I Cattolici
contro le società segrete
Nella prima metà del secolo XIX con saggi anonimi (e ne ho sottomano uno edito con licenza delle superiori in Torino nel 1851) la Chiesa iniziava la lotta contro socialismo e massoneria continuando quella contro il protestantesimo, il razionalismo, kantiano e hegeliano.
I nomi di socialismo e di comunismo avevano cominciato soltanto da un anno o poco più a correre sulle bocche degli italiani: come si vede la lotta fu serrata in sul nascere!
L'origine delle sètte segrete si confonde con l'origine del cristianesimo stesso, in contrasto alle comunità degli eretici: mentre le prime eran fondate sul principio cristiano della rinunzia, le altre erano per contrasto basate sul principio sociale della comunità dei beni, dei corpi, degli spiriti per una lotta contro il principio cristiano che esse consideravano come assente e distruttore della vita sociale. Altrettanto può dirsi per le istituzioni monastiche, che in seguito si sparsero in tutto il mondo, vere forme di comunismo religioso, in seno alla società stessa basate sul principio di ripudio della medesima.
Le sètte o comunità a spirito laico informarono sempre la lotta loro non nello spirito di rinuncia, ma di quello rivolutivo per una palingenesi sociale e per un assetto futuro della società stessa; ed ebbero quindi solo in parte tendenze religiose o mistiche, non prendendo mai (nol potevano) a base della rigenerazione dell'umanità una nuova religione, ma utopie sociali e politiche.
Fu per questo che esse fiorirono nel periodo moderno e in ispecial modo seguitando i dettami del protestantesimo, del filosofismo francese, e del razionalismo e dell'idealismo tedesco. Esse non eran che l'applicazione pratica delle dottrine filosofiche nate intorno e dopo la rivoluzione francese; e poiché col razionalismo e l'idealismo kantiano ed hegeliano ponevasi una nuova base filosofica e scientifica allo spirito umano, era necessario che essa si concretasse in forme di vivere sociale e politico. Esse ponevano fieramente il nuovo dogma della coscienza libera, della ragione e della critica religiosa e filosofica.
Le sètte segrete demagogiche si distinguevano dal cattolicismo per assumere tre aspetti fin dalla loro origine, sotto i quali le sètte furono ed operarono in tre diversi stadi di loro esistenza; "nel primo tempo furono considerate conservatrici di dottrine anticristiane e antisociali, e organate spesso a modo di occulte congiure contro la religione e gli ordini politici". Talché il Condorcet (Esquisse sur les progr. de l'ésprit hum.) riguarda la rivoluzione francese come un trionfo da quelle preparato e lungamente aspettato.
"La seconda epoca fu quella in cui, considerate come attive propagatrici di dottrine d'apostasia e di ribellione, riuscirono a conseguire, col favore delle circostanze, un'influenza occulta sopra l'opinione pubblica e la politica organizzandosi con maggior estensione e riunendo l'azione di consorterie diverse di indole e di forma, ma di analogo scopo.
La terza fu quella in cui cresciute di numero, di forze e di ardire, poterono, senza pregiudizio della loro incolumità, formulare un piano di rifacimento del mondo sociale e morale, e fondare come uno stato negli stati singoli, una nazione cosmopolitica avente un governo proprio, unitario o federativo, e mezzi per dominare l'opinione pubblica, paralizzare l'azione contraria dei poteri sociali o farla convergere ai propri fini, formando non più solo una meschina consorteria, ma come un nocciolo di società novella sotto le fondamenta degli ordini sociali esistenti".
Tale è il giudizio della Chiesa in allora sulle società segrete; occorre aggiungere che esse presero poscia a rivendicare il principio di nazionalità e incitando alla libertà e indipendenza i popoli oppressi le fecero a gran parte dei medesimi conseguire: talché gli stessi principi, anche se contorti e soffocati, furono il germe delle rivendicazioni ultime della guerra odierna. Tentarono anche inutilmente di gettare le basi (il merito di tutto ciò è del Mazzini) di una federazione europea di stati liberi ed indipendenti, che era in ispirito assai migliore della odierna Società delle Nazioni!
Orbene da ciò non è chi non veda oggi, a un secolo di distanza, come esse furono il nucleo originario della classe dirigente uscita dal Risorgimento.
Esse si appoggiarono ad un fiero dommatismo e non inventarono dottrine, ma scelsero e volgarizzarono le più acconce ai loro fini. Furono quindi ritenute dalla Chiesa cattolica la gerarchia, il sacerdozio, l'esercito della filosofia anticristiana e anti-sociale: filosofia che la Chiesa stessa riteneva non sarebbe stata, senza di quelle, largamente perniciosa.
Esse trasformandosi e allargandosi non furono più mere associazioni, ma divennero società e governi sotterranei che fecero paura ai governanti dei vari stati in cui l'Italia era allora divisa.
Una difesa che contro di esse si propose fu quella di una buona storia delle medesime, poiché si riteneva miglior difesa contro di esse il farle conoscere.
E i sommi Pontefici non mancarono di far ciò: e si ritennero anche mal secondati!
La Chiesa da più di un secolo, per bocca di Clemente XII e poi di Benedetto XIV, aveva tuonato più volte contro l'empietà di quei misteri e di quei giuramenti, con cui le sètte professavano di volersi sottrarre alla tutela legittima non meno religiosa che civile: ella invocava l'antica regola che "honesta semper publico gaudent, scelera secreta sunt"; dopo di essi, Pio VII, e poi Leone XII, rinnovarono gli avvertimenti e le condanne. Ma Leone comprendendo nella sua bolla "Quo graviora" (25 marzo 1825) quelle dei suoi predecessori, e visto che le sètte clandestine spesso mutavano nome e forma per così evitare l'odioso delle censure anteriori, condannò non solo le sètte sorte fino allora, ma tutte le simili che fossero per sorgere (quale strana analogia con quanto accade ora esattamente a un secolo di distanza!); e avvertiva non solo i pastori, non solo i principi, ma i popoli e i fedeli singoli doversi a quelle, senza pericolo di temerità né di calunnia, attribuire la diffusione dei libri e delle massime empie, e i tentativi di sterminio totale non più soltanto della Chiesa e degli Stati, ma della società stessa la di cui causa, dicea egli, essere già fin d'allora più che mai indivisibile dalla causa della religione.
Gregorio XVI continuò nel solerte e pietoso ufficio con particolari condanne di altre sètte novelle e con nuovi avvertimenti, i quali dovevano essere un benefizio non solo per la religione e per le nazioni cattoliche, ma per tutto il mondo civile.
La bolla di Leone XII sarebbe bene riportare alla luce per intiero per vederne la simiglianza con la parodia legislativa odierna del fascismo; ma basteranno gli incisi seguenti tratti sempre dalle stesse fonti.
Come Clemente XII e Benedetto XIV colpirono di scomunica la indifferenza religiosa, la empietà e nullità dei giuramenti, e la scelleraggine delle mire dei Franchi muratori, così Pio VII e Leone XII fecero conoscere le dottrine e le massime delle sètte furiose e scellerate dei loro tempi, che coperte di apparenza di onestà naturale, e talvolta di rispetto a Cristo, vantandosi di esigere dai loro adepti l'osservanza d'ogni virtù, l'astinenza da ogni vizio, tendevano a sovvertire non solo la Chiesa, ma la stessa civil società. Essi avvertivano i principi e i popoli delle frodi dei settari, deplorando la imprudenza dei governi nel trattare con somma leggierezza questa faccenda, il che aveva dato luogo a sorgere, dalle vecchie sètte, moltissime altre peggiori e più audaci.
Per la qual cosa Leone accrebbe le prescrizioni, ed estese le condanne e le scomuniche anteriori anche a tutte quelle sètte simili che venissero a prodursi sotto qualunque nome, così che nessuna di esse posso vantare di non essere compresa nella apostolica sentenza (!). Al che aggiunse luce una nuova condanna del S. Pontefice Gregorio XVI, ma specialmente la sua enciclica (15 agosto 1832), nella quale questo Pontefice additando il trionfo crescente d'una malizia senza ritegno, e di opinioni orribilmente mostruose apertamente insegnate, additando i progressi della perversione dei costumi, dell'avvilimento della religione, della ruina dell'ordine pubblico, e d'ogni potere legittimo, attribuiva quell'ammasso di calamità alla confederazione di quelle società, in cui tutto ciò che vi fu nelle eresie e nelle sètte più ree di sacrilego, di turpe, di bestemmioso, venne a scolare come in una cloaca nella quale si rimescolano tutte le sozzure.
Il Pontefice notava che se almeno tutti quei cattolici, che si applicarono alle scienze ecclesiastiche e alle questioni di filosofia, si fossero ben fitti nella mente gli avvertimenti a loro diretti, cioè di non fidarsi imprudentemente del loro spirito solo che li allontanerebbe dal sentiero della verità, e li condurrebbe in empie vie; di ricordarsi che Dio è la guida della sapienza, e il riformatore dei savi, e che non può avvertire che noi conosciamo Dio senza Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio; che è da uomo orgoglioso o piuttosto insensato il pesare nella bilancia umana i misteri della fede che sorpassano ogni umano senso, e il fidarsi sulla nostra ragione debole e inferma per condizione umana, non sarebbesi veduto una stampa e una filosofia (così detta cattolica) ridurre la religione e la scienza a mero razionalismo senza fondamento, far buon viso all'eclettismo miscredente, e alle teorie novatrici, e seguir senza saperlo il programma delle sètte, ponendosi in lotta a titolo di scienza nuova colla religione e colla filosofia di tutti i tempi.
Gregorio non ottenne quasi altro compenso che l'odio e la disistima; gli scrittori cattolici attendevano che la stampa libera facesse il processo che non avevan saputo fare i governi.
Un anonimo (!) scrittore riferendosi alla stampa dice: "ella potrà, forse meglio che i governi colle loro forze, torre di mano ai settare quella prossima e intiera vittoria che si vantano di avere in pugno, secondo le recenti parole di Mazzini e de' suoi compagni, poiché alla fin fine la forza delle sètte è assai più morale e artificiosa che non fisica e naturale, ed è sempre vero che il nemico conosciuto è per metà almeno vinto".
(Continua)
G. GOLINELLI.
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