PrerisorgimentoAdalberto RadicatiI.Nel Settecento "i piemontesi - scrive il conte Adalberto Radicati di Passerano, che sarà il protagonista di questa nostra rievocazione - godevano di un dolce riposo e di una libertà quasi grande come quella dei fortunati popoli della Gran Bretagna: infatti i preti che parteggiavano per la Corte di Roma non avevano potenza né credito, e quelli che favorivano la nostra Corte erano ottime persone che odiavano a morte la gerarchia ecclesiastica, non potendo sperare nella loro carriera un vescovado o una ricca prebenda. Queste ottime persone predicavano sempre e in ogni luogo a favore del sovrano ed era loro concesso valersi del suo favore per difendere la buona causa. Io poi che ero fedele e affezionatissimo al mio sovrano, la difesi così bene che gli ecclesiastici partigiani della Corte di Roma mi onorarono col titolo di eretico perché, dicevano, io protestavo continuamente contro i vizi e gli abusi del nostro clero. E insomma feci il mio dovere tanto compitamente che fui citato tre volte davanti all'inquisitore per imputazioni che mi restarono sempre sconosciute; ma io me ne vendicavo allegramente non andandoci. Così mi condannarono in contumacia, attendendo tempo più favorevole per eseguire la crudele sentenza di questo tribunale". Veramente la politica ecclesiastica fu per il Piemonte del '700 la prima esperienza di una volontà statale. Nelle vicende di Vittorio Amedeo II, impegnato dal 1686 al 1727 ininterrottamente in lotte religiose e in conflitti di giurisdizione con vescovi e arcivescovi del suo territorio, si scorgono le espressioni di una coscienza laica. Forse le lotte religiose erano allora piuttosto contrasti di piccoli interessi, non sostenuti né da ideali politici inesorabili, né da limpide visioni giuridiche; ma in questi argomenti l'umile pratica viene sempre prima delle idee. E ci troviamo, a secoli di distanza, a riconoscere difensori di laicità, trascinati la una logica superiore alla loro grettezza, anche certi buoni duchi di Savoia, voraci goditori di badie, astuti nel contenderle alle decisioni ecclesiastiche per attribuirle ai propri bastardi o alle favorite. Invece che di una lotta per la investitura si tratta delle piccole astuzie del duca che combatte con ambizioni regali. Né si deve dar torto al marchese d'Ormea di aver lavorato in queste situazioni "religiose" da buon diplomatico, senza risparmiare ipocrisie e giochetti come se la questione fosse tutta di bilancio e di equilibrio internazionale. Invece sembra qualcosa più che una curiosità storica ricordare che alla Corte di Savoia vi fu in quegli anni accanto ai diplomatici il teorico, accanto ai riformisti il riformatore, pronto a dare un contenuto dottrinale alla battaglia pratica e a gridare la sua protesta. Curiosa figura di canzonatore dell'Inquisizione, il conte Adalberto Radicati, e davvero non sapresti dire se più originale nella vita o negli studi! C'è in quest'uomo lo spirito di una nobiltà antica e inquieta (Alfieri) capace non tanto di teorie quanto di fortissime reazioni critiche alle idee, inetto a soddisfare la passione innata verso la politica, per un desiderio sempre teso di avventure; cervello anarchico e sentimenti austeri di autoritario, disposto al lealismo e al gusto per la vita di corte. Preoccupazione ispirata alla ragione di Stato, un odio anticlericale quasi furente. Vittorio Amedeo ne traeva partito quando la lotta con la Corte di Roma era più accesa. Chiamano un giorno d'urgenza il conte alla reggia. "J'y allai un peu inquiet" e vi trova in anticamera il procuratore fiscale e il grande Inquisitore, che attendevano seduti vietare al fuoco; "il n'y manquoit que le bourreau et mon affaire étoit faite". Ma il principe, "d'une mani&eghrave;re fort affable et gracieuse", gli conferma la sua fiducia benché gli sia stata presentata proprio allora contro il conte accusa di ateismo. "C'étoit la méthode ordinaire du Clergé de décrier par le nome odieux d'athée, tous ceux qui ne veulent pas s'en laisser imposer en matière de foi". "Connoissez-vous, me dit-il, les droits des Rois et de l'Eglise? Je lui repartis humblement que j'en avois fait ma particulière étude depuis plusieurs années". E gli presenta la sua tesi radicalissima: non si deve permettere ai sudditi di riconoscere altro diritto che quello del loro sovrano. "Que deviendroit done l'autorité de l'Eglise, me repliqua ce Roi, si les princes suivoient cette maxime?". "Elle deviendroit, Sire, lui répondis-je, une Chimère telle que elle est". E del resto: "Bien loin d'être divine l'autorité du Pape, je puis prouver à Votre Majesté qu'elle est entièremente contraire à l'esprit de l'Evangile". Alla fine del colloquio il Principe pensa di utilizzare queste nuove dottrine e gli dà incarico di scriverne un libro. "Je me chargeai avec un plaisir extrème de cette commissione, me flattant de pouvoir un jour délivrer ma Patrie du cruel joug des ecclésiastiques". Con queste idee fisse il conte Radicati doveva apparire tra i suoi contemporanei alquanto stravagante e averne noie interminabili. Del resto il suo spirito si dilettava della condotta più impopolare anche negli affari domestici e innocui. Il suo primo matrimonio si risolve in uno scandalo. Gli muore la moglie, e viene accusata di veneficio e si salva a stento col consulto di un medico. Durante una peregrinazione in Francia risolve di unirsi "ad una persona che per raggione e per affetto tutta dipendesse dai miei voleri" e si porta la seconda moglie, non nobile, a Passerano, urtando i più chiusi misoneismi. Quivi contraddice clamorosamente ai nobili del suo consortile, in lotta fiera con la plebe, predicando "in un governo monarchico ed assoluto il nobile come il plebeo sono parimenti sudditi del Principe, dimodoché il Principe deve render giustizia eguale al rico come al povero, al nobile et al contadino per farsi temere ed amare ugualmente da tutti e potere così facendo mantenere sempre la sua autorità assoluta". Cerca nuovi nemici a Torino dimostrando ai cattolici "che la superstiziosa venerazione e il troppo rispetto che essi avevano per il vescovo di Roma loro facevano dimenticare quello che legittimamente devono al loro principe". Anche secondo Cristo "tutti i regni, tutte le provincie et insomma tutta la terra con le sue ricchezze dovea esser comandata e ordinata e posseduta da monarchi principi o repubbliche, da tutti quelli che hanno il maneggio del civile governo, che a loro appartiene lo stabilimento delle leggi e di farle osservare dai popoli non solamente laici ma anche ecclesiastici". Di qui minaccie dell'Inquisitore: vane perché egli potrebbe essere arrestato solo se capitasse nel convento dei Domenicani dov'è posta l'Inquisizione "di che venni avvertito, dimodoché non capitai più in quella Chiesa e quindi certamente perdetti la protezione del gran Domenico e dei suoi discepoli". Gli arrestano i domenicani un cameriere "il quale ogni mattina udiva due o tre Messe et pareva che si nutrisse di Avemarie e di Paternoster perché sempre li aveva tra i denti et era delle compagnie fradelato et arolato". Ma sperano invano che col venire al convento per averne spiegazioni egli cada nel tranello. Tuttavia solo per l'ultima insidia di questa diuturna battaglia mossagli da preti e frati gli pare di poter conoscere "la frode e l'impossibilità che vi è di potersi fidare a coloro che militano sotto le insegne de frati che sono la cintola di Agostino, la corda di Francesco e il rosario di Domenico e un'infinità d'altre bande dette compagnie tutte inventate e stabilite per cavar danari e la divozione del popolo ignorante e superstizioso". Solo il favore dei re riesce infatti a salvarlo contro l'accusa che gli fanno gli ecclesiastici "fra i quali vi fu la stessa mia sorella monaca in S. Chiara di Chieri" di maltrattare la figlia e trascurarne l'educazione. Non era vero e soltanto "non era ancora stata a confessarsi, ma ne dilungavo il tempo espressamente per mantenerla in quello stato innocente che fu ritrovata dal Ministro di Sua Maestà quando glie la consegnai; perché sapevo che la confessione è lo scoglio contro del quale fa sempre naufragio l'innocenza delle tenere verginelle; imperocché non sapendo esse che dire è di dovere che il confessore le interroghi ed alle interogazioni imprudenti ed ai quesiti disonesti e lascivi talvolta ignorantemente e ben spesso maliziosamente fatti dai confessori egli è certissimo che per queste sante strade di penitenza il vizio e la malizia s'insinuano nei cuori innocenti". Fu l'ultima sua vittoria contro le persecuzioni. Il marchese d'Ormea stava meditando il concordato con la Corte di Roma, la tregua era imminente. "Je pensai done à me mettre è l'abri de l'orage qui me menaçoit et pour cet effet je me reugeai en Angleterre". Gli furono confiscati i beni poiché non gli si poteva apprestare il rogo. I contemporanei rimasero incerai se chiamarlo ateo o protestante o razionalista. I casi della sua vita lasciano indecisi anche noi se le sue fossero convinzioni meditate o accese improvvisazioni. C'è in lui qualcosa dell'avventuriero. Vediamo dunque cosa ci dicono le sue opere. II.Au sérénissime et très puissant prince Don Carlos, Roi des deux Siciles, héritier présomptif du Grand Duché de Toscane, Duc de Parme et de Plaisance, etc. etc. è dedicata per disperazione l'opera compiuta da Adalberto Radicati, dopo che egli aveva tentano invano di presentarla a Vittorio Amedeo II e a Carlo Emanuele III. Già dalla dedica puoi arguire il carattere del libro nel quale cercheresti invano lo stile teorico e le intuizioni metafisiche e critiche predominanti negli scrittori inglesi contemporanei di questi argomenti. Chi volesse ricostruire nei dialoghi del Radicati un edificio logico compiuto, riuscirebbe per lo meno inopportuno e inadatto a scorgere i pregi di un'opera che è tutta scritta sotto l'incalzante necessità polemica, quasi tra una alternativa di vita o di morte. Il filosofo è sacrificato al combattente. Per altro la stessa cultura del Radicati ci può trarre in inganno. Egli è il primo italiano che abbia famigliari scrittori come Toland, Collins, Algernon Sydney, Bayle, Voltaire. Nato intorno al 1690, morto nel 1737, è il primo illuminista della penisola. Giannone, Denina, Pietro Verri sono lucidamente anticipati. La sua passione vive naturalmente nell'atmosfera europea del libero pensiero. Sulle orme di Locke anticipa Rousseau, parlando di stato di natura e di governo del popolo. Teorizza i governi costituzionali; riconosce l'eguaglianza pratica delle varie forme statali (monarchia, aristocrazia, democrazia) quando siano liberamente accettate e si fondino sulle leggi. La laicità è un risultato chiaro e definitivo nel suo pensiero. Tuttavia nell'affermazione di tutte queste idee, nelle più acute disquisizioni teoriche c'è sempre un fondo di dilettantismo. Trovi delle affermazioni vigorosamente moderne, ma soltanto perché le parole vanno oltre le intenzioni e la sua cultura rimane vaga e indipendente dalle esigenze del carattere e della realtà. Per credergli vorremmo la costanza come prova delle sue convinzioni e troviamo invece mutevolezza. Non saremo lontani dal vero concludendo questa circoscrizione dei suoi limiti col segnalare come enciclopedista piuttosto la sua curiosità che il suo pensiero. La categoria del romanticismo, o del protoromanticismo di cui parlava Croce, a proposito dell'Alfieri, aderisce meglio a questo spirito di avventura. Così resterebbe senz'altro definito anche il suo cristianesimo ostile ai dogmi e alle intransigenze del cattolicismo (fenomeno non ignoto all'Inghilterra e che rivedremo in Italia per tutto il Risorgimento). Ora l'opposizione del cristianesimo al cattolicismo è proprio alla Riforma. Invece Radicati sfiora le più scottanti questioni senza affrontare né vedere i pericoli. Dove vorremmo un'indagine teorica c'è una satira o un motto di spirito. L'indulgere ai motivi volteriani di stile è un altro segno di spirito d'avventura. Per trovare qualche cosa di più solido e un interesse veramente centrale dobbiamo passar all'esame del diplomatico, dove si trovano per l'appunto i limiti del curioso. Lo spirito letterario della sua indagine si risolve in un eclettismo e in uno scetticismo verso le teorie. Senonché proprio in questa indifferenza c'è l'astuzia del politico che abbandona le questioni di principio per risolverle nel mondo dei fatti. La tradizione è sabauda, e lo stesso Cavour la riprenderà in grande stile. Le ideologie, in Radicati come in tutti i preparatori del Risorgimento, sono precise finché si appoggiano allo Stato e al Re; l'interesse teorico, l'eresia, la riforma non suscitano energie pratiche. Il pensiero di Radicati è tutto percorso da motivi eretici; ma nel momento in cui egli potrebbe pensare ad una Riforma, le ragioni politiche lo fanno rivolgere con maggior compiacenza al concetto di un cattolicismo schiavo del principe. La ragion di Stato è assolutamente dominante; il libero esame serve al polemista come strumento per un fine politico. A quale profession di fede egli volesse poi giungere la questa pregiudiziale di libertà, non ci riesce di precisare. Anzi il segno della natura eretica del suo pensiero sarebbe appunto in questa rinunzia alle preoccupazioni di salvezza metafisica. In realtà la lotta contro il potere temporale è la chiave di volta di tutta la sua speculazione. La libertà religiosa, l'affermazione della tolleranza, la lotta contro la superstizione vi si connettono come ideali vagheggiati di miglioramento dei costumi e di serietà etica. Trovi perfino una difesa dell'ateismo, definito come quello che sa "riconoscere una Divinità senza professare come veri santissimi le menzogne più assurde ed esecrabili degli uomini". E qui sembrerebbe addirittura affermato il valore della religiosità contro le religioni. Invece in tutta la polemica contro la Chiesa attuale il Radicati argomenta da perfetto cristiano che all'avarizia degli ecclesiastici oppone lo spirito del Vangelo e dei primi cristiani. La diagnosi dei mali che vengono dominando nella religione cattolica è condotta come storia della corruzione della Chiesa, deformata e ridotta a una storia di artifizi e di menzogne. È naturale che in questo processo vengano affiorando motivi protestanti e razionalisti. Leggere la Scrittura, non commentarla. Tutti fratelli, nessun vescovo. Disonestà del celibato dei preti che é servito soltanto ad accumulare le ricchezze, ecc., ecc. La confessione, il Purgatorio, le Messe e le indulgenze, i monaci, le compagnie religiose sono tutti pericoli per la laicità dello Stato. Bisogna dunque combattere all'origine questi mali. Al sovrano appartiene l'autorità tanto sacra che civile. Egli deve correggere la vita degli ecclesiastici, ormai completamente opposta allo spirito del Vangelo. Per questo fine non vi è che un mezzo: togliere le ricchezze agli ecclesiastici, non consentire alla Chiesa libertà e immunità, limitare lo stesso potere pontificio. Il liberalismo di Radicati era così posticcio che egli conclude tutta la sua battaglia in un programma statolatra. Per far prevalere il suo disegno suggerisce abilmente ai principi cattolici di appoggiarsi nella lotta contro la Chiesa ai sovrani protestanti. Ma il fine dichiarato è di avere un Cattolicesimo sottomesso alle esigenze dello Stato. Perciò dovrà essere il principe a disporre di vescovadi, parrocchie e abbazie, investendone chi gli piace; il numero dei monaci e preti dovrà essere pregiudizialmente fissato salvo a venirlo diminuendo man mano; i beni ecclesiastici diventeranno potere dello Stato che li assegnerà ai nobili e ai comuni togliendo l'esenzione delle imposte; ogni donazione ai preti sarà proibita né si consentirà loro di celebrare Messe a pagamento sotto pena di condanna di simonia. Proibizione ai gesuiti di tener scuole; abolizione dell'Inquisizione, abolizione delle confraternite e delle feste religiose. Della confessione, disciplinata a suo modo, il principe si servirà come d'una specie di istituto di propaganda tra i sudditi; e penserà esso a mantenere i poveri a spese dello Stato con i beni tolti alla Chiesa, e a istituire scuole decorose. Lo spirito intollerante di questa lotta era di attualità; e Vittorio Amedeo II attuò coraggiosamente contro il Pontefice alcune di siffatte riforme. La lotta contro i Gesuiti e contro l'Inquisizione favoriva le correnti più radicali di politica ecclesiastica, che il conte di Passerano riprendeva per primo dopo Machiavelli. Ma perché questo sogno avesse un effetto, la premessa indispensabile era che si formasse uno Stato nazionale. Adalberto Radicati giunse sino a questa intuizione. La politica ecclesiastica di Vittorio Amedeo II e del suo successore aveva invece i suoi limiti inesorabili in una situazione di diplomazia internazionale. E la cultura piemontese era rimasta cattolica. p. g.
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