La crisi belga

    La crisi belga coincide con la crisi del partito cattolico.

    Questo partito ha un passato brillantissimo. Nato dopo le assemblee storiche di Malines - scrive A. Melot nella "Revue Générale" - ringiovanito dal Congresso di Liegi, aveva dimostrato coi fatti di sapersi adattare allo stato sociale nato dalla rivoluzione francese. Il partito cattolico belga si preoccupò, sin dal suo sorgere, di guadagnare il cuore del popolo; dal 1884 al 1914 poté governare ininterrottamente senza il concorso di altri, in uno spirito eminentemente nazionale. Scoppiata la guerra, si ebbe anche in Belgio l'unione sacra. Firmata la pace, l'unione sacra venne subito a mancare. Ci fu per altro un governo tripartito prima: un governo di liberali e di cattolici dappoi. Ora si è in piena crisi. Il Conte de Broqueville cercò di superarla, senza riuscirvi. Van de Vyvere accettò di formare un ministero dai piedi d'argilla. S'inizia un periodo nuovo nella descrizione del quale Augusto Melot si mostra assai preoccupato. Egli mette in rilievo l'abilità di Vandervelde, che converse i suoi sforzi a rompere l'intesa cattolico-liberale, coadiuvato in ciò dagli estremisti di destra. Né i cattolici né i liberali parvero indovinare questa tattica. Gli uni e gli altri proclamarono fieramente che sarebbero andati alle elezioni, liberi, indipendenti, a bandiere spiegate, senza compromessi, con tutto il loro programma. Ottenuta la vittoria elettorale, i socialisti che erano già riusciti a staccare i liberali dai cattolici, cercarono di spezzare la compagine dello stesso partito cattolico. Vandervelde si rivolse ai democratici cristiani proponendo loro un governo su base democratica. Il giorno non riuscì, poiché era stato stabilito che i cattolici di tutte le gradazioni avrebbero fatto blocco; ma poiché i liberali continuarono a fare banda a parte e un governo omogeneo cattolico non è più possibile, ecco che Augusto Melot annuncia che presto o tardi la democrazia cristiana tenterà l'esperienza di un governo coi socialisti. Se ciò si verificasse, il partito cattolico belga verrebbe a trovarsi diviso, come in due tronchi. Da una parte gli elementi conservatori, dall'altra i democratici cristiani. Più tardi potrebbe effettuarsi il blocco libero-socialista. La situazione, per chi ne è al corrente, non è gaia davvero; ma d'altra parte, ideologicamente, questa divisione esiste già attualmente. Tra i cattolici che fanno capo al "XX Siècle" ad esempio e quelli che inalberano la bandiera della democrazia cristiana, esiste politicamente un abisso. Si poté colmare questo abisso ancora nelle ultime elezioni, facendo appello alla fede religiosa comune: ma la fede religiosa, quando sul terreno politico e sociale la divisione è profonda, non può sempre accomunare nel voto uomini che sono politicamente agli antipodi. Così ad esempio i conservatori del "XX Siècle" e della "Revue des idées et des faits" cantano ogni giorno su tutti i toni che la democrazia politica è il male, che il Parlamento ne è la necessaria conseguenza, che le esperienze d'Italia e di Spagna possono essere la salute dell'Europa. Dal campo democratico cristiano si sostiene la tesi precisamente opposta. La democrazia politica non solo non è il male, ma deve divenire di più in più una realtà cosciente. Si può imprecare contro il suffragio universale, ma il mondo cammina e il ritorno a Luigi XIV non è più possibile. Anche un "governo forte" o autocratico non potrebbe più mantenersi senza il consenso almeno tacito delle masse, per quanto possa stabilirsi talora più o meno per sorpresa e arrestare qualche volta nel suo sviluppo una democrazia che non ha ancora profonde radici in un popolo. È evidente che di fronte a due correnti diametralmente opposte sul terreno politico, anche l'idea religiosa, quando non sono immediatamente in giuoco le convinzioni religiose, non potrebbe realizzare l'unità politica.





    La sostanza del problema non si può dunque risolvere con critiche alla proporzionale. La proporzionale in Belgio ha avuto il merito di chiarire una situazione che attende svolgimenti.

    Una collaborazione coi liberali non può non essere pericolosa per Vandervelde. La causa della democrazia è anche in Belgio legata alla necessità che il partito cattolico si divida. La democrazia cristiana belga non è ai suoi primi passi: ha le sue esperienze di lotte sindacali e di politica operaia. Ora il movimento operaio è naturalmente in Belgio l'elemento dominante della situazione. La guerra ha interrotto lo sviluppo della lotta politica. Ha permesso l'equivoco Destrée. Ha portato in primo piano i gruppi di corte e del clericalismo. Ma non si può pensare che un governo stabile sia possibile in Belgio senza l'influenza delle masse operaie.

    Se le due ali del partito cattolico si presentano divise alle elezioni, la parte democristiana sarà in prevalenza. Attuando un governo di collaborazione tra il proletariato cristiano e il proletariato socialista, il Belgio compirà un esperimento di grande importanza del quale non potranno non tener conto gli Stati in cui esistono ancora larghe masse cristiane.