L'ITALIA NELL'EUROPA CONSERVATRICE

    Nei sei anni che tennero dietro a Versailles l'Europa ha cercato un equilibrio di pace seguendo successivamente due vie opposte. L'immediato dopo guerra fu dominato da preoccupazioni e suscettibilità nazionaliste. Non era un nazionalismo pericoloso perché non si esprimeva in vere e proprie ambizioni ma in una piccola politica scontrosa, di corte vedute. Ispiratori Poincaré, Theunis, Bonar Law, ecc.; risultato: l'avventura delle riparazioni. Con lo scacco di Ludendorf in Baviera, il venir meno delle inquietudini rivoluzionarie in Sassonia, Ungheria, Italia, furono tolti anche i pretesti di questa mentalità.

    Così la liquidazione della crisi economica mondiale portò all'esperimento di sinistra: Mac Donald, Herriot, Marx. Questo esperimento fallì prima di cominciare, benché l'indirizzo di politica estera inaugurato durante la parentesi democratica sia anche oggi in vigore. Il fallimento delle sinistre è dovuto alla situazione interna di tutti i paesi d'Europa. Le classi operaie non sono in grado di conquistare il potere politico e dal 1914 in poi le classi medie, col loro stupido chauvinisme si sono alleate alla causa delle classi dominanti e dei poteri costituiti. Lo Stato democratico non è riuscito a diventare Stato autonomista; i poteri locali sono sempre alla mercé del centro; la strapotenza del potere centrale riduce le classi medie a funzioni parassitarie, le rende burocratiche e schiave. La guerra ha spogliato economicamente le classi medie, togliendo loro con la indipendenza economica la dignità e l'iniziativa politica; per vivere esse hanno dovuto ricorrere allo Stato; accettandone un impiego sono diventate complici dei poteri costituiti. A questo si riduce la crisi delle democrazie in Europa.





    In Inghilterra, in Francia, in Belgio, in Germania si ha dunque una situazione conservatrice. Il mondo non va né a destra né a sinistra. Nei quattro tipici Stati centro-occidentali le democrazie sono vinte ma non sgominate. In tutti e quattro però la reazione sembra definitivamente allontanata; un colpo di forza o una avventura militare sono diventati difficili e improbabili. Sono dunque in errore in Italia tanto i fascisti - i quali parlano di internazionale fascista e vantano i consensi che vengono a Mussolini dall'estero - quanto le opposizioni che vedono nella situazione internazionale un elemento di instabilità del governo presente in Italia.

    Se si vuol discutere intorno al prestigio dell'Italia all'estero bisogna portare altri argomenti e partire da un altro punto di vista.

    L'importanza dell'Italia nella politica europea dipendeva direttamente e oggettivamente dall'esistenza di una forte Austria e di una Turchia pericolosa. In queste condizioni un ruolo decisivo era sempre assicurato all'Italia nel dissidio tra Europa centrale e occidentale. D'altra parte l'Inghilterra era necessariamente interessata all'esistenza di uno Stato libero e liberale nel Mediterraneo contro ogni pericolo che venisse da Oriente. Mancando questa felice situazione che fu sfruttata a suo tempo da Venezia e nel secolo scorso da Cavour) la funzione europea dell'Italia diminuisce nel momento stesso in cui essa abbatte l'Impero d'Absburgo. Il centro della politica è definitivamente sul Reno; il Mediterraneo si avvia a una seconda decadenza; le tre penisole meridionali restano abbandonate al loro isolamento, tutte e tre dominate all'interno da difficilissime situazioni agrarie. L'Italia è più povera delle altre due penisole; ma nonostante la retorica e la vanità nazionalista che la travaglia, ha lavorato più fermamente da due secoli in qua per salvarsi dal tramonto delle razze meridionali. L'industrialismo del triangolo Genova-Torino-Milano, la questione meridionale, l'immaturità della lotta politica, lo spirito medioevale delle classi agrarie, la crisi del cattolicismo rimangono tuttavia come le tragiche incognite del nostro avvenire. Il fascismo è un episodio di questi problemi e di queste incertezze.





    Niente possono capire gli stranieri di tali crisi. Un antifascista all'estero si trova a parlare un gergo assurdo. Quei ventimila intellettuali o politici, non ispirati dall'Agenzia Havas o dagli eredi di Northcliffe, onesti e colti, che in tutti i paesi civili rappresentano la parte più intelligente dei ceti medi, non vedono di buon occhio il fascismo ma vi disarmano con la loro ingenuità a base di Risorgimento e di liberalismo. La loro protesta è indice di nobili cuori, ripugnanti alla violenza e alla demagogia, mal sopravaluta gli italiani credendo che essi soffrano per la libertà perduta. Un esempio caratteristico di questa candida fiducia dei liberali inglesi nella maturità dell'Italia si ha nella nota lettera di Steed.

    Naturalmente questi antifascisti europei sono una minoranza. Le plebi a cui si dirigono il Daily Mail e il Petit Parisien amano invece la demagogia sovversiva della reazione. Mussolini gode di una popolarità indiscussa tra i piccoli borghesi di tutto il mondo. Il suo prestigio deriva dal mito antibolscevico. Tutti sanno che il movimento operaio in Italia è stato stroncato dalle sue debolezze interne nella primavera del 1920 ben prima che si formassero le squadre d'azione. Ma queste sottigliezze sfuggono a osservatori superficiali privi di qualunque preparazione a comprendere le cose italiane.

    Si ebbero forti diffidenze verso Mussolini all'estero nel principio del suo esperimento. Si temeva l'eredità di Napoleone III, il turbamento della pace europea. Dopo Corfù questi timori sono svaniti. Ora Mussolini è inquadrato nei piani conservatori delle Potenze occidentali. Dal Foreign Office e dal Quai d'Orsay si vede con simpatia un Governo antibolscevico nel Mediterraneo come in Polonia, in Bulgaria, in Cecoslovacchia. Le classi dominanti inglesi rappresentate dal Morning Post, il radicalismo plutocratico caillauttista, il nazionalismo belga valutano l'Italia con machiavellica noncuranza dal punto di vista della sua efficienza esterna: non nutrono preoccupazioni sulla proclamata capacità rivoluzionaria della marcia su Roma, paghi che a Roma le iniziative di politica estera non creino imbarazzi alla politica di accerchiamento della Russia.

    La politica europea va riducendosi al duello tra Russia e Inghilterra preveduto da Marx, se pure in forma opposta; e l'Inghilterra conservatrice gioca sulla paura del bolscevismo per non lasciare agli altri popoli iniziative politiche.

p. g.