I mistici della politica

    Può essere che noi abbiamo bisogno ancora una volta di inventariare la nostra cultura politica. Chi scrive ne sente il bisogno di momento in momento, di fronte al pullulare di nuovi movimenti, di nuove correnti, di nuove riviste. Ma non c'è cosa più difficile, perché l'idea che tu vorresti afferrare e chiarire e valutare ti sfugge per volontà stessa di coloro che la professano: ad ogni tua richiesta, diretta o indiretta, di sapere precisamente di che cosa si tratta, trovi che i fautori dell'idea si stringono nelle spalle e trovano che tu non capisci. Una volta, in tempi di maggior semplicità, o se volete, di maggiore ingenuità, si usava spiegare, chiarire, dimostrare: e l'oscuro, il nebuloso era il peggior nemico della fortuna di un movimento, di una dottrina. Ora, sembra esserne il vanto.

    Ma peggio accade quando si vuol ragionare positivamente, e si cerca di portare un contributo attivo nel dominio della pratica. Il vedere, o tentar di vedere, più a fondo: lo sforzo per afferrare e comprendere un pensiero, un'azione, un fatto nella loro esatta determinazione, e per allargare di conseguenza le nostre e le altrui visuali: tutto questo è costantemente tacciato di inintelligenza e di cecità. E la taccia si acuisce e si inasprisce se poi cerchiamo di far scaturire dal nostro atteggiamento una norme di azione nostra, e invitiamo a soppesarne il valore. Qui i pratici arrivano addirittura al momento elegiaco della compassione.

    Essi "capiscono", sì: e tanto basta. Così s'intona e si santifica questa interessante e curiosa mistica della comprensione. Capire, capire! Ma chi discute, ma chi critica, quegli è condannato a non capire. Perché capire diventa una specie di atto ineffabile, un'immersione nelle oscurità marginali di un mondo indefinibile: qualche cosa di talmente esoterico, che chiunque si sente in diritto di rivolgere ad altri l'accusa di incomprensione appunto perché gli nega il reciproco diritto di poter mai capire.





    Chi abbia un po' di pratica della storia e delle fortune della nostra cultura contemporanea si rende conto benissimo delle origini di questo comodissimo sistema polemico. Questa cultura è stata successivamente tormenta dal pullulare di una serie di movimenti giovanili, uno accavallato sull'altro; i quali avevano, sì, quel tanto di energia che occorreva per muoversi, ma non in quella misura che avrebbe loro consentito di spiegare perché si muovevano: e allora per rimediare alla mancanza di chiarezza e di determinazione nelle idee, si sono affrettati via via a sostituire alle idee la dichiarazione che gli "altri" non capivano nulla e quindi non erano autorizzati a pretendere spiegazioni. E frazionandosi i movimenti, questo sistema è stato spinto, dalle diverse fazioni in lotta tra loro, fino al parossismo.

    Gli avanguardisti della cultura sono diventati, chi più chi meno, fascisti o combattentisti o imperialisti o liberalnazionali; e qui hanno subito scoperto che il metodo era quanto mai eccellente. Anche qui, naturalmente, non mancava loro quel fuocherello in seno che bastasse all'occorrenza per un poco di spontaneo entusiasmo e per tutti gli artifici complementari; mancava però la sostanza indispensabile per essere qualche cosa di concreto e di preciso nella vita politica: e allora, ripetendo nella politica un fenomeno letterario, essi hanno difeso la dignità del loro sfrenato movimento in avanti con la tesi della incomprensione altrui.

    Non vale la pena di occuparsi di questo atteggiamento in quanto è sfruttato dal fascismo come un dei tanti pretesti per chiuderci la bocca. In questo caso esso si riduce infatti al peso e al colore di una violenza verbale. Ma la cosa diventa più complicata e più squisita quando si tratta di un gruppo di oppositori, ricchi di scrupoli e di senso della dignità: qui diventa proprio una sottile malattia, che serpeggia nella struttura cerebrale di questi "amici" e li rende intrattabili e sprezzanti, o per lo meno restii a ragionare in maniera condiscendente con il resto dei mortali.





    Per venire a un esempio, non se l'abbiano a male i combattenti se proprio a loro si applica questa analisi: voglio dire, si capisce, i combattenti indipendenti, che conservano ancora quella posizione autonoma con cui si presentarono qualche anno fa nella vita politica. Se chiedete loro schiarimenti in merito a questa posizione, vi risponderanno press'a poco così: "Noi crediamo che i vecchi partiti non possano combattere il fascismo perché essi rappresentano l'Italia di prima di Vittorio Veneto, dalla quale oggi ci divide un abisso: la loro successione al fascismo rappresenterebbe un passo indietro. Il fascismo si è reso conto che Vittorio Veneto rappresenta l'inizio di una nuova epoca e l'affermazione di nuovi, valori, ecc., ecc.,; ma ha tradito lo spirito della vittoria, piegandolo a mezzo di governo tirannico e a servizio della plutocrazia. Soltanto i combattenti possono combatterlo perché soltanto essi hanno il diritto di rimproverargli questo tradimento in nome della coscienza nuova del popolo italiano, ecc., ecc.". L'interlocutore, a questo punto, domanda di grazia che cosa sia la coscienza nuova e in che cosa differisca dalla coscienza vecchia; e perché la coscienza nuova non dà origine a un nuovo partito, o non ringiovanisce i partiti; e se per caso i partiti non potrebbero anche loro essere in via di acquistare una coscienza nuova, e via dicendo. Ma allora gli si volta sdegnosamente le spalle dichiarando che non capisce, od osservando con malcelato disprezzo che se la coscienza nuova non l'ha, non la può nemmeno acquistare.





    In realtà questa e le altre varie "coscienze nuove" che corrono il campo a conturbare le idee, sono appunto oscure forme di male inteso misticismo (e si osservi, di fatti, la peculiare affezione dei combattenti per Assisi), quando non si riducono per caso al desiderio di sostituire una linea "più elastica" alle "linee rigide" della politica. Il misticismo consiste nell'esaltazione di alcuni nobili sentimenti, come l'amor di patria, il ricordo delle sofferenze patite, il senso dei sacrifici compiuti, l'aspirazione umanitaria all'elevazione e al progresso, il conseguente bisogno di novità; l'errore consiste a sua volta nello scambiare questa agitazione passionale per una coscienza politica, per un complesso di idee e di tendenze ben determinate; e la radice dell'errore sta nel senso di pigrizia, stanchezza o repugnanza che si prova dai più di fronte all'obbligo di determinare idee e tendenze.

    Così i mistici della politica ripetono una volta ancora le aberrazioni dei mistici dell'arte, della filosofia, della scienza. Non neghiamo loro che una certa zona dello spirito contemporaneo è fatta proprio per accogliere queste aberrazioni, e che particolarmente in Italia il misticismo politico può trovare, come trova, seguaci. Ma neghiamo che ciò possa significare qualche cosa di positivo e di concreto. Potrà essere riuscito il misticismo politico a metter radice solo perché avrà fatto ricorso ad abili forme di concorrenza politica: tutti ricordiamo a quale disastro andò incontro quando cercò di presentarsi alla luce del sole, e senza aggeggi, con la Lega italica di Sem Benelli.

    A questo nome che mi è cascato dalla penna si attacca, come ad un uncino, una considerazione abbastanza ovvia: che cioè quegli stessi mistici che ora stanno proclamando la comprensione propria e l'incomprensione altrui, sono dal più al meno gli stessi che prima della guerra, non essendosi ancora affacciati all'orizzonte politico, si sfogavano a incriminare Croce di non capire nulla d'arte o magari di filosofia, e a far monopolio per sé stessi dell'arte di capire. Mi ricordo di averne sentito, in un caffeuccio quasi di provincia, uno che stava infliggendo e una povera donna una lezione di questo genere: e la pipa che gli ballava fra i denti, incorniciata da una barbicola rossastra, diceva anch'essa di sì ad ogni invettiva contro ser Benedetto.





    Io credo abbastanza necessario che si diminuisca al minimo possibile l'abitudine di scambiare per penetrazione la propria disordinata effervescenza e per ottusità l'altrui compostezza. E credo più fermamente ancora nella virtù e sanità pratica delle idee chiare e precise. So bene che le idee chiare e precise, specie in politica e in arte, hanno aspetto modesto e paion sempre vecchiotte; ma bisogna guarire dalla malattia della genialità, e adattarsi a vivere terra terra, per cavarne quel po' di frutto che dobbiamo ottenere.

    Un atteggiamento di questo genere si potrebbe anche giustificare così. La mentalità "geniale", cioè intuitiva e brillante, non è fatta per muoversi nel presente, ma per avanzare nel futuro e, se ha qualche valore, gettar semi che germoglieranno in seguito.

    Nel presente si agisce rettamente sfruttando l'esperienza e le divinazioni del passato, che vuol dire riflettere e ragionare assai cautamente. "Capire" d'altra parte, e cioè intendere le esigenze e le ragioni di quel che si tratta di fare o di giudicare, non significa altro se non allargare e approfondire le proprie idee fino al punto di compenetrarle con la realtà. Come si possa arrivare a questo punto a colpi di intuito, e come l'arrivarci per altra via debba ritenersi vana pretesa, son cose che vorremmo sentirci spiegare, se di spiegazioni ci degnassero, e degnassero sé stessi, coloro che tengono il campo così allegramente.

S. CARAMELLA.