DONATIGiuseppe Donati, di famiglia piccolo-borghese, ebbe i natali a Granarolo di Faenza. Fece i primi studi sotto la guida di Francesco Lanzoni - chiaro maestro, agiografo e storico professante il metodo positivista - a Faenza. Poi fu uno dei pionieri del movimento democratico-cristiano in Romagna. L'opera di proselitismo per la Lega Democratica Nazionale non era facile in Romagna data l'opposizione dei repubblicani e difficile particolarmente in Faenza, dove, con altri metodi, l'opposizione del partito clericale - allora dominatore assoluto della situazione amministrativa locale - non era meno decisa. Eligio Cacciaguerra e il Marchese Ghini a Cesena; Ettore Poggipollini e Fulvio Milani nell'Imolese e Basso Bolognese; Giuseppe Donati, Piero Zama e Venanzio Gabriotti a Faenza riuscirono per altro ad inquadrare nelle sezioni demo-cristiane la parte migliore, se non la più numerosa, della gioventù cattolica cresciuta nei modesti circoli parrocchiali di ricreazione. Il Donati ebbe allora a collaboratori alcuni ex seminaristi fuorusciti dal seminario faentino in seguito alle ispezioni dei revisori ecclesiastici, esecutori dei provvedimenti contro i modernisti, ordinati da Pio X. Questa sua comune attività con alcuni modernisti faentini fece diffondere la opinione che egli pure fosse modernista. In verità egli era soltanto contrario al conservatorismo politico della Chiesa. Uomo di volontà, energico, audace, temperamento squisitamente politico egli rivelò subito buone qualità di condottiero e fu il capo dei democristiani faentini i quali - sia che seguissero la tattica intransigente, o appoggiassero sul terreno politico e amministrativo i socialisti o sostenessero nel movimento sindacale e cooperativo gli elementi cattolici - diedero sempre esempio di dignità, di coraggio, di serietà e di onesti intendimenti. Qualcuno di loro fu bastonato dai repubblicani, altri perseguitato e danneggiato negli interessi economici dai clericali. Peppino Donati prosegui gli studi a Firenze nell'Istituto di Scienze Sociali ed in quella città fu accolto nel Cenacolo vociano. Ne "La Voce" venne pubblicando numerosi articoli di ispirazione idealista e neo-hegeliana e scrisse una critica alquanto violenta del metodo oggettivo e positivista del suo maestro Francesco Lanzoni. Più tardi, in un bell'articolo, comparso ne " L'Avvenire d'Italia", di quella sua critica fece sconfessione ponendo in rilievo la singolare figura di uomo, di sacerdote, dell'egregio rettore del Seminario faentino. In argomento scrisse già Armando Cavalli con molta diligenza su queste colonne. A Firenze, maestro del Donati, divenne Gaetano Salvemini e con lui ebbe comune molta attività negli studi, nel giornalismo, nella politica. Il suo storicismo, la sua fede democratica e cristiana risultano dalla fusione dell'insegnamento positivista di Monsignor Lanzoni col materialismo storico e lo storicismo di Gaetano Salvemini. Coi salveminiani egli é a volta a volta logicamente, anti-giolittiano, anti-libico, liberista, interventista e antifascista. La ripugnanza morale del Donati per il fascismo è tale in quanto il fascismo viene da lui considerato una reincarnazione del trasformismo giolittiano. Il suo fascismo é anche antimussolinismo e come tale ha origini più remote. Il Donati era già antimussoliniano nel 1910 quando Benito lavorava in Romagna iniziando i rivoluzionari forlivesi alle raffinatezze e ai capolavori sagraioli di entusiasmo. La sua avversione per il Mussolini è questione di incompatibilità morale e di antitesi istintiva. Il Donati nemmeno nei suoi trascorsi giovanili amò le sagre. Non fu e non è nemmeno oggi un tribuno ed un oratore, benché sia fortissimo polemista. Solo se egli parli in difesa della libertà, della giustizia od esalti il martirio delle vittime del fascismo, la sua parola si alza plastica e calda, fremente, e trasporta l'assemblea alla commozione. Interventista, assolse interamente al suo dovere di soldato. Con Marco Ciriani aveva avuto comune l'interventismo ed ebbe comune molta attività politica e sindacale quando fu nel Veneto nell'immediato dopoguerra. Furono insieme candidati nelle elezioni politiche del 16 novembre 1919 - per il collegio di Udine-Belluno, - alfieri del partito democratico-cristiano, che aveva scelto per contrassegno elettorale un aratro. In questa occasione Gaetano Salvemini, in data 25 ottobre, scrisse all'on. Ciriani la seguente lettera di simpatia e di augurio per l'elezione del Donati: "Io non ho la fede religiosa del Donati. O meglio, non ho la stessa forma di fede religiosa. Egli è cristiano come te: cristiano del vero cristianesimo autentico di Cristo, il cristianesimo della libertà per tutti, della giustizia per i deboli, della carità per gli uomini compagni di dolore nella vita. Io appartengo a quella religione stoica che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha comune col cristianesimo il rispetto delle libertà, il bisogno della giustizia, l'istinto della carità umana. Ebbene, dal sentimento di queste necessità morali, che è comune alla religione mia e alla vostra, che potrebbe far definire Marco Aurelio come cristiano e Sant'Agostino come stoico, io sono spinto a desiderare ardentemente, ad augurare fervidamente che i lavoratori del Friuli mandino alla Carriera dei deputati, insieme a te, Giuseppe Donati". L'esito della lotta fu favorevole solo a Marco Ciriani, il quale venne eletto mercé il numero maggiore di voti aggiunti (3922) e di preferenza (894) ottenuti per la sua qualità di deputato uscente e la conoscenza che si aveva di lui nella circoscrizione. Il Donati rimase soccombente con una votazione lusinghiera. Egli ottenne complessivamente voti 11.035 (di cui 10.495 di lista, 178 voti di preferenza e 362 voti aggiunti). Il partito popolare intanto - rafforzato dal successo riportato nelle elezioni politiche - riprendeva con fortuna il tentativo della Lega Democratica Nazionale di creare in Italia un partito cattolico autonomo. Il dottor Donati, sebbene con atteggiamento di riserva e di attesa, seguendo i democratici migliolini, si iscrisse al Partito popolare distaccandosi dall'on. Marco Ciriani, ormai passato nei ranghi del Partito riformista. Nelle elezioni politiche del 15 maggio 1921 il Partito lo incluse nella lista dei candidati per la circoscrizione di Venezia-Treviso. Riportò voti 66.601 (dei quali 4592 voti di preferenza e 539 voti aggiunti), ma non fu eletto. Si occupò ancora nel Veneto di problemi ed opere di assistenza sociale, poi la fiducia dei dirigenti del Partito lo chiamò a Roma alla direzione de Il Popolo. Nel Partito popolare egli consolidò e concretò la sua concezione giovanile della democrazia. Per merito suo e di Don Sturzo i popolari passarono decisamente all'opposizione contro il fascismo. Come direttore del quotidiano popolare egli si é dimostrato giornalista di primo ordine. Non è qui il caso d'insistere sui diversi momenti della lotta condotta dal Donati contro il fascismo dopo la marcia di Roma fina ad oggi. È doveroso però riconoscere che egli ha saputo farne una questione di carattere e di intransigenza opponendo agli avversari un esempio di dignità con resistenza tenace, dimostrando capacità singolare di iniziativa, coraggio e eccezionale senso di responsabilità. A. P.
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