabile: è il metodo che gli Inglesi applicano in casa propria e che, a quanto pare, ha fin qui dato ottimi risultati. Studiate Burke e Gladstone e troverete che è così. Lord Grey non ha fatto che continuar questa tradizione. Quello che a pubblicisti e uomini di Stato continentali, avvezzi a politiche estere dirette da Cancelliere e Corti libere da inframmettenze parlamentari e intolleranti di esse e quindi libere di intrigare e far piani complicati a lunga scadenza, pare, da parte del "Foreign Office" un'oculata, lungiveggente, satanica astuzia machiavellica, Lord Grey ci presenta come accumulata esperienza ed attitudine empirica a risolvere ogni giorno i problemi della giornata. Pur essendo vero che è minima la parte del pubblico inglese che si occupa di politica estera, è anche vero che il ministro degli Affari esteri, in un paese a libera stampa e senza coscrizione di sorta, non può, qualunque sia il suo disegno, sperar di attuarlo, che se riesce a giustificarlo a' suoi colleghi, che sono in più diretto rapporto col Parlamento e col Paese e se questi riescono a mantenere e a cattivare per esso il favore dell'opinione pubblica. Non solo; dato l'alternarsi dei partiti al potere, egli non può coltivare che direttive che anche i suoi successori non oseranno interrompere e sconfessare e, presumibilmente non potranno non perseguire pur essi. V'è di più. Dato un Impero vasto come il britannico, vasto oltre ogni concepibile ambizione e suscettibile di suscitar molte gelosie, un ministro degli Esteri, specie se liberale, è naturalmente tratto ad intuire che il miglior modo di consolidarlo e conservarlo è quello di conservar la pace e che il miglior modo di conservar la pace è quello di favorire e non ostruire le giuste aspirazioni ed esigenze di altri popoli, quello di ascoltare invece di esser sordi, quello, occorrendo, di dar l'esempio in tempo di savie rinuncie, guadagnando in influenza quel che si deve rinunciare in potenza. Ecco perché le Memorie di Lord Grey sono non mere Memorie, ma anche preziosi insegnamenti ed esempio di rara rettitudine politica. Lord Grey non riuscì, nonostante ogni suo sforzo, ad evitare la guerra, ma riuscì a far sì che il suo Paese entrasse in guerra, spiritualmente, nelle migliori condizioni possibili e a mani nette e senza gravi peccati di omissione e di commissione; e riuscì a fare in modo che, fino a che la direzione della politica estera rimase nelle sue mani, essa sia rimasta degna delle più nobili tradizioni liberali inglesi. Quale disastro che essa non sia stata nelle sue mani nei mesi fortunosi in cui veniva preparato il Trattato di Versailles! Ben possiamo comprendere che i due anni in cui la politica estera fu tenuta da Lloyd George abbiano suscitato in Lord Grey "indignazione e disperazione quale io non riuscii a provare nel caso di alcun altro Governo britannico". ANGELO CRESPI.
Twenty-five years: 1892-1916, by Viscount GREY OF FALLODON, G. K., 2 vols. (Hodder and Stoughton 42 shillings, net.)
|