RisorgimentoPISACANELa vita e l'attività del duca Carlo Pisacane può essere divisa in tre distinti periodi, il primo dei quali vada dalla nascita al 1848, il secondo dalla caduta della Repubblica Romana (1849) sino al 1857, ed il terzo che comprenda la disperata impresa di Sapri. Invero questi tre periodi caratterizzano i tre aspetti del Pisacane uomo d' armi, pensatore e rivoluzionario. Esaminiamo il primo. L'uomo ed il soldato. Nato da famiglia nobile, il giovine Carlo fu ammesso tredicenne (1831) nel Collegio Militare della Nunziatella, dal quale uscì dopo otto anni e cioè nel 1839. Il suo libro sulla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, fa fede che gli studi di scienza militare non furono fatti invano; anche se gli insegnamenti letterari, per concorde testimonianza confermata dalla steso Pisacane, vi erano svolti in modo deplorevole. Bisogna a tal proposito tener presente che gli studi militari erano allora molto in auge nel Regno di Napoli e fra i giovani di tendenze liberali, che raggruppati attorno al Progresso dal Blanch li imparavano, come dal Mele imparavano economia, dal De Grazia e da altri etica e filosofia; mentre i nuovi problemi dell'industria, della scienza, della storia e della sociologia per la prima volta venivano lumeggiati e discussi. Molto verosimilmente il Pisacane apprese qui e dal Blanch quella che è stata chiamata la sua filosofia della storia, il suo materialismo ed il suo vichianesimo. L'aggressione subita in Napoli da parte dei parenti della sua futura compagna Enrichetta Di Lorenzo, l'eroica difesa del Pisacane e la fuga assieme alla donna del suo cuore in terra straniera, han qualcosa tra il dantesco e il romanzesco per la purezza degli intendimenti e la costanza degli affetti. È noto infatti che la Di Lorenzo è stata la sola donna amata dal Nostro, il quale la scelse e rimase ad essa fedele prima di entrare ragazzetto al Collegio della Nunziatella, e continuò ad amarla da adolescente e da uomo in collegio e fuori, nonostante che un matrimonio di convenzione e la famiglia l'avessero allontanata da lui. L'arruolamento del Pisacane nell'esercito coloniale francese operante in Algeria (1847) potrebbe completare l'aspetto romantico del N. Buttiamo là la notizia non dimenticando però che il P. aveva anche fame. Scoppiata l'insurrezione in Lombardia, torna in Patria e s'arruola semplice soldato nell'esercito della Repubblica, rimanendo gravemente ferito ad un braccio in un'azione militare. È promosso infine per meriti eccezionali capitano di fanteria. Con tale grado passa ai servigi della Repubblica Romana. È nella difesa di essa che i suoi meriti rifulgono. A confessione dello stesso Mazzini, se la Repubblica avesse attuato i piani del Pisacane, anziché affidarsi ai colpi di testa garibaldini, forse non sarebbe caduta; od almeno, più a lungo avrebbe resistito. Accettiamo senz'altro questo ragionamento che vediamo anche sottoscritto da competenti di cose belliche. Non è questo ciò che c'interessa, ma bensì il dissidio Garibaldi-Pisacane-Mazzini a proposito del modo secondo il quale l'Italia andava liberata. A noi fa tanta piacere sapere che Pisacane era contrario al Garibaldi dittatore e condottiero di bande, eroe dei due mondi e oggetto di fascino per le donne e pei giovani che l'idolatravano; così che ancona oggi, rileggendo le belle pagine che ad Egli dedica nella sua Guerra combattuta, noi sentiamo il tono vivo delle parole del Martire di Sapri discenderci nell'animo, mentre ne gustiamo la sorprendente freschezza. Certo oggi come settanta anni fa il problema è ancora e sempre quello; è ancora colla nostra mentalità infantile e decadente che noi dobbiamo combattere; è ancora e sempre la gratuità del nostro elargito Risorgimento che ci fa pensare. Oggi scontiamo il peccato di non aver voluto e saputo combattere, ma proprio sui campi di battaglia e con battaglioni militarmente disciplinati, le guerre del nostro nazionale riscatto; che non è finito nel 1918, come si opina, se ancora una volta formazioni militari irregolari sul tipo di quelle garibaldine sono state possibili. Ma non parliamo di ciò che tanto ci fa male! Il pensatore politico e lo storico. Nel secondo periodo dell'attività del Pisacane van posti i suoi saggi storici, militari e politici. Dopo la caduta di Roma il Pisacane colla campagna si ritirò a Genova in una villa di campagna per dedicarsi con ardore allo studio e per meditare sulle ragioni della sconfitta. Il Savelli (Carlo Pisacane, Vallecchi, 1925) dice che "fu portato a meditare sulla vita della storia ed a cercare un orientamento nella filosofia". Non per ozio o curiosità intellettuale, ma per il bisogno di formarsi "un convincimento che, norma delle azioni, fra il continuo mutare degli uomini e delle cose, lo mantenesse sempre nel medesimo proposito". Fu, come si vede, per una ragione di profonda moralità che il Pisacane si mise a studiare. La coltura, specialmente filosofica e storica, era da lui intesa quale un elemento formativo del carattere. Niente erudizione perciò, ma idee e fatti; azione in definitiva e lotta. L'uomo darmi ed il nobile saltava ancora una volta fuori. Non soffermiamoci sugli errori che un'affrettata coltura ed un'interessata passionalità spiegano (da ricordare specialmente il giudizio assolutamente arbitrario dato sulla Chiesa da un suddito d'un "cristianissimo" governo e dall'avversario sconfitto d'uno Stato che in Italia aveva chiamato armi straniere in propria difesa), per riconoscere che il suo vichianesimo di seconda mano, anche se falso ed arbitrario perché astratto, non gli ha impedito comunque d'intuire lati suggestivi e veri della storia. Basterà qui ricordare la giusta importanza data alle istituzioni tribunizie romane ed alla storica filiazione dei Comuni dagli antichi Municipi, oggi confermata dai migliori studiosi della materia. Ma anche al suo vichianesimo si guardi come ad una tara dell'epoca: tanto l'idealismo che il positivismo erano inclini a generosamente donare delle leggi alla natura ed allo spirito; si pensi per tutti al Ferrari ed alla sua teoria dei cicli storici. Non è questa il lato che più ci interessa del Pisacane pensatore; in altro modo vivo e geniale. Dobbiamo invece soffermarci sul Pisacane intuitore di verità, incapace e insofferente di sistemarle. Ne abbiamo ricordate due di queste intuizioni: il lettore potrà con un po' di buona volontà scovarne per suo conto altre. Non vogliamo defraudarlo di un sì grande piacere. Notiamo soltanto che anche il Nostro ad un dato momento ha sentito l'insufficienza dei propri schemi storici, allorché considerando il sorgere e l'affermerai della società capitalistico-borghese, ha ritenuto bene di dover evitare il consueto ricorso della naturale barbarie col violentemente affermare la necessità d'instaurare all'infuori ed al disopra della legge, il superiore mondo dell'eguaglianza economica e della convivenza libera: cioè a dire del socialismo e dell'anarchia. Anche di questo riconoscimento non apprezziamo la conseguenza, ma il mezzo che la condiziona. L'anti-intellettualista Carlo Pisacane vuol con esso mezzo riconoscere la superiorità dell' intuizione sull'intelletto, della divina forza spontanea volontaria e libera sulla necessaria resistenza della natura e della legge. Osserviamo pertanto il rispuntare del romantico da sotto la crosta positivista e classica dell'ingegnere del genio, educato secondo gli esempi dell'antichità. Molto più che se teniamo presente questa insospettata ricomparsa, comprenderemo meglio il Pisacane della terza epoca. Il martire puro. Allorché nel 1857 Pisacane s'imbarcò sul Cagliari per raggiungere la fatale Sapri, l'Italia (specialmente meridionale) era in preda all'indecisione per le sue future sorti. Un certo numero di pretendenti indigeni e stranieri se la contendevano ad intervalli, determinando correnti di simpatia e d'aderenze in mezzo ai patrioti indigeni. Ultimo in ordine di tempo Napoleone III aveva suscitato non poche simpatie e speranze nell'avanzata proposta di mettere un Murat sul trono delle Due Sicilie, in ciò appoggiato dallo Scialoia, dal Leopardi e dal Saliceti e da vari altri patrioti. Il colpo di folgore dal Pisacane compiuto in comunione col Fabrizi, il Nicotera ed altri elementi mazziniani, valse a sventare il colpo mancino del Napoleonide, ed a riaffermare il proposito unitario dei rivoluzionari. Una nuova soggiogazione allo straniero fu evitata nell'Italia meridionale, mentre per sempre la Francia fu distornata da pretese territoriali e da imprese riguardanti la politica interna del Regno. Si tenga d'altronde conto che ciò non è detto in modo assoluto che escluda altri interventi, poiché è altrettanto noto che dopo quell'epoca l'Inghilterra ha ripreso ad "amarci" ed a diplomaticamente appoggiarci. Non bisogna comunque dimenticare che noi le serviamo per la sua politica di diffidenza contro la Francia: ma quand'è che una nazione è disinteressata? Non si vuole qui dire che tali fatti creasse la sventurata spedizione di Sapri, ma si vuole, soltanto affermare che in essi e nell'importanza che da essi emana, va posta. Come valore morale l'importanza di essa è ancora più grande. Ecco ritornare il Pisacane romantico; il Pisacane martire e condottiero di bande, dopo che il colonnello Pisacane, difensore di Roma, aveva quasi deriso il fascinoso Garibaldi, il collo avvolto nell'ampio fazzoletto rosso, radioso incedere sul proprio cavallo bianco in testa alle fiammanti schiere dei volontari. Ma la natura ha di queste rivincite contro la logica, e perciò scatta assai spesso il sentimento al disopra del chiuso steccato dell'intelletto; e la nascita più spesso che non si creda distrugge gli impacci dell'educazione. Abbiamo visto comunque che codesti impacci eran ben tenui nell'animo del Pisacane, la cui nobiltà volle alfine ribellarsi mediante un gesto disperato e sublime. C'è nel Pisacane, che abbandona compagna e figlia e vita, dopo aver finita una lezione di matematica, e s'imbarca a cuor tranquillo sopra un veliero per correre verso la morte e la gloria, qualcosa di così sublime, che non le parole d'una modesta prosa ci vorrebbero, ma i suoni eroici di un'ode per farne parola! Disgraziatamente il Lombardi nella sua Spedizione di Sapri, non ha raggiunto lo scopo; mentre nessun altro s'è provato. Ma è ancora presto e non c'è da disperare: non siamo ancora arrivati all'amore, ed è perciò presto per la lode; meglio ripeterci, a conforto e ad esempio di questi tristi tempi, le parole colle quali egli espresse e la piena accettazione del suo dinsinteressato sagrificio, ed il disprezzo contro i suoi imbestialiti carnefici, che a Lanza l'uccisero a colpi di tridente (2 luglio 1859). "Se non riesco, dispregio profondamente l'ignobile volgo che mi condanna, ed apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita. Tutta la mia ambizione, tutto il mio premio lo trovo nel fondo della mia coscienza e nel cuore di quei cari e generosi amici che hanno cooperato e diviso i miei palpiti e le mie speranze; e se mai nessun bene frutterà all'Italia il nostro sagrificio, sarà sempre una gloria trovar gente che volonterosa s'immola al suo avvenire". ARMANDO CAVALLI.
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