LE COMMISSIONI INTERNEL'importanza e la gravità dello scioglimento delle Commissioni Interne non può sfuggire a chiunque consideri realisticamente le difficoltà della presente lotta politica senza illudersi con le formule romantiche della disperazione eroica e del "tanto peggio tanto meglio" che si sono rivelate inapplicabili allo scarso spirito combattivo del popolo italiano. La vittoria di Rossoni è oggi semplicemente una vittoria sulla carta: non è detto che nelle prossime vertenze l'iniziativa degli operai debba cedere il posto all'iniziativa dei mandarini delle corporazioni. Tuttavia a Torino, centro di resistenza delle Commissioni interne, la sconfitta assume un grave valore morale liquidando i simboli più popolari di un periodo eroico di agitazione e i primi istituti in cui il movimento proletario aveva cercato di esprimere la sua volontà di organizzazione politica. Le Commissioni interne hanno avuto una reale importanza soltanto nelle grandi città e specialmente nell'industria metallurgica di Torino e Milano. La loro caratteristica fu di sorgere nella fabbrica e di rispondere agli sforzi dell'avanguardia del proletariato. Infatti è a Torino, nella fabbrica di automobili Itala che la Fiom ottiene il primo riconoscimento delle Commissioni interne con limitate funzioni corporativiste, nel 1906. Durante la guerra le C. I. sono riconosciute e consigliate dal governo per gli operai militarizzati, privi del diritto di sciopero, ma si limitano a funzioni d'ordine, fuori del terreno della lotta di classe. È nel dopoguerra che le Commissioni interne diventano organi vitali, esperimento di istituti della nuova società operaia. I nostri lettori sanno che a Torino, alla Fiat, si è compiuto nelle Commissioni Interne prima, nei Consigli di fabbrica poi, il primo tentativo, non grossolanamente sovversivo ma seriamente rivoluzionario del proletariato italiano. Nel principio del 1919 la Fiom otteneva che nel concordato di lavoro le C. I. fossero riconosciute dagli industriali. I membri dovevano venir designati dalla Fiom stessa. Più tardi la lotta di classe assumeva nel proletariato metallurgico nuovi aspetti e nuovi sviluppi. Gli organismi sindacali passarono in seconda linea. Il movimento rivoluzionario sentiva il bisogno di avvicinarsi al ritmo della produzione, di aderire all'organizzazione della fabbrica. Nei funzionari sindacali intravvedeva il pericolo di un'insufficienza riformista o di un nullismo massimalista. I Sindacati erano diventati così pletorici che erano sfuggiti al controllo della massa: non era più possibile convocarla in assemblea: i poteri finivano per essere tutti delegati alla burocrazia. Dallo stesso principio originario delle C. I., rappresentanze dirette della massa operaia nello stabilimento, nacquero allora i Consigli di fabbrica eletti dai commissari di reparto, rappresentanti tutti gli operai organizzati o non organizzati: i Comitati esecutivi dei Consigli sostituirono le C. I. Gli operai torinesi difesero fino al tempo dell'occupazione delle fabbriche queste loro conquiste. Gli industriali avevano capito, come è detto nella loro relazione, "che la battaglia provocata dagli operai trascendeva dalla semplice controversia dell'applicazione di un regolamento per assurgere a più alto significato; se cioè potesse e dovesse ancora sussistere la proprietà privata delle aziende". Da organismi di controllo le C. I. dovevano diventare l'ordine nuovo del proletariato. Questa battaglia era già perduta per gli operai torinesi dopo lo sciopero della primavera 1920. La fallita occupazione delle fabbriche non fu che la conseguenza della prima sconfitta. Le Commissioni interne che funzionarono fino a ieri alla Fiat, erano disciplinate dal concordato del '21 tra datori di lavoro ed operai: non erano più elette dai commissari di reparto, ma direttamente dalla massa. Le loro funzioni erano ristrette a questioni di ordine e d'applicazione interna dei concordati firmati dalla Fiom. Tuttavia esse non si ridussero mai in questi anni a semplici organi corporativi; furono centro di agitazione e di collegamento; non si lasciarono stroncare neanche dalla reazione fascista e continuarono ad esercitare un notevole prestigio sugli operai. I fatti del dicembre 1922 hanno lasciato una profonda impressione nel movimento operaio torinese, ma non l'hanno troncato. Per tutto il 1923 e il 1924 le votazioni per la Fiom nelle fabbriche di automobili torinesi diedero risultati plebiscitari. Dopo il delitto Matteotti, per effetto della diminuita libertà d'azione della Fiom e della ripresa del movimento comunista, si ha una ripresa vivace di questi organi di fabbrica che culmina nelle elezioni per la Mutua Fiat, nelle elezioni delle C. I. della primavera 1925 e nell'accordo dell'agosto per l'aumento del caro-vivere stipulato direttamente tra C. I. e Direzione della Fiat. Questa ripresa di attività, questa permanenza di spirito combattivo viene scontato con la soppressione che corona un periodo durante il quale invano i fascisti avevano cercato con vari mezzi di renderne impossibile il funzionamento. Nelle fabbriche tratterà d'or innanzi con gli industriali soltanto un fiduciario fascista: e soltanto le Corporazioni potranno stipulare accordi economici e contratti di lavoro. Sembra che il sen. Agnelli abbia opposto una lunga resistenza a queste pretese: egli temeva che gli accordi stipulati con le Corporazioni sarebbero stati accordi sulla carta, mentre nelle C. I. poteva trovare organismi autorizzati e responsabili delle masse. A Roma si è arreso: il pericolo delle agitazioni, la considerazione del prestigio che le C. I. esercitano sulle masse, la loro tradizione costituiscono argomenti ai quali egli non ha potuto manifestarsi insensibile. In sostanza si sapeva che l'accordo tra queste due parti, industriali e Corporazioni, non doveva riuscire difficile: i dissensi erano mere schermaglie che il sistema dei compensi politici supera agevolmente. Ma c'è una terza parte che deve perfezionare la convenzione: è probabile che con questa il metodo dei compensi, degli interventi, del paternalismo non abbia così semplice il gioco. Abbiamo il dovere di seguire questa resistenza con ogni attenzione. p. g.
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