Fiamminghi e Valloni

L'equilibrio del Belgio.

    La forza del Belgio è nell'equilibrio realizzato tra agricoltura, industria e commercio. Ne risulta la felice mediocrità delle terre fertili e chiuse. I rapporti con l'estero sono estremamente delicati: nessuna audacia gli è consentita impunemente; tutte le crisi mondiali si ripercuotono con grande sensibilità sul suo commercio, sulla sua capacità d'espansione, minacciando ad ogni tratto di costringerlo sulle posizioni sicure, ma insopportabili, del suo equilibrio casalingo. Il Belgio è un popolo di tipo casalingo e provinciale trascinato dalla situazione assurda e fortunosa a giocare sempre un ruolo superiore alle sue forze nella vita europea. Persino i suoi paesaggi hanno un sapore provinciale di interno, come si vede nei tentativi architettonici di Bouts e nelle più stilizzate realizzazioni di Van der Weyden. Nella campagna di Antwerpen non trovi infatti le improvvisazioni d'atmosfere di terra latina e neanche più il ricordo delle colline dell'Hainaut; il paese ha dei limiti saldi e evidenti senza risorse di impressionismo e di luci troppo magiche, e puoi ricostruirvi riposatamente la grande passione naturalistica e la sicurezza di visioni di Breugel il vecchio, il più eccellente pittore fiammingo e il più conscio della sua terra.

    Di questo Belgio, specchio del commercio mondiale, punto astronomico di prim'ordine per l'osservazione dell'equilibrio e delle crisi economiche, Anversa è la capitale naturale. Nulla più, fuori che i suoi dintorni, testimonia che essa sia la patria di Breugel e di Teniers. Piuttosto conserva, nei commerci, lo spirito di Van Dyck e di Rubens, cittadini di Anversa innamorati di Londra e di Roma. Ma non è dello spirito fiammingo l'attitudine ad elaborare civiltà puramente letterarie assimilando nel modo avventuroso che riuscì ai due maestri del Seicento le virtù più lontane della razza.

    Anversa era prima della guerra il secondo porto d'Europa, alla pari con Amburgo. Questo è il posto che le assegna la civiltà moderna.





    E se le statistiche dicono che la città è ormai quadrilingue, che tedeschi e inglesi si dividono il porto con francesi e belgi, sta di fatto che dalla rivalità di Anversa con Rotterdam tutto il Belgio trae le sue energie di indipendenza. Il curioso è che per trascinare Anversa contro gli Orange, i ribelli del 1830 dovettero cannoneggiarla. Ma questo è lo stile dei tardi fiamminghi che si muovono ultimi per essere i più duri e i più saldi. Solo di qui potrà nascere, se nascerà, una terza civiltà fiamminga a gara con quella che sorge in Olanda.

    Il sistema ferroviario, minuziosamente organizzato per gli agi del piccolo borghese, il socialismo di Stato ottimistico e affaristico, il socialismo dei cattolici di sinistra, le riforme sociali del paternalismo pretendono di mettere le basi di questa nuova civiltà mercantile, che, allo stato dei fatti, pecca soltanto di scarso ascetismo e di troppa mediocrità. L'avvenire del Belgio tuttavia è in questo avvenire dei fiamminghi. Il rozzo contadino del Nord sarà sempre inferiore nei rapporti individuali alla souplesse e alla cordialità di un vallone: ma soltanto da lui dipende che il Belgio non ceda alla facile seduzione di diventare una provincia francese.

    Entra in una casa di Anversa, o percorri le lunghe vie verso i quartieri popolari quando dappertutto vedi lo stesso viso ostinato e paziente, gli stessi occhi lenti, attoniti e fedeli, e persino nelle bottegaie la sincerità timida e la brutalità non moderna del contadino: ti sarà evidente che le qualità e la forza di questo popolo non sono scarse nel suo cocciuto programma di conservarsi campestre anche sulle banchine di un porto internazionale. L'impressione di metropoli improvvisata che dà Bruxelles, una Milano ad uso di anime svizzere, qui si dilegua. Niente falso pariginismo, niente parassitismo di capitale e di sede di re.

    Il problema lontano è di sapere se lo spirito cattolico potrà atteggiarsi in una forma nuova di civiltà espressa dalle democrazie fiamminghe.





Il socialismo.

    Alla definizione del Belgio data da Napoleone (Le champ de bataille de l'Europe), Elysée Reclus sostituì quella più moderna: Le champ d'expérience de l'Europe. Da trent'anni i nostri socialisti lo guardano come il campo d'esperienza del socialismo. Fu la culla del socialismo di stato positivista e piccolo borghese che si identifica con la Seconda Internazionale e che in tutta Europa ridusse la dottrina della redenzione del proletariato a un affare di compromessi parlamentari e di trattative con le classi dominanti. In Belgio questa democrazia possibilista ebbe subito volontà di classe dirigente, fu apertamente monarchica e costituzionale con scarsissime velleità di fronda; fu persino colonialista e si accontentò di resistere per un puro rispetto alle forme alle più autoritarie e barbare iniziative di Leopoldo II, uomo del vecchio regime e del diritto divino, se non addirittura dello schiavismo. La pratica della lotta di classe non era consentita dalle stesse esigenze idilliache di un'industria sperimentale e di un'agricoltura che avvicina e adegua tutte le classi. La mediocrità è nemica anche della disperazione. Un paese in cui si esperimenta non può non coltivare la discrezione dei gesti, la quiete modesta e ottimista. Del resto se pure dal 1848 al 1900 sono spariti quasi completamente in Belgio gli artigiani e l'industria a domicilio, l'istinto piccolo borghese è rimasto nell'operaio della grande industria che qualche volta è contemporaneamente agricoltore e operaio e sempre, abitando a trenta-quaranta chilometri dalla fabbrica, si sottrae alla vita e alla psicologia della città, scuola di socialismo intransigente. L'osservazione di Marx, che il Belgio è il paradiso dei capitalisti, non ha spinto il proletariato a combattere, anzi, gli ha suggerito l'istinto del compromesso e della partecipazione al benefizio.





    Indicheremo un curioso sintomo ferroviario di questo innato desiderio di dividere i privilegi. In tutti i paesi civili la tendenza della politica dei prezzi ferroviari porta a garantire ai viaggiatori delle diverse classi vantaggi e comodità pressoché identici, in modo che la scelta dell'una classe o dell'altra sia fatta quasi esclusivamente col pensiero di essere con o senza compagni di viaggio o con questa categoria piuttosto che con quell'altra. È un sistema perfettamente democratico: uguaglianza di possibilità e diversità di desideri! Le ferrovie belghe lo applicano offrendo a tutti la possibilità di viaggiare in terza classe, anche sui diretti, a prezzi ancora oggi irrisori: però nelle terze classi belghe si viaggia quasi altrettanto male che in Italia. Senonché l'artificio piccolo borghese offre per un aumento di poche lire (premio alle virtù del risparmio e dell'operosità!) una seconda classe che non è, per decoro ed eleganza, in nulla inferiore alla prima. Ecco un ideale ferroviario pochissimo marxista. L'intransigenza, la lotta politica senza compromessi, in soffitta!

    Si può mettere in dubbio la capacità del Belgio ad esprimersi in una fisionomia spirituale autonoma finché il flamingantisme rimane una specie di resistenza passiva tra le influenze francesi, tedesche, olandesi, che si contrastano. Certo al flamingantisme i socialisti non sono stati capaci di dare direzioni originali. Il partito cattolico ha sempre avuto più audacia e più coerenza che il partito operaio. La difesa degli interessi individuali presentata come lotta per le libertà è un'idea tradizionale dei cattolici belgi e spesso li ha portati a difendere gli interessi degli umili. I liberali da parte loro hanno peccato di autoritarismo, ma non hanno mai tradito una loro grande idea statale: il principio della laicità. Tra queste due posizioni nette, i socialisti avrebbero potuto essere il partito dell'avvenire se non avessero addomesticato il loro ideale di lotta di classe; invece tennero una posizione equivoca, né anticlericale né antinazionalista.





    Già nel 1885 al tempo della fondazione del partito fu respinta la proposta degli operai di Gand di chiamarlo partito socialista. Si incominciò con una transazione, si accettò il nome di Partito operaio, proposto da Bruxelles.

    Quelli furono gli anni romantici della propaganda di Alfred Defuisseaux e del Catéchisme du peuple, della difesa del suffragio universale e del diritto di sciopero. Anche la lotta per la legislazione sociale si svolse allora con bella energia e valse a migliorare la dignità del proletariato. Nella lotta contro l'invadenza della Corte, nella denuncia degli scandali del Congo, il partito avrebbe potuto trovare la sua nobiltà di combattimento. Addestrò le masse alla vita politica facendole partecipare all'attività del parlamento. Gli scioperi generali del 1891 e del 1893 contro il regime censitario, quello del 1913 per il suffragio universale senza voto plurimo, furono notevoli esempi di maturità popolare e di sviluppo democratico. La debolezza di questa lotta era nell'assenza di grandi utopie, nella deficienza delle finalità, sicché l'energia delle masse doveva spezzarsi contro lo spirito conciliante dei capi. È noto che lo scrutinio di lista rigido lasciava la designazione dei deputati alla direzione del partito e metteva i capi in una posizione di sicurezza stabile. Essi non seppero indirizzare i fermenti popolari verso una nuova civiltà, li avvelenarono col riformismo. Anseele, Vandervelde, Bertrand, non rappresentano una classe dirigente superiore alla tempra dei liberali di Frère Orban e ai cattolici di Bernaert o del feroce reazionario Woeste. Hanno condotto gli operai del Belgio all'avanguardia del cooperativismo e del risparmio, ma li hanno lasciati senza un ideale di lotta. Dopo trent'anni di vita politica si trovano rappresentanti naturali di un socialismo aulico e oligarchico, e continuatore delle funzioni conservatrici.





    Il 21 marzo 1904, celebrandosi il centenario del Codice civile francese in Belgio, Jules Destrée e Max Hallet presentavano al Parlamento il volume del Codice del Lavoro, ossia la raccolta delle leggi che avevano supplito la deficienza del Codice Napoleonico in materia di contratti di lavoro e di legislazione operaia. Essi credevano di indicare il monumento dell'opera socialista in Belgio. Di fronte a sifatti "monumenti" di socialismo è lecito mettere avanti subito in linea pregiudiziale le nostre riserve. Basta attendere il "socialismo di Destrée alla prova del 1919.

I primi sei anni del dopoguerra.

    La crisi del socialismo è la crisi di tutto il ventennio che precedette la guerra. Si ripresenta oggi nelle forme di un inevitabile opportunismo per la scarsezza di nuove classi dirigenti.

    Tuttavia si può ritenere come chiusa nell'anno 1925 una crisi politica assai più pericolosa che è durata sei anni impegnando tutti i vizi storici del paese e mettendo in forse anche l'esistenza dello Stato. In Parlamento si è avuta un'immagine falsa di questa crisi perché la lotta politica, che qui fu sempre addomesticata e attenuata a vantaggio dei poteri costituiti, venne addirittura soppressa dopo il 1914.

    Trent'anni di governo clericale erano stati amministrativamente proficui, ma avevano aiutato un'educazione all'ipocrisia politica del moderatismo. Le questioni essenziali erano state nascoste: il problema dell'unità, il pericolo del separatismo, erano rimasti come un incubo ad impedire le chiarificazioni spirituali più necessarie.

    Nel dopoguerra questo incubo della difesa e dell'indipendenza in un piccolo Stato divenne esasperazione nazionalista. Il dogma della patria soffocò la libera discussione, aiutò l'oscurantismo e l'ignoranza.

    Si ebbe quella che Picard chiamò la frénésie de la répression.





    Durante la guerra il Belgio non aveva potuto sfrenarsi nella politica delle leghe di azione antitedesca. Destrée, bell'esempio di socialismo fascista, aveva dovuto fare in Italia i suoi discorsi e articoli tipo Hervé o tipo Mussolini. La reazione, auspice la politica di Clemenceau, volle pagarsi la rivincita con l'ubriacatura della vittoria. Il C. P. N. (Comité de la politique nationale) tenne il Belgio sotto un patriottico terrore, s'impose coi noti sistemi totalitari.

    Il giuoco dell'apoliticità fu esperimentato come il più accetto e il più infallibile. Si predicò l'orrore per i settarismi, la necessità dell'unione, dell'azione nazionale. La verità del vecchio assioma che la politica nazionalista è sempre la più contraria agli interessi della nazione si verificò matematicamente.

    Invero la stessa idea di una politica nazionalista in un paese che non è una nazione appare ridicola. Si accentuò il dissenso tra valloni e fiamminghi con pericolo di guerra civile.

    L'economia belga non era stata gravemente colpita dalla guerra. La si poteva rimettere facilmente in attività (le miniere di carbone furono lasciate dai tedeschi in ottime condizioni perché essi ebbero interesse a curarne lo sfruttamento per tutto il periodo bellico). La reazione, costretta nella sua logica internazionale al fronte unico con la Francia, si avventurò nell'esperimento protezionista che non poteva non riuscire fatale per un paese di grande produzione ed esportazione che limita le importazioni ai generi di prima necessità. Questa politica protezionista di ispirazione francofila mandava in rovina l'economia delle Fiandre.





    Anche la politica fiscale nazionalista fu la più allegra che si potesse immaginare: esitante a introdurre imposte per demagogia, il Governo tentava con due successivi prestiti di provvedere non già alle necessità più eccezionali, ma al bilancio ordinario. E quando i prestiti non riuscirono più, si ricorse al torchio. Non la guerra, ma il protezionismo, i prestiti e l'inflazionismo crearono una situazione di terrore nell'economia belga, la situazione con cui si trova oggi alle prese Janssen. I più furbi intanto contavano di vivere con le riparazioni e con le colonie. Il paese era nelle mani dei procuratori dell'alleanza francese.

    Il capolavoro della reazione fu la politica estera. Con le rivendicazioni sul Lussemburgo e sul Limburgo olandese, il Belgio si screditò e non ottenne nulla. A Versailles fu vassallo della Francia. Bisogna pensare che la situazione interna del Belgio è così delicata che basta uno spostamento dell'equilibrio internazionale per compromettere l'unità. All'equilibrio tra valloni e fiamminghi deve corrispondere una politica di pace. Invece le aspirazioni sulla Renania facevano pesare la bilancia tutta da una parte. Battendosi per l'accordo tra Francia e Germania, il Belgio avrebbe salvato oltre che i suoi commerci, la sua unità; e si faceva autore di una politica autonoma e dignitosa. Theunis volle seguire Poincaré nelle sue infatuazioni.

    Dopo il 1830 lo Stato si era consolidato per un finissimo gioco di equilibrio, con la sapiente utilizzazione delle simpatie europee. Prosperità e pace furono le basi cui si appoggiò l'incerta nazionalità. Questo equilibrio si reggeva sui tre partiti. Dove l'espressione della volontà popolare poteva suscitare preoccupazioni troppo forti, riparavano agilmente le astuzie del sistema elettorale. Così trent'anni di governo cattolico furono possibili in virtù di una legge elettorale che attribuiva tre voti a tutti gli ecclesiastici. Bastò il suffragio universale senza voto plurimo perché nel novembre 1919 la maggioranza clericale cadesse. La crisi del cattolicismo belga, che si era già annunziata parecchi anni prima col ritiro del Barone di Broqueville per la separazione tra vecchia e nuova destra, diventava così clamorosa. Il disorientamento che ne seguì non fu la ragione ultima della sostituzione della politica reazionaria di Union sacrée alla tradizionale politica conservatrice del partito cattolico.





    Dopo la guerra i cattolici democratici come Poullet si trovavano improvvisamente più vicini ai socialisti fiamminghi tipo Huysmans, che al loro partito di destra. Il fenomeno si può spiegare pensando alla composizione del partito. Dove la democrazia cristiana è arrivata a reclutare aderenti dopo che vi si era affermata l'organizzazione socialista, è naturale che essa accolga specialmente operai addomesticati. Si ha un operaismo idillico, un cattolicismo moderato a base di beneficenza. Ma nelle Fiandre, dove l'organizzazione socialista è relativamente recente, i gruppi cattolici concorrenti sono giunti a promuovere lunghi scioperi per aumento di salari contro le classi padronali cattoliche; hanno fatto la lotta contro i piccoli commercianti, quasi tutti cattolici, in difesa delle Cooperative. Al vecchio ideale del De Mun dei sindacati misti di padroni e operai, il padre Rutten contrappose il movimento sindacale cristiano. Questa sinistra cattolica ha potuto opporsi apertamente al clericalismo e prendere iniziative originali soltanto quest'anno con la tattica di Poullet: perché le forze finanziarie del partito per un fenomeno analogo a quello che si vide nel P. P. I. erano sempre rimaste in mano agli elementi conservatori. Così nei primi sei anni del dopoguerra la politica di Union sacrée dei tre successivi ministeri Delacroix, Carton de Wiart e Theunis, non trovò forti ostacoli nel partito cattolico.

    Ma il vero eroe della parentesi reazionaria postbellica è il partito liberale. Rappresentò la dittatura dell'oligarchia vallone francofila. Theunis con molta abilità fu l'uomo della politica delle riparazioni. Ora gli elettori belgi gli hanno inflitto una disfatta ancora più definitiva dell'Onze Mai di Poincaré e di Millerand. Il liberalismo francofilo dopo aver illuso gli spiriti con i più banali luoghi comuni antitedeschi deve cedere il posto alla coalizione fiamminga di Poullet.





Ritorno a una politica belga.

    Da cento anni il paese è sempre in nuovo allarme ad ogni nuova ripresa della questione fiamminga. Viene subito in discussione lo spirito nazionale, l'unità della razza. "Eh! la Belgique - scrive Norbert Wallez ne Le XX Siècle del 6 agosto - la Belgique est un des lieux du monde où les sangs les plus hétérogènes se sont le plus fréquemment et les plus profondément mêlés: Les Romains et les Gaulois y avaient pénetré par le Sud, les Germains par l'Est, les Frisons par le Nord, les Normands, les Espagnols et les Italiens par le litoral, Bruges et Anvers". Il Front-parti che ha ripreso l'opera degli attivisti e nelle ultime elezioni ha guadagnato alcune migliaia di voti, richiede la separazione amministrativa tra Fiandra e Vallonia. Se Vandervelde e Poullet non vanno incontro francamente alle tendenze autonomiste, l'unità belga può essere compromessa, nonostante la retorica nazionalista di Destrée, e si può manifestare una situazione irlandese.

    Il flamingantisme oggi non presenta più i pericoli del tempo, in cui Pol de Mont, uno dei capi, salutava la Germania come "la grande Patrie". D'altro canto l'orangisme di Gand è finito. Non ci sono pericoli per l'indipendenza. Il flamingantisme non sarà né olandese né tedescofilo. Nel vecchio proverbio fiammingo: "Che volete farci? L'Olanda è protestante" non si saprebbe più leggere nessun tono di rimpianto. La solida economia vallone è una garanzia per la più avventurosa attività fiamminga. Vuol dire le spalle sicure.

    Il regionalismo non sarà neppure separatismo. Bisogna rendersi conto che in Belgio c'è una naturale atmosfera di municipalismo, di affetti locali. La rivoluzione del 1830 è nata anche da questo sentimentalismo casalingo, che per maggiore dignità si chiamò difesa dei diritti comunali. Era un attaccamento quasi filisteo a le libertà individuali non accompagnato da una grande passione per la libertà. Il liberalismo fu battuto nel 1884 non perché fosse autoritario, ma perché aveva turbato nella questione dell'insegnamento i tranquilli interessi della libertà scolastica sussidiata. In queste abitudini di bene ordinata legalità si riconosce il tipico individualismo moderato del Belgio.





    La vita belga soffre di questa mancanza di eroico. Sotto la tranquillità, sotto la rassegnazione freme un turbamento di spiriti che intuisce il provvisorio in questa apparente sicurezza.

    Il sentimento della mancanza dell'eroico ci deve spiegare gli improvvisi scatti di dignità e di altruismo in questo popolo utilitarista e calcolatore che nel 1830 come nel 1914, a tutti i grandi bivii della sua storia, sa comportarsi con disinteresse di signore.

    Solo la sua funzione internazionale del resto può essere la garanzia della sua stabilità. La stessa avventura del Congo si è chiusa con questo insegnamento. La politica di Leopoldo II sperava di sfruttare i negri, di utilizzare la colonia come un'arma imperialistica. Ora si è visto che il Congo può essere per il Belgio soltanto una ragione di responsabilità. Prima che grandi interessi economici il Belgio vi ha impegnato il suo orgoglio civile. Perciò il Congo è l'unico argomento di produzione libraria presso un popolo che in fatto di libri è rimasto una provincia francese. Il viaggio in Congo è ormai nel costume locale.

    Con lo stesso spirito di dignità internazionale e di stile liberale le Fiandre devono garantire l'avvenire delle industrie tessili che sono la loro gloria e per le quali cercano all'estero materie prime e mercati. Non è delle Fiandre il privilegio dell'Hainaut, che ha potuto organizzare da solo un ciclo industriale minerario e metallurgico completo e autonomo. Ma solo le difficoltà del commercio internazionale sono propizie alla manifestazione del genio mercantile dei popoli. Gand, Bruges e Anversa portano quest'insegnamento nella loro storia e nel loro destino.

    Anversa, agosto.

p g.