Croce oppositore

Croce politico.

    Un osservatore grossolano potrebbe credere che a Croce politico e teorico della politica manchino quelle passioni e quelle esperienze che nutrirono i grandi teorici come Machiavelli e Treitzske, scrittori di opere che restano insieme un monumento storico dei tempi e un modello di speculazione filosofica.

    Croce in trent'anni di battaglia di cultura pare essere rimasto estraneo a tutti gli interessi di parte e i suoi stessi atti specificamente politici non lo compromettono e quasi non lo toccano. Sia che partecipi alla sottoscrizione per l'Avanti! dopo Pelloux, sia che vada ministro dell'istruzione con Giolitti, sia che indulga con argomenti da uomo d'ordine al primo fascismo di Mussolini, sia che se ne stacchi poi disgustato e pentito, la preoccupazione costante di Croce è di offrire un esempio concreto di condotta personale: questi atti riguardano la sua coscienza individuale, sono le risposte date alla voce del dovere dal cittadino, non dall'uomo politico né dal filosofo. Chi esaminasse l'opera sua di ministro dell'Istruzione troverebbe infatti che egli s'attenne costantemente, prima che alle regole di un programma o di una riforma, all'idea di instaurare un'amministrazione onesta; e questa è la differenza tra Gentile dogmatico, autoritario, dittatore di provinciale infallibilità e Croce politico, capace di riflessione e di dubbio, aperto a tutte le esigenze umane, desideroso di ascoltare anche la semplice voce dell'istinto e del buon senso.





    Insomma Croce in politica ha voluto essere piuttosto l'uomo semplice, che il finto statista, non potendosi improvvisare a cinquant'anni la maschera del questurino o le basse arti dell'intrigo. Se poi si vuol trovargli ad ogni modo un partito, mentre la sua filosofia servì ad uomini di tutti i partiti, bisogna constatare che per il suo stesso buon senso piacevole e scherzoso di napoletano di elezione, indulgente e signore, le sue simpatie dovevano andare ad un conservatorismo onesto, moderatamente liberale, capace di salvare le forme e la pace, cara ad ogni uomo laborioso. Per questo conservatorismo illuminato e trepido Croce fu contro la reazione all'aprirsi del novecento, fu contro la guerra nel 1915, perché la guerra dissipa i risparmi e il lavoro accumulato in economia come in cultura, ed è poco tenero oggi per le improvvisazioni del nazionalfascismo.

Il teorico della politica.

    Tutti i pregi della teoria della politica che si trova nelle sue postille e nel breviario Elementi di politica derivano proprio da questa moderazione di uomo non apolitico e neppure di parte, e dalla serenità quasi indifferente dell'osservatore. Vi si trova un documento preciso e non occasionale della costanza speculativa che sta alla base della nostra vita politica nell'ultimo ventennio. Tutt'al più non nasconderemo il nostro dispiacere perché il Croce ha voluto adottare un procedimento del tutto sintetico, talvolta troppo rapido, velando a bella posta, con efficace malizia, i riferimenti più attuali: noi desidereremmo in certe sue esecuzioni capitali di pregiudizi e di teorie monche, maggiore indugio di storico, disposto a trovare con allusione ai tempi, ragioni e psicologia degli errori.

    Croce si è accontentato di rendere esplicita (in sede rigorosamente speculativa) la teoria della politica che si poteva cogliere già nella Filosofia della pratica e nel Materialismo storico.





    La politica riguarda le azioni utili: o l'utile non è il morale, ma non è neanche il semplice egoismo; quindi bisogna rivendicare contro tutti gli accusatori della politica, come cosa immorale e da riservarsi alle persone di poco scrupolo, il carattere spirituale e decisamente pregevole dell'azione politica: il Croce non si lascia sfuggire una bella occasione per canzonare e confutare gli astrattisti e gli ipocriti del moralismo. Senso politico e senso giuridico però devono accompagnarsi, sicché mentre non si devono approvare i bigotti e le vestali delle istituzioni, bisogna richiedere poi a chiunque agisca un chiaro senso della tradizione, della continuità, della legalità. A questa doppia ispirazione occorre riportare una chiara idea dello Stato, che è forza soltanto in quanto è consenso, ed è forza non secondo una grossolana rappresentazione "quasi un prendere pel collo altrui, piegarne la cervice, atterrarlo", ma è tutta intera la forza umana e spirituale "e comprendo la sagacia dell'intelletto, non meno del vigore del braccio, la previdenza e la prudenza non meno dell'ardimento e dell'audacia, la dolcezza non meno della severità". Così in ogni Stato autorità e libertà sono inscindibili, e a ragione si celebra perciò la libertà. "Quale parola fa battere con più calore e dolcezza il cuore umano?". Con malizioso scetticismo conclude il Croce che bisogna sempre predicare ai popoli i benefici dell'autorità e ai principi quelli della libertà, e qui è evidente come egli parli perché altri intenda. Concepito così lo Stato come azione, diventa vana la ricerca sul fondamento della sovranità. In uno Stato ciascuno è a volta a volta sovrano e suddito. La sovranità in una relazione non è di nessuno dei suoi componenti singolarmente preso, ma della relazione stessa". Dove, benché il Croce goda di fare la satira di Rousseau e di canzonare gli egualitari, c'è forse una delle più vigorose e radicali professioni di democrazia moderna.





    Ma il politico non è esule o carcerato nei limiti del campo utilitario dove incomincia ad operare; la politica crea nuove relazioni, diventa strumento di vita morale, arriva alle fonti della scienza; lo Stato partecipe del progresso della storia è anche etica. Il Croce mette però in guardia contro chi confondesse questo Stato concepito come moralità, come Staio etico, come storia, con lo Stato politico e ne derivasse quindi una concezione governativa della morale, come successe al Gentile ministro di anacronistico oscurantismo. In realtà lo Stato è "forma elementare e angusta della vita pratica dalla quale la vita morale esce fuori da ogni banda e trabocca, spargendosi in rivoli copiosi e fecondi, così fecondi da disfare e rifare in perpetuo la vita politica stessa e gli Stati, ossia costringerli a rinnovarsi conforme alle esigenze che ella pone". Che è ritratto poetico ed efficace della complessità del mondo pratico, penetrato integralmente con questa distinzione decisiva.

    Il Croce si sforza anche, negli Elementi di politica, di rendersi ragione della validità dei partiti politici, dei quali altra volta aveva dato un concetto inadeguato, limitandosi al parallelo coi generi letterari. In realtà l'importanza del partito politico non sta nel solo programma talvolta generico e sempre per necessità non più che una prima approssimazione, ma nella caratteristica stessa del partito mezzo d'azione, coi suoi capi che vi affermano il vigore della loro personalità, e vi si preparano al governare.

    Parteggiare e governare non sono cose antitetiche; ed anche nell'uomo di partito bisogna vedere un esempio del fare e dell'attuare in cui sta la sostanza della vita sociale, somma di rapporti, ossia di azioni.





    Tutta la politica di Croce è in sostanza un'esaltazione del momento dell'attività, contro le astratte considerazioni schematiche e generiche, contro i falsi programmi, dietro cui si nascondono le cattive intenzioni. Bisogna rifuggire da tutte le pedanterie di tutti i dottrinari della politica; arrivare al diretto contatto della realtà di fronte alla quale consigli, analisi, distinzioni servono soltanto come premesse e avviamenti a risolvere, ad agire.

Il suo antifascismo.

    Dopo il delitto Matteotti uno dei fatti più importanti della politica italiana è il passaggio di Croce all'antifascismo.

    Fino all'autunno scorso la posizione di Croce era ispirata a ottimismo e indulgenza: il suo riserbo verso il fascismo era tutto morale e pedagogico e rispecchiava da un lato il suo innato antidannunzianismo e antifuturismo, dall'altro la sua acuta diffidenza verso tutti gli uomini del nazionalismo italiano in cui egli aveva veduto già prima della guerra dei pericolosi politicanti. Questo antifascismo tollerante non poteva soddisfare in tutto noi giovani che invocavamo distinzioni di razza e di stile, ma a Croce non si doveva chiedere di abbandonare le sue abitudini conservatrici di buon gusto e di moderazione culturale. Anche nei motivi più radicali che lo indussero all'opposizione aperta entrarono poi in buona parte, prima che le meditazioni teoriche, le preferenze e la sensibilità dell'uomo. Nell'adesione al Partito liberale, nella disciplina con cui si è messo a servire il partito, Croce pratica un suo ideale giolittismo inteso come abito mentale di moderazione, di fedeltà, di discrezione. Quando egli tende a fare della vera e propria politica come gregario, la sua attenzione è agli istinti parlamentari, ai mezzi d'azione tradizionali, alle forme costituzionali e amministrative. Il suo atteggiamento è sabaudo, con elementare franchezza, indulgente alle teorie ma intransigente sulla serietà degli uomini, ostinatamente fedele alle virtù civili e alle caratteristiche storiche della razza. Così la sabauda devozione allo Stato di questi uomini è devozione allo Stato laico nutrita di ossequio alla religione e di diffidenza verso i preti, una laicità perfettamente antitetica all'anticlericalismo rumoroso dei romagnoli atei, pronti ad innamorarsi della Chiesa per estetismo di sovversivi.





    Ma l'antifascismo di Croce non è soltanto questo. Accanto ai motivi del conservatore dell'italiano di buon senso c'è la ribellione dell'europeo e dell'uomo di cultura. Soltanto quei motivi, che possono dispiacere talvolta alla nostra psicologia di combattenti, servono a mettere questa ribellione nella sua giusta atmosfera umana togliendole anche il sospetto di una esasperazione romantica o di un partito preso.

    Bisogna proporre alla considerazione degli italiani quest'antifascismo europeo di Croce. Sia il castigo dei loro nervi, dei loro isterismi, delle loro impazienze. Croce ha trovato il giusto torto della ribellione al presente, che sulla presente decadenza lavora per il futuro. Da venti anni la sua opera è stata il futuro. Da venti anni la sua opera è stata solo esempio italiano di una modernità direttamente partecipe di tutta la vita spirituale del mondo. Difficilmente questo gli sarà perdonato dal provincialismo italiano.

    Dopo gli infelici tentativi del Risorgimento, Croce è stato il più perfetto tipo europeo espresso dalla nostra cultura. Nel momento in cui si assiste a uno dei più radicali tentativi di rompere la solidarietà italiana con l'intelligenza europea, la posizione di cultura di Croce doveva diventare una posizione intransigente di politica. La sua mente equilibrata e imparziale doveva mettersi rigorosamente e totalmente da una sola parte. Non è lecito essere apolitici quando si difendono le ragioni e i diritti fondamentali della critica, del pensiero, della dignità. Il poeta deve difendere la libertà della sua arte, il filosofo la legittimità dei suoi studi. E' una guerra per la pace che deve impegnare di vita o di morte anche gli inermi. In questa battaglia che è l'aspetto più vitale della lotta tra antifascismo e fascismo, la vittoria non è questione di milizie o di squadrismi, ma di sicurezza nella propria intransigenza e nella capacità di non cedere.





    Croce può essere maestro agli italiani anche nella serenità del combattere. Egli ha conservato rigorosamente il senso dei suoi limiti.

    Le sue preoccupazioni sono tutte volte al futuro: c'è in lui la commossa e trepida coscienza che nella battaglia di oggi sono impegnati gravi destini; egli avverte questi pericoli di civiltà dolorosamente. E si è votato alla polemica antifascista quotidiana come per una necessità di liberazione, perché nessuno può mancare ai suoi doveri. Il suo dovere fondamentale poi è che la sua politica non diventi politicantismo; l'uomo di libri e di scienza cercherà dunque di tenere lontane le tenebre del nuovo medioevo continuando a lavorare come se fosse in un mondo civile; dopo aver frustato con violenta ironia i piccoli nemici quotidiani tornerà con la coscienza tranquilla al lavora di biblioteca e di storia.

    Noi sentiamo in Croce un maestro proprio per questa impassibilità di non conformista.

p. g.