Prerisorgimento

GIANNONE

    In Pietro Giannone si riflette limpidamente lo spirito della borghesia meridionale del Settecento. Questa borghesia nata in margine all'epoca feudale e composta in massima parte di piccoli commercianti e di professionisti, essendo uscita dalla Controriforma porta in sé tutto quanto di negativo si conserva nell'anima nazionale. A voler scendere sino in fondo si può dire che essa non forma nemmeno una classe; vale a dire un aggruppamento omogeneo, sufficientemente definito, con preoccupazioni ed interessi se non identici, affini. Quello che così ce la fa definire è una inquietudine comune, una aspirazione vaga e indefinita a mete moderne, una certa repulsione verso il Papato annacquata però da sottili distinguo e dalla massima riverenza al cattolicismo.





    Il Rinascimento alterandosi come reazione non aveva dato agli italiani alcun sostegno interiore per cui al posto dei grandi movimenti ideali sorgono il naturalismo e il diritto positivo, e da un paternalismo si vuole passare ad uno nuovo. Il monarchismo tradizionale degli italiani ha le sue profonde radici in questo stato d'animo e le lotte fra Monarchia e Papato non assumono, per questo, carattere di irriducibilità e di avversione profonda. Non rappresentano il contrasto insanabile fra due mondi opposti. Sono beghe destinate ad appianarsi, antitesi senza consistenza ideale e con la sola consistenza dovuta alle contingenze, lotte la cui soluzione sarà poi logicamente l'alleanza di fronte all'eresia popolare. Ora in Pietro Giannone questi motivi sono in uno stato abbastanza concreto. La posizione di Machiavelli e Guicciardini è da questi tenuta con poche varianti. Anche qui la base è la verità effettuale delle cose, il fatto in sé stesso privo di richiami ideali, la politica considerata come espressione di una autorità temporale estranea e distinta dall'autorità spirituale del Papato. Nelle sue pagine non v'è nessun fremito di grande visione. Quello che vi è di nuovo e di personale è un vivo attaccamento alla Monarchia considerata come detentrice e distributrice dei diritti della società laica in essa trasmessi all'atto del suo porsi. Quindi il motivo polemico della sua Storia civile del Regno di Napoli non può non essere che il Papato. Ma bisogna bene afferrare lo spirito di tale polemica. Nel Giannone la concezione che informa l'opera è che la Chiesa deve avere soltanto il dominio delle anime poiché i beni terreni non hanno fatto che corromperla. Il cattolicismo è da lui accettato completamente a patto che non si immischi nelle faccende politiche e lasci in pace il Re. Egli crede anzi che esso tornando alle origini guadagni in autorità dimostrando così una ingenuità senza rimedi, una palese incapacità di adesione alla dialettica del divenire, una povertà di visione contro la quale la sola arma possibile è l'ironia e che viziando la sua opera dalle basi doveva fatalmente condurla a deformazioni e all'oblio. Oggi infatti, essa interessa solo come manifestazione dei tempi.





    Niente vi è nel suo seno di attuale. Nessun insegnamento balza da quelle pagine. Lo schematismo mentale napoletano nasconde l'ideologo che crede riuscire attraverso l'esegesi dei fatti al: così si voleva dimostrare. Onde l'imparzialità, quella superiorità ideale capace di fare intendere la varia e multiforme logica degli avvenimenti. Le posizioni spirituali elevate esulano in modo completo e si trova al contrario con metodica cura il prevalere della tesi nei riscontri con la realtà sul resto e l'adesione apologetica a fatti che possano servire come sostegno ad essa. È chiaro dunque che l'avversione antipapale del Giannone non può sboccare così in risultati solidi e d'avvenire, come pare è evidente ed implicito il valore della sua opera per molto tempo ritenuta colossale. In essa egli segue capitolo per capitolo l'avanzarsi della Chiesa nella storia, l'origine, il progredire e l'estendersi del potere temporale, i vizi e le corruzioni cui questo diede origine. Ma invece di darci l'analisi atta a farci capire la storicità e in certo senso, la ineluttabilità di tali fenomeni e i fatti cui questi diedero origine, ci offre invece l'apologia della Chiesa primitiva in contrapposizione. Erige dinanzi al Papato corrotto e corruttore la purezza dei tempi evangelici. Sostiene che è ad essi che si deve tornare, dimostrando efficacemente in questo modo di avere in fondo in fondo mentalità più di polemista che di storico. È una astuzia polemica difatti il suo sostenere la democratizzazione del cattolicismo, la Chiesa fondata sui fedeli, coi vescovi eletti da essi. Se fosse diversamente, tali premesse dovevano portare alle conseguenze della sovranità popolare mentre questa è dal Giannone medesimo messa in considerazione e la Monarchia considerata come sola fonte di diritto. Tutto, quindi, si riduce in ultima analisi ad un caso di incomprensione storica, espressione dello spirito del secolo mascherato dalle apparenze di uno studio della storia. Non vi è una forte esigenza interiore sospingente ad una revisione del passato da punti di vista d'avvenire. Il sottile giuoco cerebrale, l'arte di adattare ad una forma mentis svelano processi per se stessi lugubri di qualsiasi forma - eredità triste del Cinquecento -; il ristagno delle forze spirituali non fanno che generare opere le quali invece di sgombrare il cammino, lo ingombrano di più, e dove svelano profonde deficienze, basta rilevare la incapacità di penetrare nella intima essenza di determinati fatti. A voler anche prescindere dalla Storia, per provare ciò si osservi l'altro libro del Giannone, Il Triregno, nel quale, lasciala la scorta dei fatti si tenta una sistemazione ideologica e a grandi linee. Esaminato il regno terreno (uomo allo stato di natura, religione della felicità temporale, dominio della filosofia), il regno celeste (uomo allo stato di grazia, evangelo, felicità in una vita ultra terrena), Giannone passa a parlare del regno papale. E questi non comprende nel suo essere storicamente. Lo vede come una strana monarchia, miscuglio di diversi elementi così come si può vedere un fenomeno dal di fuori senza che l'intima essenza venga avvertita. Egli non lo capisce nella sua consistenza disparata nelle apparenze, ma una nella sostanza, essendo portato dal temperamento alla comprensione dei fatti che li presentano, unici e logici, e fondati su dati di fatto appariscenti. Onde la sua repulsione è la repulsione di un cattolico cui la mentalità positiva spinge all'attaccamento, alla realtà e all'adesione alla Monarchia. Scomunicato, difatti, e consegnato al Papa, abiura e rinunzia poiché in lui il senso dei valori della personalità è assente. Non è per questo, nemmeno un sospetto di eresia. È uno di quella generazione di cosidetti liberali nella quale l'esaurimento della vita italiana nelle interferenze col mondo moderno uscito dalla Riforma, si traduce in un feticismo monarchico chiedente pei sudditi riforme al cuore paterno dei re.

CARMELO PUGLIONISI.