Il problema della civiltà russaIl caso Masaryk può interessare non superficialmente gli italiani. T. G. Masaryk è diventato capo dello Stato ceco-slovacco dopo essere stato l'uomo rappresentativo del suo paese nella filosofia e nella cultura. Leggendo i suoi saggi politici si trovano insieme preoccupazioni di sintesi e di realismo popolare. Nella sua attività c'é qualcosa di dogmatico e di professorale sostenuto da una specie di responsabilità civile. L'osservatore scorge in lui una figura nobilissima di apostolo in cui la Boemia può riconoscere contemporaneamente il suo Cavour e il suo Mazzini. Se però l'osservatore fosse un critico invece di un sentimentale, il caso Masaryk si potrebbe studiare più scetticamente come un esempio di risorse di razza e di eclettismo propagandista. Questa è l'impressione che ci lascia la sua celebre opera su La Russia e l'Europa, uscita dieci anni or sono ed ora in corso di stampa nella traduzione italiana per cura di Ettore Lo Gatto. In questo libro i lettori possono trovare raccolti tutti i pregiudizi internazionali che contrastano la conoscenza precisa e critica della Russia. Masaryk ha creduto di spiegare la storia russa facendo la storia dei pensatori russi. La sua esegesi del movimento intellettuale prescinde dallo sviluppo economico e dalla lotta politica. Tutti gli sforzi del pensiero slavo convergerebbero nella necessità di arrivare a Kant, di distruggere con la critica il mito. Per Masaryk il culmine del processo è Dostoievschi che dà a questo tormento intellettuale un carattere democratico e mistico di fede religiosa. Invece di spiegare Dostoievschi con la storia russa, Masaryk spiega la Russia coi tormenti psicologici e patologici di Dostoievschi. Il tentativo sarebbe ardito se al suo rigore non sfuggisse per l'appunto la realtà. Invece della storia viva lo scrittore se ne resta coi suoi schemi. Gli ideali sono finzioni se non si intendono le esigenze che li generano. Un confronto là tra la Russia e l'Europa può darci lo spirito della civiltà russa solo quando si fondi sulla determinazione della diversa struttura economica delle due società. Tenendo presenti questi presupposti realistici si possono correggere i giudizi offerti dal Masaryk a proposito dei due fenomeni più caratteristici della Russia: la teocrazia e l'intelligenza. Il suolo e il clima, la squallida immensità dell'unica pianura atterrita dalle orde dei tartari costituirono per il popolo primitivo un ostacolo non superabile contro la formazione di una vita industriale e commerciale. Lontano dai beni terrestri, che non può conquistarsi, il russo si volge al cielo; anzi si divide tra il cielo e la brutalità dello sconforto terreno tra la vodka e la solitudine ascetica. Sconsacrato il mondo della realtà, vive come servo, sopporta ogni costrizione esterna (non resistenza al male). Lo Stato si costituisce senza consensi di spiriti, per l'audacia di pochi violenti. Il popolo non sa neppure costruirsi la sua chiesa. Il clero nasce come emanazione del governo, come burocrazia tirannica indifferente alla vita degli umili. Esso non sa elaborare un dogma e non é diviso da eresie o da riforme, ma soltanto da sette fondate su questioni oziose di riti o addirittura di ortografia. È certo curioso scoprire come il popolo russo che da tutti gli intellettuali venne considerato il popolo nella rivelazione religiosa, non abbia avuto una vera e propria religione: i popoli opposti della sua fede sono un meccanismo di riti e di forme, socialmente sovrapposte, e un individualismo mistico che cerca invano la sua forma. Disperso nella pianura, quasi selvaggio, il contadino non sente il bisogno di centri di movimento e di progresso, non riesce a costruire città, non partecipa all'organizzazione pubblica; di fronte alla disperazione di questi individui solitari sta Mosca, governo, tirannia, burocrazia che ignora e reprime. Il più poderoso sforzo per strappare la Russia a questo isolamento fu compiuto da Pietro il Grande. Con la sua politica egli non risolveva una crisi, ma la inaugurava, non rendeva europea la Russia, ma la metteva accanto all'Europa, perché l'antitesi le desse la sua coscienza. Il primo risultato fu l'intelligenza. Prima che nasca una lotta politica, gli intellettuali si dedicano a un'opera di solenne moralismo, anticipano colle idee la politica continuando un processo che imparano scolasticamente dall'Europa. Si può dare un'idea esauriente del fenomeno disegnando dei ritratti e dei programmi. Radiscov (1749-1802) combatte in omaggio a Locke e a Voltaire la servitù della gleba e espone le idee di economia agraria che si stavano elaborando in Germania senza intendere la loro incongruenza con le forme elementari di vita sociale caratteristiche della Russia; si fa paladino della sovranità popolare quando il popolo non avrebbe desiderato che la sottomissione alla tirannide. L'esilio che gli inflissero contrastava nel modo più assennato l'improprietà delle sue idee al suolo patrio. Muraviov, uno dei decabristi, aspira alla rigenerazione della Russia attraverso la formazione di una aristocrazia che egli ha trovato viva nei miti libertari degli scrittori europei mentre le classi dirigenti russe sono condannate a rimanere una meccanica burocrazia sinché la lotta politica non abbia mutato le premesse spirituali. Puschin per primo - secondo Dostoievschi - ha messo in luce il morboso fenomeno della società intellettuale russa "storicamente" strappatasi alla terra natale e sovrappostasi al popolo. Egli ha messo in rilievo davanti a noi quel tipo negativo di uomo agitato e indomabile che non crede nella terra patria e nelle forze di essa, che nega alla fin fine la Russia e se stesso, cioè la sua società. Il suo stato intellettuale, sorto dalla sua propria terra, cha non desidera di avere a che fare con gli altri e si accontenta di soffrire sinceramente. Aleco e Aneighin hanno prodotto in seguito una quantità di tipi simili nella storia della letteratura slava. Ma di questa malattia Puschin è il rappresentante oltroché l'osservatore e per questo non ha potuto dire la parola di conforto che Dostoievschi vi cerca invano; non ha saputo indicare nell'anima del popolo il segreto della vera vita russa. Non è di Puschin tutto rivolto al romanticismo occidentale, ma di Dostoievschi il pensiero attribuitogli: "Abbiate fede nell'anima del popolo e da essa soltanto aspettate salvezza e sarete salvati". Anche in questa espressione del resto la democrazia degli intellettuali sa di misticismo e di mitica esaltazione. Il verbalismo populista si ritrova in Dostoievschi attraverso esempi di curiosa illusione dogmatica. Vale la pena di riferire un discorso poco conosciuto. - "La classe intellettuale russa, secondo Dostoievschi, è la più elevata e seducente di tutte le élites che esistano. In tutto il mondo non si trova nulla che le sia simile. È una magnificenza di splendida bellezza che ancora non si stima abbastanza. Provati a predicare in Francia, in Inghilterra, e dove vorrai che la proprietà individuale è illegittima, che l'egoismo è criminale. Tutti si allontaneranno da te. Come potrebbe essere illegittima la proprietà individuale? E che vi sarebbe allora di legittimo? Ma l'intellettuale russo ti saprà comprendere. Egli ha cominciato a filosofare appena la sua coscienza si è svegliata. Così, se egli tocca un pezzo di pane bianco, subito si presenta agli occhi suoi un quadro tetro: - È pane fabbricato da schiavi. - E questo pane bianco gli sembra molto amaro. Egli ama, ma vede il fratello suo inferiore che vive nella bassezza, che vende per qualche soldo la sua dignità di uomo e allora l'amore perde tutto il suo fascino per l'intellettuale. Il popolo è diventato la sua idea fissa; egli cerca il modo di avvicinarsi a questa folla taciturna; di confondersi con essa. Senza il popolo, che da migliaia di anni, porta con sé tutta la storia russa, senza l'amore per il popolo, un amore ingenuo, mistico, l'intellettuale russo non si potrebbe concepire. Per questo egli si mette con ansietà e scrupolo alla ricerca continua del vero, del vero popolare, contadinesco! Rinunzia a tutto ciò che costituisce la fierezza e la felicità ordinaria del mortale: dai villaggi, dai campi, dalla terra nera ricevono gli intellettuali le loro idee morali. Essi si vergognerebbero di vivere dimenticando il piccolo contadino e hanno preso a prestito da lui la loro celebre formula: la vita secondo la verità e non secondo diritto o scienza. È vero che in Occidente domina la scienza, la coscienza della necessità giuridica e storica. Ma in Russia domina l'amore. Noi crediamo in esso come in una forza misteriosa che annienta d'un tratto tutti gli ostacoli e instaura subito una nuova vita". Meglio di ogni critica qui può illuminare la naturale ironia. Siamo ancora nei limiti di un tormentato individualismo. Nella mistica aspirazione all'infinito e all'eterno si incoraggiano le aspirazioni del popolo a un'anarchica organizzazione della società. Né il panslavismo, cercato con curiosi sentimenti messianici, riesce ad alimentare una coscienza nazionale. La lotta degli intellettuali contro lo czarismo assomiglia a una lotta di spostati. Anche in questi episodi si riconosce il carattere fondamentale della civiltà russa sino al secolo ventesimo: l'assoluta mancanza di una circolazione di classi, l'arbitrio delle classi medie nelle quali si è ridotta la funzione di elaborare le idee, e che ripugnano ad ogni realismo per le loro fissazioni messianiche. È naturale che l'Intelligenza la quale ignora il popolo e se lo vagheggia addomesticato in un tenero sogno di idillio primitivo, si trovi di fronte alle rivoluzioni del 1905 e del 1917 priva di forze e condannata al fallimento. Essi assistono ad una crisi che non hanno prevista: il terreno di lotta si è spostato dalle ideologie all'economia e i loro artificiosi e vaghi interessi devono cedere a volontà più precise e inesorabili. La nuova minoranza di governo si é affermata in Russia creando, nell'aspettazione comunista, le aspettazioni e i presupposti di una civiltà capitalistica. L'ironia della storia è che i primi interessi borghesi dopo tanti discorsi di civiltà mistica e disinteressata si siano creati in Russia in nome del marxismo. p. g.
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