Risorgimento

Il 1792

    Con la sorpresa navale del Comandante La Touche, la Francia, certo di accordo con gli esuli del Regno delle Due Sicilie, non era riuscita ad abbattere la onnipotenza di Giovanni Acton, intimo della Regina Maria Carolina, e, più che Ministro, vero factotum del Re Ferdinando I di Borbone, perfetto tipo di Roi fainéant.

    Dove maggiormente si affermava la onnipotenza dell'Acton era nella politica interna, ossia nella accentuazione della lotta contro le nuove dottrine che penetravano sempre più largamente dalla Francia, ad onta delle più rigide forme di sorveglianza. Il solo nome di Francesi risvegliava indicibili agitazioni e paure in tutto il Governo borbonico, che si credeva circondato, assediato da emissari e giacobini. Si escogitavano e si prendevano le misure più straordinarie per impedire ad ogni costo che il veleno rivoluzionario della Francia inquinasse le popolazioni del Regno delle Due Sicilie.

    Ma, in verità, la ossessione per i provvedimenti repressivi faceva dimenticare tutta la virtuosità, la buona politica dei provvedimenti preventivi. Lo scontento nel Regno era generale; se non proprio profondo, certo assai diffuso in tutte le classi sociali: nell'esercito, per i sistemi introdotti dal generale francese Salis; nell'alto clero, per la lotta sempre più accentuata fra Roma e Napoli, fra il Papa e i Borboni; nel basso clero, per la povertà e la grave ignoranza in cui esso si dibatteva; nella nobiltà, per le riforme antifeudali del Governo; nel ceto medio, il terzo stato, specie fra i numerosi curiali, per le infiammanti notizie che colavano di Francia. Solo il popolo "al quale si prometteva ciò che non intendeva e di cui non abbisognava" era veramente attaccato al suo Re. Ma la guerra, la deficienza della moneta, la malsicurezza dei mari, l'inclemenza della stagione, le malversazioni e la ignoranza delle leggi economiche, avevano triplicato il costo della vita, diminuiti i generi di prima necessità, generando un grave, diffuso malcontento anche in seno alla plebe. La Corte, e specialmente la Regina Maria Carolina, conscia del pericolo, aveva cercato invano di apportare rimedi a questo triste stato di cose.





    Già nel giugno a Foggia erano avvenuti tumulti per l'accresciuto prezzo del pane. Quel Preside, temendo una insurrezione, aveva subito accondisceso a rimettere le cose nel pristino stato. L'Acton lo disapprovò pubblicamente, perché - prima - non doveva permettere il rialzo, poi non doveva cedere alle pretese popolari; ma a Napoli, nel novembre, dove la plebe numerosa e organizzata destava inquietudini nella Corte, il Governo aveva ordinato spontaneamente il ribasso dei generi di prima necessità.

    Ma, veramente, era la media borghesia la più temibile per l'Acton e Ferdinando; essa costituiva un'aristocrazia del pensiero. Lavorava per le nuove idee nei clubs e nei salotti. Più intraprendenti si mostravano i Pugliesi. Attive erano le Società massoniche, sulle quali si vigilava assiduamente; ma altre comitive e radunanze esistevano senza che la polizia riuscisse a venirne a capo. Numerosi i "Circoli francesi", di cui il più temibile era il "Club dei Marsigliesi", che in gran numero vivevano in Napoli, ed eran ritenuti i più contrari al Sovrano, per l'attivissima propaganda repubblicana che vi facevano.

    Come informa il Croce, assai temibili per il Regime erano le scuola private di Carlo Lauberg, Padre Scolopio e di Annibale Giordano, insegnante di chimica il primo, di matematiche il secondo. Le loro Scuole erano vere palestre, veri focolai di propaganda liberale fra i giovani infiammati dalle nuove idee di libertà e di uguaglianza; là si leggevano il giovedì e la domenica le Gazzette francesi, si facevano discorsi favorevoli alla democrazia e al giacobinismo, si discuteva intorno agli avvenimenti d'Europa e d'Italia.





    Si distinguevano per fervore e audacia: Vito dell'Erba di Conversano e Matteo Galdi di Coperchia, Girolamo Gagliardi, Rocco Lentini, i Marchesi Giovanni, Francesco e Antonio Letizia, il prete don Camillo Colangelo, il canonico Don Biagio del Re, col fratello Michele, da Gioia del Colle, Emanuele De Deo, Annibale e Michele Giordano; ed in genere tutta la gioventù più intellettuale ed operosa.

    Alla festa nuziale della figlia di Nicolò Piccinni (il celebre musicista barese) con un Francese stabilito a Napoli, il Prader-Presteau, essendo intervenuti Francesi e Napoletani, si fece tanto chiasso contro il Governo e la Monarchia, che il povero Maestro Piccinni fu bollato come giacobino, privato delle pensioni e dell'ufficio di Maestro di Cappella, spiato, fischiato, e dovette starsene quattro anni circa chiuso in casa, finché poté fuggire da Napoli.

    Da tutto questo fermento franco-napoletano uscì la congiura giacobina del 1794, che ben aveva intuita l'ignoto autore d'un sonetto dialettale, diffuso fra il popolo, "che lo trovava bello, perché in gran parte vero". Una copia di questo sonetto, una mattina del gennaio, Ferdinando I trovava misteriosamente fra le sue carte nella Reggia di Caserta; esso così gli diceva:

Scétate, Maestà, vide ch'è ghiuorno,
vide ca sti Franzise tradeture,
dopo che chiù t'aiute e chiù l'annure,
de dereto te schiaffano no euorno
Studiente ncorregibile e dottore,
co muoneca, briccone senza scuorno,
a sto Monzù
La Touche vann'attuorno,
pe' starte machenanno le congiure...
Che te pare, Signó? Mmiezzo a sti guaje
pieze sulo a la caccia e a la figliola;
e tu lo Re po' quanno lo farraje?
Siente a me: de' Franzise chesta scola
se tu priesto a guastà non penzarraje,
Maestà, tu ce ncappe a la tagliola.

gica.