Uomini e ideeIl militare."È giusto riconoscere - scrive Angelo Gatti (1) uno dei pochi esempi odierni di militari che abbiano saputo conquistare una visione politica e storica delle cose - che l'opera di un vero soldato nella vita civile (tranne le eccezioni dei soldati di genio) è molte volte dannosa. Il soldato, di solito, entra nella vita civile come il toro in una ortaglia. La scuola alla quale è cresciuto è la scuola dell'assoluto: altri ha detto dell'onesto; per gli effetti d'intransigenza che producono, l'assoluto equivale all'onesto. Sopra di sé ha chi comanda, sotto di sé chi obbedisce; non vi può essere comando che non sia obbedito, e un'obbedienza che s'imponga tortuosamente a chi comanda; le smussature, le gradazioni, le preparazioni, i compromessi che sono tanta parte, anzi la principal parte nella vita sociale, indignano il soldato. Il suo pensiero è sempre semplice. E questa semplicità diventa tanto più scarna, quanto più il militare cresce di grado, perché gli hanno insegnato ed egli si è convinto, che il grado è un formidabile argomento, ed è bene che, magari, di tanto in tanto, manifesti la propria efficacia da sé solo, così, senza contorno di ragionevolezza o di intelligenza, per il trionfo della disciplina. Ma la vita civile è invece la scuola del possibile e del relativo. Il militare vorrebbe comandare a segni al cittadino, il quale è disposto a credere l'altro inferiore a sé, e questa sua credenza vuole dimostrargli con ragionamenti. Il primo, quindi, chiama l'altro parolaio, e l'altro chiama il primo trascinatore di sciabola. Le due menti sono, in realtà, diverse; ma la mente del soldato, più diritta, è più ristretta di quella del borghese. Le manca l'esercizio della vita sociale. Quindi si vedono generali, solenni come monumenti fino a quando la tunica li sosteneva afflosciarsi a terra non appena indossano la giacchetta. Gli intelligenti soldati sono proprio quelli che rimangono soltanto soldati". Del tecnicismo dei militari e dei vizi del mestiere ha dato un giudizio incisivo Giolitti: "I militari sono uomini di coscienza: il che vuol dire, che mettono molto tempo per non vedere che un lato solo delle cose, che è il lato militare. Poi sono analitici: il che vuol dire che non sanno mai decidere. Vi diranno: da questo punto si può battere qua e là, di qui si può andare su e giù. E basta. La conclusione del loro discorso (in questioni di annessioni) è, che bisognerebbe sempre prendere tutto. Perciò non sono adoperabili che negli affari della guerra: negli altri sono d'impaccio". Il semplicismo del militare non gli lascia vedere in politica altra forma statale che la dittatura. Il suo lealismo lo rende sovversivo in ogni ordine democratico. Il regime democratico è fatto di esperienza, di abitudine, di limitazione quotidiana dei poteri attraverso l'esercizio di tutte le critiche; in regime democratico il pensare ha la stessa dignità del fare: si demolisce, mentre si costruisce, o si ricostruisce; il generale invece è abituato all'idea del servire, lealmente, la Corte è più sentita del parlamento: per cui stato monarchico vuol dire il Re. È un errore porre l'antitesi tra militare politico come antitesi di uomo d'azione e tribuno. In politica il generale diventa facilmente retore, uomo di poche idee è tratto a sopravalutarle: è potenzialmente un ideologo perché non iniziato alla discussione misurata e all'equilibrio della diversità. Nel vecchio regime il generale poteva avere dietro di sé un'esperienza di corte. È in questo caso che si trova il generale non inesperto di affari di Stato. Nello Stato moderno le cose sono diverse; le ambizioni politiche nei militari diventano un pericolo: nascono da un esagerato senso dell'autorità; s'accompagnano con una mancanza totale di esperienza di vita. Il fatto stesso della carriera con il miraggio di promozioni che non vengono mai, con la riduzione di ogni spirito di iniziativa, con la fatica delle abitudini, la facilità di adattarsi a un ambiente mediocre, filisteo, di idee fatte, di pregiudizi, esclude la vivacità di imprevisti della vita industriale, commerciale, politica, mondana. Da Ludendorf a Giardino, da Castelnau e Cadorna, abbiamo visto in questi anni gli esempi della inettitudine del militare alla politica. Le democrazie moderne non ammettono accentramenti e abusi di potere proprio sul più bello dai dirigenti e da quelli. In Francia Millerand e Painlevé sono stati indispensabili per vincere la guerra accanto ai generali. La democrazia vede nei generali dei tecnici, non dei capi. Isolandoli in un mondo chiuso e singolare li sottrae alle responsabilità e alle difficoltà della politica. Così l'ipotesi di un governo di generali resta abolita già nell'atto in cui si pongono le premesse di una vita moderna. Parte guelfa.Rivoluzione Liberale ha il compito di tenere il collegamento tra i nuclei di avanguardia di tutti i partiti. Importa che si formino gruppi di giovani nuovi capaci di vedere le cose modernamente a qualunque corrente d'idee si ispirino. La cultura cattolica ha bisogno come ogni altra di quest'opera di critica e di rinnovamento. Per questo lato è notevole l'esperienza che ci descrivono nella nuova rivista Parte guelfa alcuni giovani scrittori cristiani, Giordani, Galati, Cenci, che hanno pure in qualche modo partecipato al nostro movimento. "Dopo aver ricevuta una completa e coscienziosa formazione cristiana durante la quale a noi ragazzi era stato insegnato ad essere poveri, ad essere umili, ad essere audaci fino alla morte, a non aver paura di nessuno, a stare di fazione giorno e notte armati al sacro deposito della fede; dopo che di dette cose ci eravamo realmente persuasi, dopo che eravamo stati menati pel Colosseo in lunghe e coraggiose processioni, dopo numerosi congressi, dopo molte bastonate prese all'uscita dai comizi, ci siamo visti abbandonare proprio sul più bello dai dirigenti e da quelli rimasti ci siamo sentita sussurrare all'orecchio una prudenza tre volte prudenza". I giovani di Parte guelfa protestano contro questo gesuitismo, contro questa politica di sottomissione al più forte; vogliano identificare il loro spirito cristiano con uno spirito di libertà, di audacia disinteressata, di lotte contro ogni filisteismo e ogni parassitismo politico. "Il Banco di Roma è un pio istituto che non ci lusinga; gli ordini cavallereschi al merito della rimbombante salmodia oramai ce li siamo giocati tutti e non c'è rimedio; dell'approvazione dell'almanacco di Gotha non sappiamo che farcene, ma proprio sinceramente; aiuti in moneta od in natura non ne vogliamo perché non abbiamo bisogno di nulla, meno che meno di soldi (questo fatto dovrebbe spaventare tutti!); richiami disciplinari da pretese autorità ed autorevolezze non ne ascoltiamo perché ci siamo eruditi sulle fonti ed all'infuori del Papa e della Chiesa non crediamo quasi a nessuno ed è perciò inutile che ci si vengano a dire certe cose che potrebbero impressionare tutti fuorché noi; abbiamo fegato fino al punto da prospettarci contumelie, prigionia e patibolo senza l'ombra del panico solito a prodursi negli azionisti cattolici del tempo trapassato remoto, e simili leggiadrie dinanzi. "Azionisti cattolici non sono, per intenderei, quelli dell'Azione Cattolica; quelli si chiamano mio padre, mia madre, mio zio, mio fratello; gli azionisti sono quelli che tempo fa detenevano le azioni dell'Azione Cattolica, la quale non si chiamava così, ma era tal e quale. Ora noi azioni non ne abbiamo e riteniamo talmente passato il tempo di quei vecchi, da chiamarlo remoto trapassato: eppure solo oggi l'abbiamo chiuso cominciando a coniugare il presente". E altrove: "Accanto al cattolicismo romano parassiteggia il cattolicismo banco-romano. Quale preferite voi"? È chiaro che solo un movimento anti-clericale di cattolici può salvare la religione da confondersi con reazione,: bisogna che l'insegnamento di Sturzo e l'esperimento del Partito Popolare non vadano perduti nella nuova generazione. A guardare le cose serenamente oggi non si può dire se nel clero abbia vinto la destra o la sinistra: ma la battaglia è più che mai scatenata anche qui tra ceto privilegiato e popolo. Parte guelfa non ha un compito facile nell'affermazione del suo cristiano anticlericalismo. Del resto bisogna riconoscere che una freschezza insolita nel movimento cattolico v'è nell'affermazione internazionalista di questi nostri amici. "Vogliamo cooperare alla europeizzazione della cultura, a superare cioè, di pari passo che le supera la scienza, le barriere d'un egoismo, non nazionale, ma nazionalistico, fomento d'odio nei popoli, pericolo grave per la cattolicità (universalità) stessa". Di colore oscuro invece le parole che seguono: "Noi tendiamo agli Stati Uniti d'Europa con moderatore il Papa". Dove si dice più e meno che non sia la verità: perché un'influenza spirituale europea il Papa esercita fin d'ora, né è da credere possa esercitarla più ampia nel futuro e perché gli Stati Uniti d'Europa saranno opera laica delle democrazie d'ogni colore, socialiste, cattoliche o protestanti. Il fatto è che le nostre simpatie per i guelfi non vanno ai loro sogni, assai anacronistici com'è naturale, ma all'energia con cui essi resistono ai nuovi e falsi ghibellini, facendo causa comune col popolo. Un tribuno.Eugenio Chiesa fu filofascista nel 1919. Egli direbbe ora che fu "uno di quelli che guardarono con qualche speranza alle forze giovanili che si avanzavano e reclamavano rinnovamenti e trasformazioni della vita italiana". E. Chiesa fu filofascista nel 1922. Durante la marcia su Roma chiedeva a Mussolini di fare la Costituente e la Repubblica. Il repubblicanismo di Eugenio Chiesa ha questi caratteri di facile sovversivismo, di amore e speranza del colpo di scena. E. Chiesa era filofascista perché antisocialista. Ora il suo libro di osservazioni; La mano nel sacco (Roma, Libreria Politica Moderna, 1925, L. 8) è la onesta confessione della sua colpa: un libro coraggioso di documenti, di denunce contro quelli che egli aveva scambiati per rinnovatori. Ci si trovano le cose più gustose, quelle che il pubblico non sa e che i sapienti non dicono; ritratti di De Bono, Balbo, Finzi, Rosboch, Cadorna, ecc. Libro di scandali. Manuale per conoscere come si fanno i grandi affari. Il libro corrisponde al carattere di Chiesa, ingenuo, aggressivo, rumoroso. Egli ha cominciato la sua carriera con Crispi, con Giolitti, e ha finito per trovare un super-Crispi, un super-Giolitti! Povera questione morale di Cavallotti! Dicono che nello scorso autunno Chiesa fosse contrario alla denuncia di Donati: si vedeva rubata la parte. Di fronte alla storia, Chiesa è ancora in peccato: un bel peccato di anacronismo. La sua arma è il suo schedario: è geloso delle sue notizie più che delle sue idee. In questa passione c'è una morale: "La casa dell'uomo pubblico deve essere di cristallo". "O la prebenda o il mandato parlamentare". Il moralista però si giova di una franca esperienza di uomo d'affari; non si tratta di un predicatore! L'industriale moralista: ecco il dato spirituale più curioso e caratteristico della sua formazione spirituale. Ora questa chiarezza crudele di uomo d'affari rigoroso dovete trasportarla su un pieno eroico e guerriero. L'ideale di E. Chiesa è Mirabeau; il suo mondo &eagrave; le Rivoluzione francese, coltivata in tutto ciò che offre di entusiasmo sovversivo. Eugenio Chiesa non capisce la classe, la rivoluzione del proletariato, le lotte della fabbrica. Il suo pensiero è il popolo: la sua missione è di tribuno della plebe; e il popolo si difende in Parlamento con le denunce, con l'ostruzionismo, col rovesciamento delle urne. Questa non è democrazia moderna: qui si corre continuamente sul filo di rasoio della demagogia: lo scandalo non basta se non c'è nella lotta un'idea. Così ad Eugenio Chiesa, paladino del popolo, toccarono talvolta compiti abbastanza ingrati di propagandista dell'irredentismo e del dogma della patria. Durante la guerra le feroci campagne repubblicane contro i nemici del fronte interno, a base di esagerazioni e di intemperanze, non furono davvero un modello di alta democrazia. Nelle stesse campagne economiche, per es., nell'affare dei petroli, succede che Chiesa parli per difendere il nazionalismo economico; tra i doveri del tribuno c'è l'improvvisazione! Evidentemente nella politica italiana E. Chiesa è uno degli esempi più perfetti di mentalità massonica. Ebbene per una volta vogliamo parlare di mentalità massonica senza ira né disprezzo. Finché ci sono i sanfedisti è giusto che ci siano dei giacobini. E quando per i giacobini si parla di ghigliottine, noi antimassoni stiamo coi giacobini. p. g.
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