Inchiesta sulla liral.Stabilizzazione della lira, valutazione o ritorno all'oro? La domanda non mi sembra felice. Non sono tre corni di un dilemma, né i tre fenomeni economici giacciono in uno stesso piano. Una questione è principale; ritorno all'oro; le altre sono subordinate a quella come mezzo al fine. In realtà le discussioni molteplici che si sono venute agitando in questi ultimi tempi non hanno molto giovato a chiarire le idee; si sono affrontati insieme un nuvolo di problemi, mentre sarebbe stato utile cominciare col disporli per ordine di importanza e di successione logica, in modo da mettere in evidenza il nodo centrale. Questo è il punctum saliens. Decidere se devesi o meno ritornare all'oro, se deve cioè la nostra carta essere convertibile in oro ad un cambio determinato e se l'oro deve esser liberamente esportabile come mezzo di pagamento internazionale. Per mio conto ritengo che un ritorno all'oro sia da desiderarsi e da propugnarsi con ogni vigore. Inutile ripetere qui i vantaggi connessi con uno standard aureo e per quali ragioni dovrebbe l'Italia seguire l'esempio dell'Inghilterra, dell'Olanda, dell'Africa del Sud e di altri paesi. Una volta poi che tutti si siano ben messi d'accordo sull'obbietto da raggiungere, si baderà ai mezzi più acconci per conseguire lo scopo. Si discuterà cioè - nell'ipotesi che il ritorno all'oro sia stato deciso - sulle circostanze di tempo più favorevoli per l'operazione, sulle modalità tecniche, sulle riserve auree degli istituti di emissione, sugli accordi con gli istituti esteri e via dicendo. E si discuterà anche di stabilizzazione e di rivalutazione. ***
2.La quale discussione, a mio giudizio, ha una importanza, più che economica, politica. Dal punto di vista della economia pura è indifferente stabilizzare o rivalutare. Supposto che tutti i prezzi delle merci, gli stipendi degli impiegati, i salari degli operai, le imposte e le tasse, i titoli di Stato, i valori azionari e obbligazioni, i mutui variino nella stessa proporzione in cui la nuova moneta aurea da introdursi sta alla vecchia moneta cartacea, noi potremmo dall'oggi al domani ritornare alla lira oro d'anteguerra, perché tutto resterebbe immutato. Ma sappiamo che in pratica questo non accadrebbe. Alcuni prezzi resterebbero fermi, altri camminerebbero adagino adagino, altri invece si slancerebbero arditamente avanti con passo da bersagliere. E allora? Poniamo mente in particolare alle conseguenze politiche, e consideriamo il fenomeno in termini di reddito. Il reddito nazionale annuo si può dividere in tre grandi parti: una parte va ai detentori di obbligazioni, di titoli a reddito fisso, ai capitalisti mutuatari; questa parte di reddito resta immutata in valore nominale, ossia espressa in lire, ma varia in capacità di acquisto col variare del valore della lira. Un'altra parte risulta dei salari e degli stipendi: essa di regola varia nella sua espressione in lire in modo da tendere all'ingrosso a mantenere inalterata la sua capacità d'acquisto. La terza parte del reddito nazionale va agli imprenditori; essa varia non soltanto in valore nominale ma anche in capacità d'acquisto. A ognuna delle varie categorie d'individui cui affluiscono i redditi sopra considerati (interessi, salari, profitti, ecc.) corrispondono determinate caratteristiche, onde risulta poi la struttura e la fisionomia della società politica del tempo. Variando dunque le proporzioni in cui si divide il reddito nazionale, si modificano i redditi individuali, e si sposta la importanza rispettiva delle classi sociali, delle quali alcune si avvantaggiano, altre restano danneggiate: ecco l'importanza politica della stabilizzazione e della rivalutazione. Gli economisti hanno posto in luce un fatto che ha avuto una grandissima importanza nel determinare l'organizzazione della attuale società industriale: il fatto della diminuzione lenta e graduale del capitale investito a lunga scadenza e ricompensato da redditi fissi (mutui, obbligazioni). Questo fatto sostanzialmente dipende dalla lenta ma continua erosione del valore della moneta. I rivalutazionisti che in ossequio al dovere dello Stato di restituire al creditore l'identico valore mutuato, vagheggiano il ritorno alla lira prebellica, capovolgerebbero nel suo andamento di fenomeno qui sopra ricordato, a tutto vantaggio delle classi capitaliste. Quali le conseguenze? Io non do giudizi di merito. Né tantomeno nego l'importanza di questi problemi e delle discussioni intorno a questi problemi. Dico anzi che questi problemi - per la loro portata - trascendono i limiti della economia; e pur ricorrendo al parere dei tecnici, cioè degli economisti, per aspetti particolari di essi (per esempio, possibilità o meno di mantenere una data stabilizzazione, misura da prendere per facilitare una graduale rivalutazione e via dicendo) debbono siffatti problemi esser sottratti al piccolo sacrario dei competenti per esser sottoposti alla libera e più ampia discussione di tutti i politici. ***
3.Un noto economista ha ingaggiato una battaglia a favore di un sistema monetario in cui la circolazione sarebbe controllata dalla banca centrale di emissione così da garantire la stabilità dei prezzi. Chi non vede le conseguenze politiche di un siffatto sistema? E sarebbero esse buone o dannose? ***
4.Tra le molte ragioni a favore del ritorno a uno standard aureo, ce n'è una che non vedo di solito messa in rilievo. Dacché gli Stati Uniti d'America sono rimasti l'unico mercato in cui l'oro poteva liberamente entrare ed uscire, l'oro ha perduto di utilità (che utilità avrebbe un telefono per un Tizio che nel mondo fosse il solo a possederlo?) e di valore, ché è venuta meno la massima funzione dell'oro: quella di equilibrare, circolando di nazione in nazione, i vari sistemi di prezzi rappresentati dalle singole economie nazionali. Ed è successo che, non il dollaro trovasse la misura del suo valore nell'oro, ma, all'opposto, il valore dell'oro si determinasse su quello del dollaro. Ma il valore del dollaro - ossia la sua capacità d'acquisto - dipende dal livello generale dei prezzi, e questa a sua volta dipende in gran parte dalla politica creditizia delle banche. Orbene, eccoci col dito sulla piaga: le Banche americane non mi sembrano aver raggiunto quella maturità di esperienza che permetta loro di essere le arbitre dei destini monetari del mondo. Tra le banche dei diversi Stati civili, quelle del Nord America hanno da cento anni in qua rappresentata un po' la parte del Giappone, che è il paese più terremotato del nostro pianeta. Ed anche in questi ultimi sei anni, le banche federali, pur trovandosi in condizioni di eccezionale prosperità, non hanno dato nessuna prova di grande saggezza. Esse hanno subìto le necessità finanziarie del governo americano, e hanno dovuto tener basso il saggio dello sconto per facilitare il collocamento dei vari prestiti pubblici, provocando così una vera e propria inflazione. Ora che le banche nazionali, arciprovviste di denaro, non riscontano più presso le banche federali, queste non sanno dove trovare le attività necessarie a ricoprire le fortissime spese e dare un interesse al capitale. Sicché sono costrette a comprare carta sul mercato, e titoli anche quando sarebbe il caso di fare tutto l'opposto. Si verifica in America quello che succede anche da noi, dove una buona parte del credito inflazionista è dovuto al fatto che molte banche sono costrette a scontare carta anche di dubbia sicurezza pur di guadagnare il minimo indispensabile per vivere. Si sono lodate le banche federali per aver concesso con parsimonia il credito, mentre le vastissime riserve auree avrebbero loro consentito di largheggiare. Ma queste lodi sono fuori posto. Forseché il credito che concede una banca non dipende, oltreché dalle riserve di cui dispone, anche e sopratutto dalla possibilità - che è sempre limitata - di fare buoni affari? Un ritorno simultaneo di più nazioni allo standard aureo collegherebbe il valore dell'oro a quello di tutte le varie monete convertibili in oro, e attraverso queste, ai livelli dei prezzi delle singole nazioni, creando così un sistema generale di forze, che, oltre all'equilibrio monetario, raggiunga un più stabile equilibrio industriale. GIUSEPPE BRUGUIER.
|