Vita meridionaleDUE CONGRESSIPer mostrare in forma plastica quale sia la vera essenza della questione meridionale, il caso ha voluto che si svolgessero contemporaneamente due Congressi regionali con spirito perfettamente antitetico: il Congresso per il risorgimento economico del Mezzogiorno, a Napoli, ed il Congresso del Partito Sardo d'Azione a Macomer. Il primo è una riunione prettamente economica, diretta a compilare una specie di nota della lavandaia di opere pubbliche ed altri provvedimenti da chiedere al Governo. Incapace di risalire alle cause che ci hanno condotto alla presente miseria, lo spirito del Congresso di Napoli è ancien régime; si contenta del paternalismo taumaturgico, è persuaso che le plebi bevano ancora grosso in materia politica e perciò non teme di illuderle con promesse mirabolanti; in una frase, non eccede la mentalità borbonica convinta di contribuire all'elevamento morale ed economico dei paese mercè gli emarginati del Real Istituto d'Incoraggiamento di Napoli e delle Società economiche delle Provincie. Esso potrà fornirci una visione panoramica del complesso problema, ma è negato a comprendere che l'ostacolo maggiore alla sua risoluzione consiste proprio nello spirito di servilismo governativo di cui i congressisti danno così tristo esempio. Tutta l'essenza della questione meridionale è perciò non soltanto assente dall'adunata napoletana, ma addirittura contro di essa. "La questione meridionale - ha scritto in questa circostanza il Solco - non si risolve in Congressi ufficiali, ma nello spirito stesso delle masse. Se esse non partecipano direttamente a preparare la loro redenzione, questa non potrà verificarsi, data anche per provata la buona volontà del Governo, il quale continuerà nel sistema delle elemosine, di cui il Congresso vuole essere una nuova grandiosa applicazione. Sopratutto manca ai fautori del Congresso di Napoli la visione completa del problema meridionale: economico, politico, spirituale insieme. Se così non fosse, non si perderebbero in frammentarie richieste, che non risolveranno, se accettate, radicalmente il problema, ma si accorgerebbero che solo una profonda riforma dell'organizzazione amministrativa dello Stato, togliendo le cause - per dir così - storiche del male lamentato offrirebbe la guarigione completa. Finché il Mezzogiorno non avrà spezzato, con le proprie mani, la coalizione degli interessi industriali del Settentrione, non potrà parlarsi di rinascita meridionale e tanto meno di sviluppo economico". ***
Il Congresso del Partito Sardo d'Azione è invece fortemente impregnato di questa spiritualità che costituisce il succo del meridionalismo. Esso è perciò un Congresso politico e non economico: una presa di posizione contro lo Stato storico e non una richiesta di particolarismi. Il brano, perciò, dell'organo ufficiale di questo partito, trascritto di sopra, è decisivo a segnare le differenze tra Macomer e Napoli. Del resto queste differenze sono le stesse esistenti tra il fascismo isolano ed il sardismo. Infatti il fascismo isolano è composto per tre quarti di ex-sardisti, che, a giustificazione del loro tradimento, adducono la necessità di assicurare all'Isola una buona serie di opere pubbliche. Nella loro caratteristica mentalità trasformistica essi affermano in ogni occasione di essersi sacrificati per il benessere del loro paese. Ma siccome il paese non ha tratto alcun vantaggio da questo sacrificio è logico dedurre o che i sardisti secessionisti sono stati troppo ingenui a credere alle promesse del Governo, o che la via per risolvere il problema meridionale non passi per Palazzo Braschi. Noi siamo convinti proprio di quest'ultima verità e perciò seguiamo con vivo interessamento l'azione sardista, ispirata ad alte ragioni d'intransigenza. Anche se essa non ha per ora virtù propulsiva, ha tale un valore educativo da farci veramente sperare nell'avvenire. Occorre, però, che i dirigenti sardisti si estraneino sempre più dall'azione parlamentare per dedicarsi al paese. Il proposito esposto da Camillo Bellieni di accostarsi sempre più al popolo mercè un'azione classista temo sia destinato ad incontrare ancora ostacoli nella pratica, specialmente a causa di talune posizioni personali, che nel Partito permangono. Non bisogna, perciò, addormentarsi sulle posizioni raggiunte, ma si deve porre ogni opera a migliorare la compagine del Partito, e sopratutto a differenziarli sempre più dalle altre opposizioni antifasciste. Anche se il Congresso non deciderà la secessione dall'Aventino, occorre che il Partito si prepari con ogni urgenza: non è sulle posizioni di compromesso, ma su quelle di intransigenza che si può sperare di vincere. Ormai i termini del problema sono chiariti. Li ha esposti sul Solco Luigi Battista Puggioni con grande perspicacia. Mette conto trascrivere: "Due anime vi sono nell'Aventino: vi è un'anima conservatrice che concepisce il superamento della situazione attuale come un ritorno al pseudo literalismo prefascista, e vi è un'anima rivoluzionaria la quale crede che una vittoria sul fascismo debba portare a nuovi istituti che meglio garantiscano la libertà dei cittadini e il fecondo sviluppo delle classi sociali, divenute veramente compartecipi della vita nazionale. "Queste due concezioni, così profondamente diverse, se possono trovarsi unite nella negazione, non possono mai essere nell'attività pratica. "Vada perciò ciascuno per la propria via e operi secondo le intime necessità del proprio ideale. "Noi, fedeli alle nostre origini, siamo ben consapevoli del compito che ci è affidato. "Comprendiamo chiaramente che l'autoritarismo fascista, esasperazione del vecchio sistema pseudo-liberale, non possa essere superato che dalla immissione delle vita politica delle masse rurali organizzate attorno a precisi interessi, quale la libertà doganale, la giustizia tributaria, la libertà sindacale, le autonomie di enti comunali e regionali e così via. "L'Italia non si salva con abili modificazioni di schemi formali o con l'avvicendamento di oligarchie trasformistiche al governo della cosa pubblica, ma portando con pazienza e tenacia il popolo italiano, oggi assente, a partecipare alla vita dello Stato, a realizzare in forma concreta l'autogoverno. "A Macomer noi dovremo porre con precisione i termini di questa azione che va fatalmente maturandosi. "Il passato non può ritornare per nessuno, ed è tempo oramai che, abbandonate per sempre le logomachie e le querule proteste, ogni partito riprenda la sua via. "Non preoccupiamoci di decidere se i deputati debbano persistere nella secessione parlamentare o ritornare nell'aula: son questioni di così insignificante dettaglio che non debbono fermare neppure per un istante il nostro pensiero. "Restiamo dunque fedeli al significato morale dell'Aventino, ma riprendiamo confusi fra il popolo la paziente fatica di autoeducazione che dovrà condurci al nuovo stato nel quale il popolo si sentirà veramente sovrano". Nobili e serene parole queste che mettono in luce che il sardismo tende sempre più a divenire un'idea universale, a farsi centro della soluzione meridionalista. È questo, dunque, il terreno su cui occorre lavorare: il sardismo, se vuole vivere, deve porsi sempre come avanguardia organizzata del meridionalismo, ed attendere nella torre d'avorio dell'intransigenza che il Mezzogiorno continentale dia segni più patenti di risveglio. ***
Certo i tentativi finora svoltisi in questo campo non danno soverchio affidamento. La fine ingloriosa dei partiti molisano e lucano d'azione hanno forse gettato nel cuore di molti sardisti il seme del dubbio. Ma la questione meridionale batte alle porte sempre più insistente, con un rintocco funebre per la vecchia Italia, nata ed ingrassata nel compromesso anti-meridionale. Di essa può dirsi ciò che Tacito scriveva di Bruto e di Cassio alle esequie di Giunia: Sed praefulgebant Cassius et Brutus, eo ipso quod effigies eorum non visebantur. Il meridionalismo ancora non esiste e già opera da lontano: costringe il Governo a bandire la crociata mezzogiornistica, riempie la stampa governativa e di opposizione, consiglia la convocazione del Congresso di Napoli. Che cosa temono questi signori? Quale spettro turba i loro sogni? Essi sono i padroni del momento. Con un Governo che deve svolgere il tema trasformista in forma unitaria e perciò deve ripudiare gli accordi di gruppo per ammettere il solo tesseramento individuale, non temono di essere scalzati da nessuno nei posti di comando. Che cosa dunque, temono? La risposta è semplice: temono l'avvenire. Quando il popolo meridionale comincierà a comprendere che il fascismo è nient'altro che l'esasperazione del giolittismo, quando l'odio contro il trasformismo crescerà all'infinito e la piccola borghesia rurale avrà smaltito questa stupida paura del socialismo che ancora le accappona la pelle, allora le idee autonomiste avranno libero il campo, e la sconfitta delle minoranze trasformistiche sarà assicurata. In quell'ora il sardismo diventerà padrone del campo, e saranno benedetti coloro che lo avranno salvato dalle contaminazioni. GUIDO DORSO.
Non abbiamo bisogno di ripetere che l'autonomismo meridionale, il meridionalismo, è una delle tesi fondamentali di Rivoluzione Liberale sin dal Manifesto del febbraio 1922: anzi risale ad Energie Nove. Ma noi non ci facciamo nessuna illusione sul grado di maturità del Mezzogiorno: sappiamo benissimo che lo stesso autonomismo potrebbe risolversi nel Sud in una pratica reazionaria, sappiamo che la rivolta dei contadini è stata sempre per il passato antiliberale e ai giovani nuovi del Sud a cui abbiamo diretto l'Appello meridionale chiediamo appunto di lavorare contro questi pericoli.
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