Lettere al DirettoreTURATISignor Direttore, nella Rivoluzione Liberale leggo l'articolo di Riccardo Bauer su Turati. Si può domandare su quale seria e ragionata analisi si basi la svalutazione di alcuni uomini, che ogni tanto affiora fra una congerie di notiziole sul modo di vestire, di camminare e di sorridere degli uomini stessi; notizie accuratamente raccolte e narrate, quasicché valessero a sostituire l'indagine sul pensiero, sull'opera e sulla efficienza politica di quelli che troppo facilmente vengono giudicati sulle giovani riviste e collocati a riposo per... scarso rendimento? Turati non sa dirci nulla di nuovo? Ma se Riccardo Bauer, come tanti altri, va saviamente ripetendo che i malanni del popolo italiano non sono nuovi, trattandosi di educare alla conquista e all'esercizio della libertà una gente a cui fu largito quasi tutto quello che ha? Che dovrebbe inventare, dunque, Filippo Turati? E quella maturità politica di cui il Bauer vede i primi passi solo ora - mentre potrebbe facilmente dimostrarsi, invece, che essi sono proprio costituiti da quel riformismo che egli cataloga fra gli ismi oppiacei - non sarà veramente e compiutamente realizzata solo quando gli italiani - capaci di senso critico e politico e non più provincialoni della più bell'acqua amanti di sagre e smemorati come fanciullini - non avranno più bisogno di sentirsi dire novità antichissime e superatissime? In questo caotico e difficile momento della vita italiana Turati appare un trascinato e non un trascinatore? Ma lo conosce Turati, Riccardo Rauer? Ha avuto mai la fortuna di parlargli o di sentirlo parlare in momenti difficili o "bui", quando molti smarrimenti erano possibili? Non potrebbe ragionevolmente scrivere roba di questo genere, allora! Perché Turati - a cui con ragione può farsi solo questo rilievo: che in lui prevale il senso morale su quello politico - è un magnifico animatore di folle e di uomini. Ció implicitamente ammesso dallo stesso Bauer, allorché egli scrive che l'ottimismo di Turati è insopprimibile anche nei momenti più oscuri. Né si può dire che il Maestro dei socialisti italiani abbia lo stesso difetto del popolo nostro, cioè "non sappia reggere alle lunghe vigilie e non sappia la bellezza dell'aspro cammino contro corrente", perché tutta la sua vita è una superba dimostrazione di queste nobili virtù: le quali, se non dispiace a Bauer, possono costituire non l'antitesi, ma la conseguenza dell'ottimismo! Turati non può essere il creatore di un "novus ordo" nel quale l'autogoverno sia base fondamentale, poiché la vita moderna, che vuol essere conquista ed austero esercizio del dovere politico per l'affermazione dei propri diritti, impone una spietata forza volitiva che chi agisce solo per impulsi sentimentali generalmente non possiede o non sa dare? Ma se il novus ordo, cioè la democrazia moderna, deve essere, come si va ripetendo fino alla noia, opera e conquista consapevoli di popolo, cioè di masse non più supine accattone di largizioni, come e perché occorre un creatore di esso? E perché interprete e guida del movimento che all'ordine nuovo deve condurre non può essere ancora - poiché lo è stato e lo è! - chi per primo ha insegnato al proletariato italiano, senza il concorso del quale la nuova democrazia è chiacchiera, che "la vita moderna vuol essere conquista ed austero esercizio del dovere politico per l'affermazione dei propri diritti" e non speranza e attesa messianiche? E come può affermarsi che non abbia forza volitiva e sia mosso solo da impulsi sentimentali chi costituisce un raro esempio di illuminata coerenza, di forza e di intransigenza morale, di instancabile spirito battagliero; sempre presente, da oltre un trentennio, e nel più vario mutare di eventi, al suo posto? E poi: il volontario impeto di ribellione e le sfere infuocate del dramma, di cui il Bauer dice intessuta (e forse è meglio dire da cui è originata) una democrazia moderna, si manifestano allorché non solo esistono le cause necessarie, ma si verifica altresì una favorevole "congiuntura" storica, come è avvenuto per tutte le rivoluzioni. Se così è, perché dichiarare incapace di compiere la ribellione e di vivere il dramma un popolo, al quale le largizioni accorte tolsero il motivo di approfittare di una congiuntura quasi favorevole quale fu l'immediato dopo guerra? E perché i vecchi condottieri non possono più darci il comando? Veramente, per la ragione detta or ora, di comandi non ne occorrono, come non sono mai stati necessari. Occorre la guida, prima e dopo la congiuntura. Ora ad essi, a Turati specialmente, non sfugge la meta, che egli ha nobilmente segnata anche ieri (rileggete il discorso evocativo di Matteotti) con parole di bronzo, trascinando veramente folle innumeri. Egli ha animato e con maggiore autorità - animerà domani - il proletariato italiano, e i giovani: giacché pochi spiriti illuminati hanno la freschezza del suo, che è stato profetico e che meglio di ogni altro intende i bisogni e le deficienze del popolo nostro. Iglesias, 20 giugno 1925. ANGELO CORSI.
La serietà morale di Turati è fuori discussione per tutti. Sono in discussione le sue qualità di capo. Ora Turati fu il capo del socialismo e rivelò qualità di primo ordine dal 1892 al 1900 nella lotta contro Crispi e contro Pelloux. La sua opera di capo del riformismo non ci convince più: il socialismo dopo il 1900 è diventato giolittiano.
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